Aldo Bianchini
SALERNO – Essere lucano non è soltanto per grazia ricevuta o per un privilegio calato dall’alto; essere lucano è innanzitutto un dovere nei confronti della sua terra ed anche delle comunità in cui va ad inserirsi in giro per il Paese e per il Mondo.
Memoria, testimonianza, storia individuale e collettiva (come ha scritto l’avvocato Paolo Carbone in un lungo intervento sul quotidiano Il Mattino del 23 novembre 2018) sono anche le caratteristica generalizzata di un popolo, i lucani, che ha attivamente partecipato alle grandi conquiste degli antichi Romani ma anche alla realizzazione dell’unità del nostro Paese che per secoli è stato dilaniato da guerre contro gli invasori ma anche fratricide. La Lucania, o Basilicata come dir si voglia, è una terra bellissima, accogliente, generosa ma anche fiera della sua integrità morale – ambientale e sociale; è così è ogni singolo cittadino lucano per il quale non esistono gli arcobaleni colorati e coloranti ma soltanto il bianco o il nero che viene scelto dopo attenta e severa meditazione senza mai lasciarsi trascinare dai sentimenti o dai condizionamenti ambientali. In tanti dicono che il lucano ama o odia; sarà anche vero, ma il lucano è soprattutto una persona equilibrata, trasparente e soprattutto leale. Insomma il lucano ha una sola faccia e la espone sempre, comunque e senza tentennamenti.
“Dove c’e’ troppa luce il lucano si eclissa, dove c’e’ troppo rumore il lucano s’infratta”, ha scritto più volte il notissimo Leonardo Sinisgalli per descrivere meglio quello che passa nell’immaginario della gente come “il male oscuro dei lucani” in riferimento anche ai modi bruschi nei rapporti intrarezionali dei quali ho scritto, in passato, criticando alcuni atteggiamenti del governatore della Campania Vincenzo De Luca che è un lucano doc essendo nato a Ruvo del Monte.
E proprio su questo punto quel mio articolo fu commentato da una mia ex compagna di scuole elementari (che non vedo dagli anni ’50) a nome Enza Melucci con il seguente interessantissimo post: “”Gentile Aldo, mi dispiace contraddirti ma solo un po’. Sono lucana di Muro Lucano come te (sono una tua ex compagna di scuola delle elementari) e conosco i modi bruschi che caratterizzano molti di noi. Essi sono dovuti alla difficoltà comunicativa che è propria della cultura contadina. Inoltre se chi, da questa proveniente, arriva al potere. si trincera, si arrocca, si difende per non confrontarsi. Il confronto implica spigliatezza verbale e mentale. Capacità di dire ‘ho sbagliato’, ‘hai ragione’. La chiusura contadina spesso non lo consente””. Un commento illuminante, preciso, puntuale e nello stile lucano di dire sempre come la si pensa.
Insomma la cosiddetta “lucanità” non è merce che si acquista al mercato, la si può avere soltanto ad una condizione: essere lucani. E l’essere lucani condiziona, in un certo senso, tutti i lucani, anche quelli che si trovano, stanziali o meno, in giro per il Paese ma anche di tutto il Mondo; difatti il lucano avverte forse più di ogni altro l’esigenza di stare insieme, di aggregarsi per fare memoria e testimonianza nel racconto, anche silenzioso, di una storia individuale e collettiva.
I comuni lucani sono 131, divisi in due province (Potenza e Matera), ed hanno come minimo comune denominatore ovvero come patrimonio immateriale una cosa bellissima: il senso innato dell’ospitalità. Un senso che i lucani estrinsecano al meglio delle loro possibilità quando, appunto, sono chiamati ad ospitare; diventano come “passerotti infreddoliti” (definizione del poeta-intellettuale Michele Parrella di Laurenzana) proprio per la loro estrema sensibilità e correttezza che è alla base del loro modo di vivere e di muoversi in un mondo che va sempre più di fretta; il lucano, invece, ha bisogno di stanzialità e di sicurezza proprio per le sue radici profondamente legate al luogo di nascita anche se dimostra di sapersi adattare dovunque con discrezione e rispetto degli altri. Da qui la ragione profonda di doversi ritrovare in maniera associata e dialogante.
Questo senso ha colto in pieno l’Associazione Lucana “Giustino Fortunato” di Salerno che raccoglie ed accoglie i salernitani-lucani che vivono in città e nei paesi limitrofi; sicuramente l’Associazione ha ancora molto da lavorare perché i lucani di Salerno sono numericamente parlando alcune migliaia e pochi di essi sono confluiti nell’associazione fondata dall’avvocato Paolo Carbone nel lontano 1998 sulla scorta di uno “statuto fondativo” concretamente messo nero su bianco due anni prima, nel 1996, dallo stesso Carbone con tre amici (Lucia Russiello, Pino Latronico e Gerardo Satriano) sull’onda emozionale di quella esigenza di cui prima ed anche al fine di razionalizzare e ricostruire storicamente quel fenomeno di transumanza locale, dalla Lucania verso la Campania, manifestatosi negli anni 50 e 60.
Quello fu un fenomeno migratorio che, non me ne vogliano i salernitani doc, portò non soltanto ricchezza materiale in una città marinara che viveva prevalentemente di pesca, ma anche se non soprattutto un diverso modo di concepire la vita relazionale, familiare ed anche sentimentale. Nacque, così, l’altro fenomeno, quello del proliferare degli istituti scolastici cittadini che vennero messi in piedi in virtù di una improvvisa crescita della richiesta di studio per i figli di famiglia venuti da lontano. E questo fu anche l’abbrivio per l’estensione del fenomeno che nel pieno degli anni ’60 registrò l’arrivo anche di una marea di cilentani e avellinesi con una nuova ondata di natura economica sulla quale, forse, ancora oggi vive l’intera economia produttiva della città.
Quello fu l’investimento sul futuro dei tanti genitori verso i tanti figli, lucani – cilentani – avellinesi, per assicurare loro un futuro fatto di professioni e non soltanto di agricoltura come era stato per essi genitori nei decenni che avevano preceduto quel fenomeno migratorio.
L’Associazione Lucana di Salerno da alcuni lustri è presieduta dall’unico personaggio possibile “Rocco Risolia” che ha dato, tra le tante cose, a tutti il senso di appartenenza riuscendo a mantenere in piedi una perfetta organizzazione, decisa e resistente ad ogni avversità per proiettare tutti i soci verso una comunità sempre più allargata.
E da buon lucano doc anche Rocco è stato colto dall’esigenza della memoria ed è riuscito a ricostruire tutta la storia dei venti anni associativi partendo dal nulla e finendo il lavoro in tre giganteschi volumi in cui comprimere le testimonianze (fotografiche e scritte) dell’impegno culturale e sociale del sodalizio; oltre tremila pagine di storia fissata su carta patinata e con le foto tutte a colori che presentano il ventennio suddiviso in tre specifici periodi: il primo volume dal 1998 al 2009, il secondo dal 2010 al 2013 e il terzo dal 2014 al 2018 che danno l’esatta dimensione della crescita propulsiva dell’associazione in fatto di momenti aggregativi con un picco numerico sotto la presidenza dell’amico professore Rocco Risolia.
I tre volumi sono stati presentati nella sede dell’Associazione (in Via Raffaele Di Palo – di fronte al centro sociale) la sera dello scorso 16 novembre alla presenza di un numerosissimo pubblico e con l’esibizione di uno scatenato prof. Francesco D’Episcopo e con gli interventi degli ex presidenti. Paolo Carbone e Giuseppe Spagnuolo e il primo segretario.
I volumi in tutto il loro splendore saranno pronti per le consegne entro la fine di gennaio 2019 sulla base delle prenotazioni che potranno essere effettuate anche per un solo volume de3lla gigantesca opera dell’era risoliana.
A conferma dell’apertura mentale e relazionale dei lucani sono stati chiamati a parlare sulla lucanità il prof. Mario Senatore (giornalista – scrittore) e il prof. Agostino Verga (già assessore al Comune di Salerno con la giunta Giordano).
La serata si è conclusa con il messaggio a tutti i soci di Rocco Risolia visibilmente emozionato che ha dovuto forzare il contenimento delle lacrime; è stato applaudito a lungo con l’aggiunta di incitamenti vocali di andare avanti senza mollare mai, da buon lucano, ovviamente.