di Eppe Argentino Mileto
ROMA – Fra le persone che hanno segnato la mia vita, certamente c’è Karla Faye Tucker.
Venne giustiziata il 3 Febbraio del 1998, ad Huntsville, Texas.
No. Non dai carnefici della “death squad”, gli squadroni della morte, boia di professione, ma dal consenso. Dal consenso ad ogni costo di cui si macchiano (certi) politici di razza. Pardon, di rango. Perché non hanno una razza. Ma si sono costruiti un rango, taluni di loro. Si sono rifatti l’imene di una verginità perduta con il consenso.
Karla Tucker si era macchiata di un crimine: omicidio. Ma la sua storia inizia molto presto: orfana di padre, la madre si prostituisce, costringendola, bambina, a “lavorare” con lei. Ha 8 anni, quando le spaccano l’imene. E non il consenso.
A 10 anni inizia a fumare. A 11 le danno la coca. E sempre a 11 le iniettano l’eroina.
La folle corsa della sua vita si conclude una notte: un suo ex fidanzato le distrugge le foto della madre. I pochi ricordi di un’infanzia negata. Karla decide di vendicarsi: quelle foto sono l’unico mondo che ha. Sono la sua storia, la sua vita distrutta, sono lei stessa. Lo rintraccia mentre dorme con una donna: Debbie Thomton. Entra nella stanza armata di piccozza e li fa a pezzi. Era eccitata e sotto l’effetto di cocktail di droghe. Seguono l’arresto, il processo e poi il giudizio: condannata alla pena capitale. Ma non subito. Dovranno trascorrere quattordici lunghi anni di attesa, prima che arrivino i boia. E sono arrivati. Il 3 Febbraio del 1998. “Vi amo tutti e vi aspetto tutti in Paradiso”, ha dichiarato Karla poco prima di stendersi sul lettino della morte, “Vorrei dire a tutti voi e alle famiglie delle vittime che chiedo perdono e spero che la mia morte vi dia pace”. E morì di un’iniezione letale. Aveva le braccia in croce aperte, sul lettino al quale la legarono. Perché uccisero una donna che aveva tentato disperatamente di urlare al mondo il suo pentimento, il suo cambiamento, la fede ritrovata che le restituì una possibilità dopo aver conosciuto l’inferno?
In quei 14 lunghi anni Karla era cambiata. A nulla valsero gli appelli alla Corte Suprema per commutare la pena, al Governatore dello Stato del Texas, perché la sospendesse quella notte, e che avrebbe potuto fermare le mani sporche dei boia con una semplice telefonata dal salotto buono della sua casa, mentre cenava con moglie e figli davanti a un lussuoso camino scoppiettante. Karla ci aveva creduto, nella grazia. Ci aveva sperato, in tutti quegli anni. Ma la sua fede crollò all’una e 42 minuti, quando la Corte respinse l’ultimo, disperato appello. La rinchiusero in una stanzetta per darle la notizia e spiegarle la procedura, in modo che si preparasse ad essere uccisa. Scoppiò a piangere, si rifugiò sul petto del direttore del carcere e mormorò : “mi aiuti! Non ce la faccio! anche il Signore mi ha abbandonato”
Era terrorizzata e confidava nelle dita di quel Governatore, George Bush jr, che avrebbe potuto salvarle la vita con una semplice telefonata. Che non fece.
Ma quelle dita erano delle mani di un uomo che le aveva legate dal voto dei suoi elettori. Dal consenso. Il voto è un contratto, una missione, un patto, anche quando è scritto con il veleno di una siringa. Anche allora.
A Karla non bastarono i salmi, la Bibbia e i Vangeli. Perché la uccisero.
Il consenso la uccise. La politica le diede l’estrema unzione. Gli elettori caricarono la siringa. E l’urna premette lo stantuffo. Si udì un lamento. Un profondo lamento. Poi un forte colpo di tosse. E niente più.
E fuori dal carcere, i media e le telecamere di tutto il mondo, aspettavano l’annuncio della sua morte. Rimasi in piedi, quella notte. Seguii tutta la telecronaca. Fingevo una calma che dissimulava isterìa.
Pensavo a Karla, che era diventata la mia Karla. Pensavo ai suoi capelli stretti, raccolti in un nastrino, alla sua blusa bianca, al momento in cui glieli avrebbero sciolti per andare a morire.
Pensavo agli invitati allo spettacolo della morte, perché lì si invitano anche i parenti delle vittime, che così dissetano la loro vendetta, e i parenti del condannato. Pensavo al padre di Karla, che aveva dichiarato: “ Se commutano la pena, a chi farebbe del male Karla?”
Pensavo a quando le avrebbero detto: è ora. Quando i cinque boia della “squadra cinghie” le avrebbero chiesto di sdraiarsi sul lettino della morte e le avrebbero legato le braccia ai braccioli, nella posizione della croce, per infilare due aghi. E poi via con il cocktail di pentotal, curaro e cianuro. Qui anche la macchina della morte è perfetta.
E tutto per dissetare la vendetta che ringrazia con le schede elettorali. E con il consenso.
Credetemi, il consenso uccide.