ROMA – I tempi “farraginosi” della giustizia sono sempre attuali. L’amnistia e la prescrizione continuano ad
essere “la panacea” per i colpevoli dei reati e ad offrire loro la “reiterata impunità”. Un esempio
emblematico è rappresentato dalla causa di diffamazione, intrapresa dagli eredi di Pio XII,
giustamente considerato il Pontefice più amato e vituperato nella storia della Chiesa. L’opinione
pubblica non è stata mai informata di questa controversia legale e del suo esito, mentre dal
recente libro: “Eugenio Pacelli, Pio XII, il Pontefice più amato e vituperato nella storia della Chiesa”
di Alberto De Marco e Duilio Paoluzzi, Edizione Movimento Salvemini, è ampiamente trattata e
documentata, unitamente ad una disamina della verità storica dell’intero periodo del Suo
Pontificato. Il libro di 336 pagine, con doppia copertina plastificata, ed impaginate con la migliore
carta, impreziosito da foto a colori ed in bianco e nero, pubblicato mirabilmente dallo stabilimento
tipografico “Fusco” di Salerno, che nel rispetto delle finalità sociali, l’intero importo è destinato al
fondo di solidarietà, dedicato a S. Madre Teresa di Calcutta, alla quale sono destinate altresì le
prime venti pagine, lo ha reso disponibile al pubblico al prezzo di costo di Euro 5,00. Il 29 ottobre
2018, il giorno successivo al termine del Sinodo sul tema “I giovani, la fede e il discernimento
vocazionale”, andrà in onda nella rubrica di Radio Vaticana, l’intervista dell’autore del libro, Alberto
De Marco, pubblicato in occasione del 60° anniversario dalla morte del Pontefice Pio XII, avvenuta
il 9 ottobre 1958, al fine di ripristinare l’immagine reale, rispettosa della verità storica, scevra dai
condizionamenti dei mass media, di quelli controllati dalla sinistra, che non hanno gradito la
scomunica fatta ai comunisti, durante il Pontificato di Pio XII, anche se diversi loro leader del loro
partito, nel corso del secondo conflitto mondiale, hanno salvato la vita, sfuggendo ai soldati
tedeschi, nonché ai fascisti, rifugiandosi tra le mura vaticane ed i conventi, anche quelli di clausura,
in considerazione delle disposizioni ordinate dal Papa.
Robert Katz, Carlo Ponti, George Cosmatos, furono citati al giudizio direttissimo del Tribunale di
Roma per rispondere: il Katz, di diffamazione mediante offesa consistente nell’attribuzione di un
fatto determinato commesso col mezzo della stampa, per avere nel suo libro “Morte a Roma”,
stampato a Roma nel 1967 ed in successive edizioni fino al 1973, offeso la memoria del Sommo
Pontefice Pio XII, attribuendogli di non avere fatto quanto avrebbe dovuto e potuto fare per
cercare di impedire l’eccidio delle Fosse Ardeatine, commesso da militari tedeschi con la condanna
a morte di 335 uomini, il 24 marzo 1944. Con la sentenza del 27 novembre 1975, gli imputati
furono dichiarati colpevoli dei reati loro ascritti, unificati nella continuazione nei confronti del Katz
e condannati, con i benefici di legge, alla pena di 1 anno e 2 mesi di reclusione, cinquecentomila
lire di multa il Katz, e di 6 mesi di reclusione ciascuno il Ponti ed il Cosmatos, nonché tutti al
risarcimento in forma generica del danno in favore della querelante, costituitasi parte civile, Elena
Rossignani, nipote del defunto Pontefice. Il 1° luglio 1978 la Corte d’Appello di Roma, in riforma
della decisione del Tribunale, assolse il Katz dal primo reato, “trattandosi di persona non punibile
per avere agito nell’esercizio di un diritto”, e lo stesso Katz, il Ponti ed il Cosmatos dalla seconda
imputazione con la formula “perché il fatto non costituisce reato per mancanza di dolo”. Ha fatto
seguito il ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma alla Corte
Suprema di Cassazione che l’ha accolto. La Suprema Corte di Cassazione pertanto con la sentenza
del 19 ottobre 1979, annullò la decisione impugnata, con rinvio ad altra sezione della stessa Corte
d’Appello, relativamente all’imputazione di diffamazione commessa col mezzo della stampa; e
senza rinvio con riguardo all’altra imputazione per essere il reato estinto per amnistia, ferme
rimanendo le statuizioni concernenti gli interessi civili. La Corte d’Appello di Roma con sentenza del
2 luglio 1981, pronunciata in sede di rinvio, ha confermato la decisione del Tribunale con riguardo
all’imputazione residua ascritta al Katz, determinando la pena in 1 anno ed 1 mese di reclusione e
quattrocentomila lire di multa per effetto della già dichiarata estinzione dell’altro reato. Nel
rocambolesco gioco dei ricorsi, “grazie ai tempi lunghi dell’iter processuale”, l’imputato ricorre per
Cassazione, che con la sentenza del 29 settembre 1983, annulla senza rinvio la sentenza impugnata
in ordine al reato di diffamazione aggravata, commesso con l’edizione italiana del 1967 del libro
“Morte a Roma”, perché estinto per amnistia, ferme le statuizioni concernenti gli interessi civili.
Rigetta nel resto il ricorso, e condanna il Katz al rimborso delle spese in favore della parte civile
Elena Rossignani, che liquida in lire 450.000, di cui lire 430.000 per onorari di difesa.