GIORNALISMO: l’informazione e il lettore

 

 

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Diversi anni fa un mio direttore (parlo del lavoro come dipendente pubblico e non di giornalismo) mi disse che nella vita lavorativa e relazionale bisogna cercare di raggiungere almeno il 50% + Uno del consenso per poter vivere senza patemi d’animo; tutto il resto, dal 50+1 fino al 100% rappresenta la quota dinamica del successo che ti rende grande ovvero ti consacra al ruolo di normale capacità di relazione.

            Nel mondo del giornalismo, e quindi dell’informazione, il contatto tra propositore (giornalista) e ricettore (lettore, spettatore, ecc.) è più difficile perché è più immediato ed a volte senza possibilità di appello (cioè di serena riflessione). Il giornalista, dunque, si deve attrezzare mentalmente e psicologicamente per capire e trasferire al ricevente quale tipo di notizia deve fornire, come la deve fornire e come la deve raccontare; il tutto al fine di consentire al ricettore la possibilità di analisi senza condizionamento ma non escludendo una sommessa via di guida verso l’accertamento della verità, quella possibile ovviamente; oltre all’affermazione del pensiero diretto del propositore che dovrà sempre cercare di rispettare i principi sopra enunciati. Insomma il giornalista non deve mai massificare i suoi ricettori.

            Non sempre ci sono riuscito a fare tutto quanto fin qui descritto, sicuramente ci ho sempre provato; a conferma del mio pensiero mi ha scritto un assiduo lettore di Padula, Giovanni Cirone, che è stato capace di restituirmi rinvigorendola quella voglia di fare chiarezza passando anche attraverso i sentimenti della gente. Non è la panacea di tutti i dubbi che da sempre mi accompagnano quando scrivo sui giornali o quando parlo in tv, di certo mi fornisce gli elementi di ricarica individuale per continuare a svolgere questo antico, difficile e affascinante mestiere:

            “”Caro Aldo, la grandezza del tuo scritto non risiede nello tsunami emotivo che investe chi lo legge, ne’ nella immedesimazione di alcuni che hanno avuto la medesima esperienza dolorosa, ne’ nella necessita’, che tutti abbiamo, di condividere il nostro stato d’animo. Ritengo, invece, che tu abbia sconvolto il canovaccio del dolore, conseguente ad una scomparsa. Normalmente, e’ chi resta che, invocando un segno da colui che e’ dipartito, cerca di arginare il proprio stravolgimento emotivo; nel nostro caso, colui che se n’ e’ andato non piange, ma rimpiange e, soprattutto, ringrazia chi lo ha aiutato. La protagonista della storia non e’ la morte, ma la vita, che allora assume dignita’ solo quando e’ stata vissuta in un alveo di amore. Ogni storia, vera o presunta, assume importanza, quando afferma e trasmette valori universali. Tu, amico mio, non hai trasmesso, soltanto, emozioni, bensi’ hai, con la disperazione derivata dal dolore, sublimato l’ amicizia, la gratitudine, l’ amore, l’ affetto, sentimenti che la nostra umanita’ ha, purtroppo, ormai, dimenticato, a vantaggio di un esasperato, vuoto edonismo””.

            Per la cronaca nell’articolo commentato dal “mio lettore” avevo riferito la storia di una mia serata in compagnia di un amico e dell’immenso dolore evidenziato da quest’ultimo nel momento in cui venne raggiunto dalla telefonata che gli annunciava la morte della mamma. L’esclamazione “Madonna mia, proprio adesso” mi aveva, anche a distanza di anni, portato a riflettere su quanti modi e in quante maniere il dolore può essere espresso ed al tempo stesso commentato da chi lo vive direttamente e da chi ha la fortuna, in quel momento, di non viverlo.

            Grazie Giovanni per la lealtà, la serenità ed anche la forza espressiva che mi hai trasmesso con il tuo scritto a commento di un mio articolo.

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