Aldo Bianchini
SALERNO – “Qualcuno diceva che solo gli stolti non cambiano mai idea, ma a noi stolti coerenti non sfugge neppure chi, “troppo intelligentemente”, le ricambia ad ogni folata di vento”. Ha scritto proprio così l’impenitente Giovanni Graziano (Coordinatore Vallo di Diano e Componente Assemblea Nazionale Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale) in merito alla mia metodologia giornalistica che, ovviamente, non conosce perché non ha quasi mai letto i miei articoli che, contrariamente alla stampa che tratta solo la cronaca, riguardano essenzialmente gli approfondimenti delle notizie che a ragion veduta devono essere trattate in più puntate (si aggiorni e legga di più Graziano poi e a tempo debito gli risponderò !!). Qualche altro, invece, si schernisce nel commentare anche la numerazione che spesso dò ai miei articoli al fine di creare una serie definita di puntate; soltanto leggendole tutte (chi le vuole leggere) si può capire il filo del racconto che spesso è anche lungo (ad esempio oltre 150 articoli sul Caso Gambino che era di FI, del PdL e di FdI –gli stessi partiti di Graziano).
Ho fatto questa doverosa premessa per affrontare in maniera più comprensibile l’argomento di oggi che riguarda: i migranti, una nave, due magistrati e un ministro della repubblica.
Non c’è nessuno che possa osare di affermare il contrario quando dichiaro che in materia di “stato di diritto” da difendere sono stato sempre in prima fila schierandomi quasi sempre contro quella parte d ella magistratura che irrompe sulla scena della “giustizia distributiva” (che è propria della politica) invece di curare al meglio la “giustizia commutativa” che è di loro specifica competenza. In materia non so se qualcuno del centro destra, non interessato da procedimenti giudiziari, abbia saputo fare la stessa cosa.
Nelle ultime settimane ho seguito con molta attenzione le vicende della nave “Diciotti” attraverso le varie dichiarazioni dei protagonisti e i numerosi talk show televisivi; tutti, o quasi d’accordo, ad accogliere ogni specie di migranti per poi, quando il problema viene calato sul territorio, assistere ai violenti e ripetuti contrasti delle popolazioni residenti contro l’accoglienza e l’integrazione. Di sicuro viviamo davvero nel “Bel Paese”.
Non ne parliamo proprio quando, poi, sulla questione dei migranti e dei salvataggi in mare con le ONG intervengono i magistrati; in quel preciso momento è la fine di ogni strategia politica e di ogni movimento volontario.
Almeno dal mio punto di vista due magistrati sono stati capaci, negli ultimi dodici mesi, di sconvolgere la politica nazionale colpendo apparentemente sia a sinistra che a destra ma nella sostanza soltanto a destra se consideriamo che nel precedente governo Gentiloni c’erano diversi ministri riconducibili al centro destra.
Palo dei magistrati Carmelo Zuccaro (capo della procura di Catania) e Luigi Patronaggio (procuratore capo di Agrigento) che con la loro azione contro e pro la migrazione clandestina hanno inferto due colpi mortali a due governi nazionali di diversa estrazione elettorale.
Contro il governo Gentiloni (ovviamente non volendo) si incaponì Zuccaro con l’inchiesta sulla legittimità dell’azione delle ONG e il conseguente sequestro temporaneo della nave “Open Arms” con 218 migranti a bordo (azione giudiziaria che i pentastellati e i leghisti hanno cavalcato in maniera inverosimile contro la sinistra) e nessuno che gridò allo scandalo (ci provò soltanto una piccola parte della sinistra) avanzando accuse come quelle lanciate contro Salvini da un altro magistrato.
La seconda azione, quella di Patronaggio è stata ancora più devastante e rischia seriamente di mettere in crisi il neo governo giallo-verde; Salvini da ministro ha ordinato di bloccare lo sbarco dei migranti dalle nave “Diciotti” ed ecco arrivare, puntuali come l’orologio svizzero, l’accusa di “sequestro di persona, carcerazione illegittima e abuso d’ufficio”. Patronaggio, per la cronaca, aveva in passato già attaccato il ministro Angelino Alfano; la storia era quella di un presunto giro di relazioni fra i potenti, tra cui compariva il nome del padre di Alfano.
Due magistrati, quindi, che con la loro azione hanno seriamente messo a rischio le scelte elettorali del popolo in quanto non hanno attaccato i due governi per reati penali materiali e contestabili, ma hanno messo in discussione le scelte politiche di questi due governi che si sono mossi, ovviamente, sulla base di un suffragio elettorale e, dunque, nell’interesse del Paese; sia il governo Gentiloni che il governo Conte.
Non mi dilungo oltre; lascio a Voi lettori il giudizio nel merito; posso soltanto tracciare alcune linee chiarificatrici sull’azione dei due alti magistrati (fonti “TPI NEWS” e “Il Corriere del Mezzogiorno”):
- Luigi Patronaggio è il procuratore che ha aperto un fascicolo di indagine a carico del ministro dell’Interno Matteo Salvini, accusato anche di sequestro di persona per il divieto di sbarco durato cinque giorni del pattugliatore della Marina Militare Diciotti al porto di Catania. Luigi Patronaggio ha 60 anni, ma prima di fare il magistrato era un funzionario delle Poste. Non è la prima volta che si trova faccia a faccia con gli inquilini del Viminale. Prima di arrivare a iscrivere l’attuale ministro dell’Interno nel registro degli indagati, era stato Angelino Alfano a finire nel radar del pm. E la storia era quella di un presunto giro di relazioni fra i potenti indicati da Patronaggio, tra cui compariva il nome del padre di Alfano. Quelle indagini portarono anche alle dimissioni del prefetto di Agrigento, Nicola Diomede. Da sostituto procuratore di Palermo, Patronaggio ha avuto modo di conoscere Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, definiti “amici dell’ultima ora”. Dopo le stragi, indagò su Rino Nicolosi, all’epoca presidente della Regione Sicilia poi morto di cancro. Fu lui a condurre le indagini sugli assassini di don Pino Puglisi e sempre Patronaggio, in qualità di sostituto procuratore generale di Palermo, chiese la condanna per il cofondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri. Ma non solo. Fu sempre Patronaggio a occuparsi delle indagini sul generale Mori, che non aveva perquisito la villa-covo del boss Totò Riina. A 38 anni, nel 1996, dopo le indagini sugli assassini di Padre Puglisi, minacciato dalla mafia, decise di lasciare la procura di Palermo.
- Carmelo Zuccaro è il procuratore di Catania che punta il dito contro le Ong. Catanese, alle dieci di sera è ancora in ufficio. Disponibile, ma riservato e solitamente misurato nelle sue dichiarazioni, guida i pm etnei dal giugno del 2016. . È diventato procuratore della Repubblica di Catania nel giugno del 2016 ottenendo al Csm 16 voti contro i 7 andati all’altro candidato, Carmelo Petralia. Una soluzione di piena continuità visto che Zuccaro era, come aggiunto, praticamente il braccio destro dell’ex capo dei pm Giovanni Salvi. Le sue recenti dichiarazioni su possibili legami tra i trafficanti di migranti e alcune Ong stanno sollevando molte polemiche, ma Zuccaro non è magistrato che cerca i riflettori: predilige il lavoro di squadra e non manca mai di elogiarlo durante gli incontri con la stampa. Profondo conoscitore del territorio etneo, è proprio a Catania che Zuccaro è nato, ha studiato Giurisprudenza e poco dopo è diventato ufficiale di complemento nella Guardia di Finanza, privilegio concesso soltanto ai 50 migliori laureati. Da magistrato Zuccaro inizia la carriera a Caltanissetta, poi sarà pretore a Paternò fino al 1989, anno in cui entra a far parte della procura di Catania, dove nel 1991 viene istituito, affidandogli il coordinamento, il gruppo della Direzione Distrettuale Antimafia. Nel 1996 ritorna a Caltanissetta, per presiedere la Corte D’Assise. Sono gli anni dei processi sulla strage di Capaci e su via D’Amelio Ter. Dal 2001 al 2009 Zuccaro guida la Procura di Nicosia, poi diviene aggiunto a Catania, dove continuerà la carriera fino a diventare capo dei pm.
Quanto ha inciso e quanto potrebbe incidere rispettivamente l’azione dei due magistrati sulle scelte politiche nazionali e, soprattutto, sull’orientamento degli elettori ? A Voi la risposta.