Aldo Bianchini
SALERNO – Poco più di un mese fa c’è stata la discesa in campo di Monsignor Giuseppe Casale (arcivescovo emerito di Foggia e già vescovo di Vallo della Lucania) per l’ennesimo tentativo di addebitare questa volta alla mafia l’efferato omicidio dell’ex sindaco pescatore Angelo Vassallo che per anni in tanti hanno cercato di far passare come delitto della camorra. Capisco che al di là dell’accezione linguistica la differenza tra la mafia e la camorra è ben poca cosa, ma tirare in ballo la cosiddetta “mafia burocratica” mi è parso, scusate l’ardire, a dir poco azzardato; anche perché quest’ultima topologia di mafia è qualcosa di indefinibile e di ancora più misterioso di tutte le mafie, le camorre, le ‘ndrine, e cose varie.
Capisco anche la coraggiosa iniziativa della dirigente scolastica dell’istituto di Pollica, Gabriella Russo, nel voler pervicacemente attivare un presidio di “Libera” dedicato ad Angelo Vassallo proprio nel dorato paese cilentano, ma non comprendo l’eccitazione che ha pervaso l’eminente arcivescovo nel glorificare, con una lettera molto forte, tale rispettabilissima iniziativa; infatti quando si parla di legalità è sempre un momento molto positivo, soprattutto se lo si fa nelle scuole di ogni ordine e grado.
Non capisco proprio, invece, quando l’alto prelato scrive e spiega la mafia burocratica; facendo leva probabilmente alle sue conoscenze dirette maturate nei diversi anni spesi alla guida della curia vallese ha stigmatizzato brutalmente la società cilentana utilizzando parole pesanti ma di sicuro effetto: “Nel Cilento la camorra è l’espressione di una burocrazia mafiosa … Gentile e distinta signora Russo esprimo tutto il mio apprezzamento per la coraggiosa azione che lei conduce a Pollica, come educatrice di giovani e responsabile del presidio di Libera … Nel Cilento, la camorra non è violenta. È l’espressione di una “burocrazia mafiosa” che mette insieme interessi personali, familiari e di parte, per rapinare le poche risorse del territorio; per dividersi la torta degli interventi regionali e statali, per compiere opere secondarie che non convergono in un progetto unitario di profondo cambiamento”. Da censore integerrimo, quale dovrebbe essere un alto prelato e qual è l’arcivescovo emerito Giuseppe Casale, il religioso si erge a paladino della legalità ed a profondo conoscitore di una società che sarà sicuramente permeata da tutti i difetti e i vizi della gran parte del popolo italiano e lancia messaggi molto trasversali sugli interessi familiari e sulle risorse del territorio scrivendo di una torta degli interventi regionali e statali da dividere, addirittura per compiere opere secondarie che non convergono in un progetto unitario di profondo cambiamento.
Molto pericoloso quello che scrive l’arcivescovo nella sua accorata lettera; a parte la definizione poco felice, se non proprio offensiva, di una intera popolazione cilentana c’è qualcosa di altro che attiene la responsabilità del prelato. Difatti se sa deve dire, se sa deve denunciare, se sa deve andare in Procura; non può un personaggio come lui limitarsi a lanciare accuse generalizzate senza entrare nello specifico. Anche perché “lo specifico” nella fattispecie potrebbe essere facilmente sovrapponibile alla triste e tragica vicenda Vassallo che è rimasta ancora senza risposte. Insomma, per dirla tutta, non abbiamo necessità di accuse generiche e forse depistanti; abbiamo bisogno di denunce chiare, precise e ravvicinate per aiutare gli inquirenti nella difficile ricerca non dei colpevoli ma “del colpevole” come sostengo da tempo.
Il delitto Vassallo è un delitto d’impeto, questo l’ho scritto numerose volte e continuo a ribadirlo, ma io contrariamente all’emerito arcivescovo mi sono presentato in Procura a Salerno ed ho fatto la mia deposizione sulla conoscenza diretta di alcuni fatti; una deposizione che lo si creda o meno ha senza dubbio aiutato gli inquirenti (parlo della dott.ssa Rosa Volpe) a fare dei passi avanti verso l’esclusione dei presunti colpevoli sulla strada inquisitoria della camorra e della droga; cose che non c’entravano proprio niente con l’omicidio che dal 5 settembre del 2010 attende giustizia e che nonostante le reiterate ed inutili promesse dell’ex procuratore Franco Roberti è rimasto tuttora eseguito da ignoti. Men che meno c’entra la “mafia burocratica” chiamata in campo dal presule in maniera, secondo me, inappropriata.
In questo mio esame della lettera dell’arcivescovo emerito mi ha sorpreso anche il tenore della lettera dell’ex procuratore capo di Vallo della Lucania, Alfredo Greco, che rispondendo alla lettera pubblicata su un quotidiano vallese scrive: “Caro direttore, ho appena letto la magnifica lettera di monsignor Casale, esame lucido, rigoroso e attento del territorio cilentano e specchio fedele di tutto il Paese. Mi sento in dovere di ringraziare uomini come lui che si sforzano ancora di richiamare l’attenzione della società civile e delle stesse istituzioni sul vero grosso tumore che affligge e inquina, corrode e corrompe uomini, coscienze e culture. Sì, culture di malata accondiscendenza allo stratagemma, alle furberie, alle raccomandazioni che finiscono per impastare un popolo e condurlo a quella «burocrazia mafiosa » di cui parla il vescovo Casale e che solo quello sta aspettando senza aver più bisogno neanche di ricorrere alla violenza”. Questa volta non sono d’accordo con Greco che, pur rimanendo il mio modello di magistrato moderno, si è lasciato andare a considerazioni logiche ed estemporanee che fanno presa ma non danno risultati e che, nella fattispecie, sono servite soltanto ad irrobustire il pensiero del religioso.
Sarebbe stato molto bello, invece, se i due personaggi mettendo insieme le rispettive conoscenze e competenze avessero fatto nomi e cognomi di quei politici – imprenditori – affaristi che da decenni si dividono le fette della grande torta degli interventi statali e regionali, lasciando semmai spazio e campo ai flussi del commercio e dello spaccio di roga che sicuramente nel Cilento (come in tante altre zone del Paese) non mancano.
Le cause dell’omicidio Vassallo non sono da ricercare nelle considerazione di monsignor Casale e neppure in quelle del dott. Greco; le cause sono altrove e sono anche sotto gli occhi di tutti; sembra, però, che un muro di gomma ostacoli le indagini in specifiche e singole direzioni. Io ho fatto più del mio dovere presentandomi in Procura; spetta ad altri andare avanti per la strada giusta.