SALERNO – Non sono mai stato tra quelli che, per qualche lettore in più, ha artatamente selezionato tutte le notizie di “mala sanità” prima di pubblicarle; sicuramente spesso non ci sono riuscito ma ho cercato sempre di non schierarmi in maniera pregiudizievole sia per l’una che per l’altra parte.
Prova ne è, ad esempio, la triste vicenda degli ottocento cosiddetti “furbetti del cartellino”; contro i titoloni dei giornali ho sempre volato basso e la cronaca di queste ultime settimane in gran parte mi ha dato ragione.
Con lo stesso piglio mi avvicino al racconto di un piccolo ma significativo esempio di “buona sanità” consumatosi tra le mura dell’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, meglio noto come il Ruggi; un episodio forse piccolo ma abbastanza chiarificatore su come la sanità pubblica, anche al sud, può e deve funzionare. Ho sempre detto, ed ora a maggior ragione lo confermo, che tutto dipende dalla sensibilità e dalla responsabilità dei singoli addetti, molti dei quali (come nella fattispecie) hanno intrapreso la loro professione come una missione e non come un mestiere finalizzato all’ottenimento dello stipendio a fine mese.
Mi permetto di raccontare il fatto perché riguarda me personalmente e, quindi, non vado incontro ad alcuna violazione della privacy.
Nella giornata del 29 marzo scorso, giovedì, dovevo essere sottoposto al controllo ed alla programmazione del pace maker di cui sono portatore; siccome si trattava di un controllo fissato alcuni mesi fa ho incomprensibilmente dimenticato l’appuntamento utile alla mia stessa salute.
Verso la fine della mattinata sono stato raggiunto da una telefonata, molto cordiale, nel corso della quale la mia interlocutrice (presentatasi come operatrice del Ruggi) mi chiedeva, con assoluta sensibilità e con voce molto cauta, il perché della mia assenza dalla visita presso il Ruggi. Balbettando qualcosa ha risposto di essermi semplicemente dimenticato; “va bene” risponde la voce femminile “non si preoccupi e venga il prossimo 6 aprile munito di regolare richiesta medica”. La mattina del 6 aprile mi sono regolarmente presentato presso la divisione di elettrostimolazione retta dal dr. Manzo (cordialissimo e molto professionale) assistito dalle splendide Manuela e Brigida, anche loro preparate, attente e sensibili.
Il controllo è andato bene (fortunatamente !!) ma avevo portato la richiesta medica senza essere passato prima per il ticket; niente di grave, sono stato avviato presso l’ufficio competente dove, dopo aver atteso qualche minuto, mi sono ritrovato di fronte a Loredana (una bruna molto mediterranea, imponente e sanguigna, ma comprensiva e disponibile ad ogni spiegazione) che mi ha subito fatto pagare il ticket relativo (suggerendomi che la prossima volta potrò farlo anche in farmacia) ed ha timbrato la richiesta medica che ho riportato alla divisione di elettrostimolazione.
Sono andato via dal grosso plesso ospedaliero con una convinzione molto diversa da quella con cui, alcune decine di minuti prima, ero arrivato.
Così deve funzionare la sanità pubblica, non ci sono alternative; prendere o lasciare.
direttore: Aldo Bianchini