Angelo Giubileo (scrittore)
SALERNO – Stavolta il cronista auspica che vi mostriate ancora più benevoli nei suoi confronti e con maggiore pazienza siate quindi disposti ad ascoltarlo. Il mio primo articolo di politica – Pci: identità e mutamento – risale ormai al lontano ottobre 1989, rispetto al presente un tempo direi sufficiente per trarre un bilancio di un’esperienza che potrebbe anche dirsi completa, e questo perché caratterizzata da un passaggio senz’altro epocale: dalla caduta del Muro di Berlino all’attuale crisi di modello dell’Unione europea.
L’eco del primo vagito dell’Unione si è diffuso sull’intero territorio europeo a partire dal 1° novembre 1993, data in cui è entrato in vigore il Trattato di Maastricht sulla libera circolazione di persone e il libero scambio di beni. Un’eco d’indiscutibile di apertura al mondo intero, e quindi l’inizio e l’apertura di una nuova fase di globalizzazione. Quest’iniziativa diventava possibile perché gli stati aderenti consentivano alla cessione, in quota-parte, della propria sovranità nazionale, esercitata fino ad allora in base ai principi sanciti nei Trattati della Vestfalia del 1648.
Dopo 25 anni, l’esperienza europea suggerisce al cronista che il difficile, già sulla carta costituzionale, rapporto di equilibrio tra poteri nazionali e sovranazionali dell’Ue vive ora un periodo di “crisi” (sigh), in forza di dinamiche complessive che, inequivocabilmente, in parte chiudono alla libera circolazione di persone ma, almeno a quanto sembra finora, non anche al libero scambio di beni. Per entrambe le forme di aperture, non resta quindi che sperare in bene!
Nomen omen dicevano i latini, e neanche i primi a fare i conti con uno spazio di modello “imperiale”, e intendevano che il destino o la natura di ogni singola cosa sia significata (vanitas vanitatum, vanità delle vanità) dal nome (significante) dato dai mortali, così come ci direbbe il sempiterno Filosofo di Elea. Pur se, alla stregua di tutti gli altri sapienti, l’Eco, quello de Il nome della rosa, ci ricorderebbe anche opportunamente che, in fondo, di questo occorre accontentarsi: nomina nuda tenemus. Possediamo soltanto nudi nomi!
E allora, sovviene a questo ancora fortunato cronista che nell’inglese antico le vocali anteriori, che precedono nel linguaggio, e tra queste la i, passando per la fase della cosiddetta armonizzazione dell’apertura dei dittonghi, condussero alla formulazione di scritte, senza cosiddette distinzioni di segni quantitativi, e tra queste ea. Un esempio, che qui coglie esattamente nel segno: da lider a leader.
Chi dirà ancora che, con l’inizio di tangentopoli, noi non fossimo pronti a entrare nell’Unione, che poi, il 1° gennaio 2002, sarebbe sopraggiunta con l’euro? Chi lo dice, sbaglia e, se mente, sa di mentire. Perché dico questo, caro lettore?
Perché: a partire da pochi mesi prima dell’entrata in vigore di Maastricht veniva benedetta da noi una perdurante fase legislativa che avrebbe attribuito agli organi monocratici di governo, locali e nazionali, nuovi e sempre più ampi poteri. In simbiosi con l’introduzione di un “nuovo” sistema elettorale, posto a fondamento di una nascente e “nuova Seconda Repubblica”, di tipo maggioritario. Quale vana illusione, anche per il vostro sfortunato cronista!
In Europa, i leader si aprivano al mondo; mentre, a parte i molti mari italiani di parole dei media, in Italia i lider si chiudevano e trinceravano all’interno dei propri spazi di potere: comuni, province, regioni, governo. Facendola breve, quale nome attribuireste alla politica italiana di questi ultimi 25 anni? Senz’altro, il nome del berlusconismo (e antiberlusconismo) e, in fine, quello del renzismo (e antirenzismo). Escalation e fine dell’epoca dei lider, che non divennero, perché mai lo furono, leader.
Cari elettori, sappiate infatti che il prossimo 4 marzo non potrete votare per alcun leader; dato anche che le maggiori forze che hanno retto il sistema del passato, FI e PD, non hanno dato alcuna indicazione di e in tal guisa; tutt’al più potremmo mostrare una preferenza per lider quali, in rigido ordine alfabetico, Di Maio, Meloni o Salvini! Come dire che, al di là pur di noi stessi, sia di nuovo il caso che, a norma dell’articolo 92 della Costituzione, fortunatamente ancora in vigore, il Presidente della Repubblica (e non il Capo dello Stato) nomini il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.
Dal 5 marzo, toccherà quindi a Sergio Mattarella, quell’allora deputato che – la citazione è di Marco Damilano – il 12 ottobre 2005, nell’aula di Montecitorio, in merito all’iniziativa dell’approvazione dell’allora nuova legge elettorale, debitamente proruppe: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, con l’emendamento approvato ora dalla maggioranza, la parola ‘capo’ entra per la prima volta nella terminologia delle nostre leggi. Ci rendiamo conto e, soprattutto, vi rendete conto, lo dico con allarme, di cosa significa?”. Il vostro cronista ammetterà che non se ne sia reso subito conto; diversamente, invece, (altro che #cambiaverso) di quanto accaduto con la degenerazione del renzismo, ultima espressione di un sistema di potere, autarchico, rivelatosi soprattutto fallimentare. Per i comuni, le province, le regioni, lo stato e finanche l’Europa.
Bentornato, proporzionale!