Aldo Bianchini
SALERNO – Nel corso della mia lunga esperienza di “cronista giudiziario” ai tempi della stagione stragista di tangentopoli (strage intesa come distruzione di un’intera classe politica, tranne il PCI) ho maturato, con fermezza, la convinzione che la cosa più importante nella guerra tra politica e magistratura è difendere lo stato di diritto. Ero e sono socialista, ero e sono quindi un garantista in maniera assoluta.
E non posso, dunque, non essere garantista quando mi accingo a commentare le disavventure giudiziarie di Roberto e Piero De Luca, i due rampolli del governatore della Campania. Perché nel Grand Hotel di Salerno, ieri, ho avuto la sensazione che più di qualcuno, preso dalla recenti notizie giudiziarie su Roberto, abbia dimenticato che il 24 marzo prossimo il candidato alla Camera Piero De Luca sarà alla sbarra come imputato nella prima udienza del processo a suo carico per bancarotta fraudolenta.
Da queste riflessioni intime e non espresse, perché intorno a me c’erano alcuni sgherri deluchiani, mi ha svegliato il grido passionale di Mimmo Volpe (anch’egli candidato alla Camera): “Tutti insieme faremo questa battaglia e vinceremo per te: Roberto !!” si, proprio quell’unità di intenti che era mancata ai socialisti degli anni ’90 e che è mancata ai politici del centro destra in questi ultimi venti anni. Un plauso sincero per Mimmo Volpe.
Difatti qualche minuto prima nel silenzio ovattato del Grand Hotel il figlio minore di Vincenzo De Luca, Roberto, aveva annunciato sensibilmente e convintamente commosso di aver rassegnato le sue dimissioni da assessore al bilancio del Comune di Salerno nella mani del sindaco Enzo Napoli. Tutto questo, però, è una strategia politica che non paga, che non rende i frutti desiderati perché, anche senza entrare nel merito della vicenda che vede Roberto indagato per corruzione, i piagnistei e le commozioni non servono a nulla se non ad esacerbare ancor di più gli atteggiamenti che spesso tracimano fuori le righe della magistratura, e non solo.
Ad esempio ecco cosa ha scritto sul web Gaetano Amatruda, già portavoce di Stefano Caldoro e vice coordinatore provinciale di FI,: “Roberto De Luca ed il Pd salernitano evitino sceneggiate. Le dimissioni sono, al momento, una trovata mediatica, per alleggerire la pressione della opinione pubblica, e non un atto concreto. Rimettere il mandato nelle mani del Sindaco significa nulla. Nulla perché e’un atto simbolico, politico e significa nulla perché tutti sanno che l’autonomia politica di Vincenzo Napoli è scarsa. È facile immaginare che a decidere sarà sempre il governatore De Luca. Il sindaco di Salerno dimostri, allora, autonomia ed accetti le dimissioni, le faccia firmare e protocollare. Dimostri di essere il primo cittadino e non il cameriere di casa De Luca. Accetti le dimissioni non per l’inchiesta giudiziaria, che non può determinare le scelte della politica, ma per avviare una concreta operazione verità sul sistema De Luca. E’ il momento dell’autonomia politica e del coraggio“. Come non credere a Gaetano Amatruda, per smentirlo ci vorranno atti consequenziali seri, ravvicinati ed inappuntabili.
Ma, del resto, è altrettanto vero che la “dinasty deluchiana” è sotto attacco mediatico, come negarlo; così come potrebbero essere veri i taroccamenti dei filmati che incastrerebbero Roberto, siamo troppo abituati a simili circostanze che per un garantista devono essere presi in seria considerazione sempre, sia quando accadono a sinistra che quando si evidenziano a destra.
Non vedo, però, come si fa ad invocare (come è stato fatto nel Grand Hotel) onestà e trasparenza quando il figlio candidato dovrà presentarsi a processo il 24 marzo 2018 e il figlio assessore è indagato per corruzione; voglio ricordare a tutti che durante tangentopoli l’attuale governatore si scrollava tutti di dosso accusandoli di essere ladri; peccato che non difese quegli innocenti (perché alla fine furono dichiarati innocenti !!), oggi avrebbe avuto più peso la sua invocazione di attacco mediatico, di onestà, di trasparenza e di filmati taroccati. Ma non mi interessa, io continuerò a credere che i figli del governatore siano assolutamente innocenti, almeno fino a sentenza passata in giudicato.
Al Grand Hotel, ieri domenica 18 febbraio, non c’era la “folla oceanica” che accompagnava il governatore, c’era sicuramente la folla ma era una “folla di mare”, e tra oceano e mare c’è una bella differenza; neppure gli applausi erano così scroscianti sui temi di cui innanzi; sono stati, invece, convinti, quando Roberto ha annunciato le sue dimissioni.
Non avevo mai ascoltato Piero De Luca e devo confessare che ho sentito un discorso convinto, serio e palpitante; ma inquadrato comunque in quegli schemi fissi, triti e ritriti, della maggior parte dei candidati. Ovvero nulla di nuovo.
Se fossi nei panni della “De Luca family” starei molto attento; qualcosa stà cambiando e, forse, qualcosina incomincia a scricchiolare; non per niente, e non a caso, in pochi giorni hanno acceso i riflettori nell’ordine: L’Espresso (n. 7 dell’ 11 febbraio 2018) che ha dedicato alla family ben quattro pagine con il titolo “Vincenzo m’è padre a me”; il Corriere della Sera del 15 febbraio 2018 con un fondo di Gian Antonio Stella dal titolo: “Io (non) figlio di papà”; e tutti i giornali locali del 16 febbraio 2018 con titoloni ad effetto che possono essere racchiusi in “Rifiuti e tangenti, indagato anche Roberto De Luca”. Insomma qualcosa si è messo in movimento se tutti insieme, giornali – periodici e tv nazionali, stiano picchiando, anche ingenerosamente, la “De Luca family”.
Qui il discorso è un altro; la magistratura è una casta invincibile ed avendo capito che picchiare sempre e solo a destra alla fine non avrebbe pagato (leggasi provvedimenti adottati dal governo Renzi) ha incominciato ad inserire in ogni inchiesta e a vario titolo personaggi politici di destra e di sinistra.
Ma in conclusione una cosa la devo scrivere per forza, altrimenti tradirei la mia onestà intellettuale. Prima dell’inizio della manifestazione nel Grand Hotel la troupe deluchiana ha distribuito “le felpe di Piero”, un pensiero gentile che evidenzia un nuovo modo anche intelligente di fare propaganda politica, difatti sulle felpe c’era scritto “Piero De Luca – il mio impegno”. Ho assistito a scene di accattonaggio puro con gente, anche di una certa levatura sociale, che si è lanciata sulle felpe per accaparrarsene qualcuna, anche se non potrà usarle per strada a causa del nome sul petto; un professionista (non faccio il nome perché ho pietà di lui) ne ha arraffate addirittura tre, mentre uno dei capi della tifoseria granata ne sbandierava due; e tutti soddisfatti, quasi tronfii, con petto in fuori e felpe sotto il braccio. Uno squallore assoluto.