SALERNO – La notizia, forse, era gia’ nell’aria; ma quando un fatto negativo arriva e’ sempre duro doverlo accettare. Ovviamente nulla ancora e’ compromesso, la farraginosita’ del sistema giudiziario italiano offre sempre varie vie di uscita in una sorta di batti e ribatti all’infinito; e quindi il gruppo Pisano avra’ tutto il tempo e il diritto di ricorrere nuovamente contro il pronunciamento della Suprema Corte. E tutto puo’ ricominciare daccapo.
Lo scorso 28 settembre 2017 la Cassazione aveva annullato, parzialmente, il dissequestro del polo industriale di Fratte che era stato liberato da un precedente sequestro grazie al decreto dirigenziale del 2012 che dava il via libera alla cosiddetta AIA (autorizzazione integrata ambientale). La Cassazione, in pratica (come si e’ appreso da pochi giorni con la pubblicazione delle motivazioni), si e’ mossa su due direttrici ben precise:
1) una cartografia della zona infedele (in quanto considerava soltanto il 50% dell’area produttiva effettivamente occupata dall’azienda);
2) i giudici nella loro ordinanza di dissequestro non avrebbero tenuto conto dell’impatto delle emissioni olfattive moleste provenienti dall’impianto.
Come prima considerazione mi sembra alquanto surreale che i giudici del riesame non si siano accorti della presunta infedelta’ della cartografia; per crederci bisognerebbe pensare a magistrati quantomeno distratti per non dire incapaci di leggere nei segreti dei fascicoli sui quali si basa ancora la nostra giustizia.
Un sequestro comunque strano, richiesto e firmato dal gip in data 5 luglio 2016 e poco dopo contestato dal Riesame, per essere contestato di nuovo dalla Procura della Repubblica che alla luce delle recenti motivazioni della Cassazione vede riconosciute, anche se in parte, le sue richieste di un nuovo sequestro. Questo nostante nell’aria divenuta pesante, e non per colpa delle Fonderie, si fa strada uno strana domanda: “Ma anche il Pm presente dinanzi al Riesame non si era accorto della cartografia infedele ?”. Perche’ a ben pensare gli stessi fascicoli, cosi’ come istruiti, stanno andando avanti e indietro per le varie sedi giudiziarie, ma nella sostanza sono sempre gli stessi. La Cassazione, forse, avrebbe dovuto mettere in evidenza anche il comportamento processuale del PM visto e considerato che gia’ nel fasciolo depositato dalla Procura presso il Riesame era evidente (secondo la Cassazione) che “a sostegno della richiesta di Autorizzazione, infatti, sarebbe stata completamente omessa «la presenza di uno dei manufatti destinati alle attività industriali, con la conseguenza che non sarebbe stato evidenziato un immobile che rappresentava circa il 50% dell’intero impianto”. E questo lo afferma la Cassazione nelle motivazioni a supporto della sentenza; quindi avrebbero sicuramente sbagliato in tre: il PM e il Riesame nell’esame del fascicolo e la Pisano per aver contraffatto la cartografia dell’area industriale.
Davero un guazzabuglio inestricabile in un panorama gia’ visibilmente compromesso da indecisioni, da tentennamenti e posizioni sbagliate.
Mi sono soffermato piu’ del dovuto sui predetti passaggi perche’ il magistrato che piu’ di tutti li ha sostenuti riuscendo a portarli a sentenza e’ un magistrato salernitano di lungo corso, Vito Di Nicola, nella sua qialita’ di relatore della terza sezione della Cassazione con presidente Giovanni Amoroso. Per la cronaca ricordo ai piu’ giovani che Di Nicola e’stato uno dei protagonisti principali della tangentopoli salernitana negli anni ’90 insieme al collega Luigi D’Alessio ora al comando della Procura di Locri. Quando ho letto che il relatore dinanzi alla terza sezione della Corte di Cassazione era stato Di Nicola mi sono rasserenato, nel settembre scorso, alla notizia del nuovo sequestro delle fonderie. Tra me e me dissi che Di Nicola, certamente super partes, rappresentava il giusto tassello finale ad un processo troppo politicizzato e spinto oltre ogni misura, senza tener conto delle esigenze di un imprenditore di avere certezze ferme e ravvocinate, in modo tale da poter programmare i futuri investimenti e lo sviluppo occupazionale della propria azienda. Alla lettura delle motivazioni, non lo nego, sono rimasto alquanto deluso perche’ tra corsi e ricorsi almeno a me appare chiaro che la battaglia extra giudiziaria sulle vicende delle fonderie Pisano e’ arrivata anche in Cassazione che, come spesso accade, ha evidenziato alcuni aspetti legittimi ma non e’ andata fino in fondo per capire come sia stato possibile che un intero manufatto non sia stato debitamente registrato. E’ vero che ha rimesso gli atti con precise indicazioni procedurali sulle quali un novo Riesame dovra’ valutare il tutto nel solco tracciato dai magistrati del Palazzaccio.
Mi verrebbe da fare un parallelo tra la vicenda Italcementi (il famigerato cementificio alla foce dell’Irno) e la vicenda Fonderie Pisano per evidenziare ancora una volta due pesi e due misure. Per l’Italcementi gli Enti pubblici costruirono passerelle privilegiate e lanciarono molte scialuppe in acqua per arrivare alla conclusione che la Italcementi si ritrovo’ con uno stabilimento nuovo e moderno senza aver speso un centesimo per l’abbattimento di quello che era veramente un mostro in una Salerno ormai cresciuta a dismisura sul piano urbanistico.
Capisco che la Italcementi era ed e’ un colosso a livello internazionale, ma credo che la Pisano meriti lo stesso trattamento, e non solo per salvare gli oltre cento posti di lavoro che rischiano di saltare per sempre.
Il governatore Vincenzo De Luca tiri fuori dal suo immenso bagaglio politico (cosi’ come fece per la questione Italcementi) i modi e i tempi per garantire alle Fonderie la rielaborazione dei suoi piani industriali sotto il profilo della sicurezza e della tutela dell’ambiente ovvero una nuova e piu’ giusta collocazione per continuare ad investire nel settore anche al fine di un sicuro incremento occupazionale.