La redazione
SALERNO – Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Carissimi amici,
S.E. Mons. Luigi Moretti ha firmato la lettera per Natale indirizzata all’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno.
“Natale a scuola di umanità” è il titolo del messaggio che l’Arcivescovo rivolge a ciascuno.
“L’amore non è mai ira, ma è mitezza. La mitezza può apparire debolezza ma, in realtà, è una grande dimostrazione di forza, di forza interiore. È importante non adeguarci al modo di fare brusco, veloce, lassista che non appartiene certo alla nostra gente. La gentilezza è il punto di partenza dell’amore. La risposta positiva e disponibile ad una richiesta di aiuto non è mai sbagliata. Quante volte capita di fare del bene e di non ricevere nemmeno la parola “grazie”? Quante volte capita di dire: “Chi me lo ha fatto fare? La prossima volta non alzo un dito!” Posso dirvi, anche per esperienza personale, che sarete ripagati! Se ricevete ingratitudine dagli uomini, vi ripagherà il Signore. Non è un modo di dire per consolarvi o per illudervi. Con molta onestà, vi dico che davanti ad un gesto d’amore non riconosciuto dagli uomini, prima o poi – non si può prevedere quando o come – arriva il riconoscimento da parte di Dio, che vi guarda e vi sorride. San Francesco, una persona umile e mite, recitava così nella sua preghiera semplice: “Signore, fa’ che io non cerchi tanto di essere amato, quanto di amare”
La lettera, ricca anche di riferimenti al documento di Papa Francesco Amoris Laetitia, è uno spunto di riflessione puntuale e profondo sulle realtà del mondo contemporaneo dove si è chiamati a testimoniare la gioia dell’incontro con Gesù che nasce dopo il tempo dell’attesa.
“Nel silenzio e nella quiete guardiamo con fede e con amore il Bambino che è nato per noi: il Natale sarà davvero santo e ci porterà tanta serenità e pace” è l’augurio che con il quale Mons. Luigi Moretti chiude la lettera e non possiamo non coglierlo.
Cordiali saluti
don Alfonso D’Alessio
Carissimi,
ecco il grido di tante generazioni che hanno chiuso i loro occhi nella speranza
di vedere il giorno del Signore: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi…»
(Is 63,19) Ma il Signore ha risposto alle attese dell’umanità facendo di più: non
solo ha squarciato i cieli ed è sceso in terra, ma si è fatto uno di noi, è vissuto
come uno di noi, ha pianto come uno di noi, ha sorriso come uno di noi, ha
celebrato le nostre feste, ha accarezzato i nostri bambini, ha guarito i nostri
malati nel cuore e nel corpo, ha pianto i nostri morti, la sua casa è stata tra le
nostre case, ha parlato con le nostre parole, è morto come tutti gli uomini,
anzi sul letto scomodo della Croce e tra i malfattori, è Risorto e ci ha insegnato
a vivere da risorti i giorni della nostra vita nell’amore.
I tanti segni che caratterizzano il periodo delle feste natalizie ci ricordano
fondamentalmente la nascita del Signore Gesù ma, nello stesso tempo, la
realtà circostante spesso ci distrae da questa grande verità. Guardando oltre
gli scaffali, oltre le bellissime luminarie, oltre la musica d’atmosfera di
questi giorni, oltre gli speciali menù delle feste, possiamo vedere la straordinaria
semplicità di una nascita: quella del Bambino Gesù.
È una nascita reale, universalmente riconosciuta, che ha diviso in due parti
la storia dell’umanità. Evidentemente è considerato l’avvenimento storico
più importante, fino al punto di essere, in qualche modo, citato tutti i giorni
dell’anno. Di ogni giorno infatti abbiamo bisogno di conoscere la data: c’è
chi la guarda sul calendario appeso al muro, chi la sbircia accendendo lo
schermo del cellulare, chi strappa il foglietto del giorno passato. Scrivere la
cifra dell’anno è un atto di fede nella nascita di Gesù. Sì, è proprio un atto di
fede, spesso inconsapevole, che tutti compiamo: l’anno che viviamo indica il
numero di anni che ci separa dalla nascita di Gesù a Betlemme.
Che Gesù sia nato, non viene contestato da nessuno. Sul fatto che Gesù sia
Dio, qualcuno esprime dei dubbi. Altri invece, convinti di ciò, prendono sul
serio quanto si dice di Lui, ovvero che «Egli è la luce che illumina ogni uomo
che viene a questo mondo» (Gv 1,9) e cercano in tutti i modi, nonostante i limiti,
di mettere in pratica le sue parole che invitano all’amore.
Quante persone nella nostra Diocesi raccolgono questo invito all’amore
verso il prossimo! Quanti gesti d’amore tra sposi, quanti sacrifici dei genitori
per i loro figli, dei figli verso i genitori, magari molto anziani e malati, quanti
pensieri e gesti rivolti ai propri cari ma anche agli sconosciuti! Quanti prendono
sul serio la loro professione! Quanti lavorano per alleviare il dolore o
sanare le ferite dell’animo! Quanti si occupano davvero del benessere altrui
o si fanno compagni di strada con senso di vera umanità!
“Umanità” è davvero una bella parola! Quando si dice che qualcuno è
“ricco di umanità”, vuol dire che si comporta come una persona dovrebbe
fare. Vuol dire che considera l’altro con grande rispetto. “Mi hanno trattato
con umanità” significa che qualcuno si è occupato di me, che mi ha ascoltato
e mi ha dato la giusta dignità. È terribile sentirsi considerati come degli
esseri che non contano, senza diritto di parola, guardati dall’alto in basso,
fino a sentirsi sempre sottomessi e incapaci di prendere in mano la propria
vita. Quanti soprusi silenziosi di questo genere sopportano tante persone!
Purtroppo c’è ancora chi discrimina le donne, gli anziani, le persone che
non hanno la pelle bianca, le persone che non hanno i soldi.
Sei un alunno che non va bene a scuola, ti distrai, non sei come quelli che
prendono sempre bei voti? Ti umilio, ti lascio nella fascia bassa della classe
e magari ti faccio ripetere l’anno. Non sei un bianco come me? Non puoi
pretendere i miei stessi diritti. Sei una donna? È normale che sia tu ad occuparti
delle mansioni più umili, a lavoro e in casa. Sei anziano, hai bisogno di
cure e aiuto? Se hai una buona pensione, ti faccio aprire il portafogli, altrimenti
ti lascio le briciole. Sei in difficoltà economiche o sei uno scocciatore
che viene a chiedere lavoro? È meglio che tu stia stare alla larga da me.
Quando romperemo questo cerchio che non riconosce la dignità di ogni
persona? Fino a quando ci saranno delle persone che credono di essere
superiori alle altre? Dobbiamo impegnarci, tutti, perché le nuove generazioni
siano educate a riconoscere la dignità di ogni persona. È il messaggio del
Natale: Gesù si è fatto uomo per dirci che l’umanità è bella, che essere
uomini e donne è una realtà meravigliosa, degna di un Dio che si è fatto
uomo. Cerchiamo allora di vigilare affinché i nostri figli ben comprendano
la dignità di ogni persona. Osserviamo con attenzione i loro comportamenti
e cerchiamo di correggerli quando sbagliano. È nostro dovere farlo! Ad
esempio, insegniamo loro che il lavoro di servizio che tante persone svolgono
non va mai disprezzato: quante volte vedo i bambini e i ragazzi sporcare
l’aula scolastica, il cinema, il giardino pubblico, la camera d’albergo, il
tavolo della pizzeria, “tanto poi c’è chi pulisce!”.
Il fatto che qualcuno passerà a pulire e a riordinare non giustifica mai un
comportamento scorretto, non rispettoso o addirittura sprezzante.
Tutte le realtà educative siano davvero scuole di umanità! Quale educazione
diamo al giovane calciatore, se una partita di calcio tra ragazzini diventa un
motivo di litigio e di rissa tra adulti? Il gioco e lo sport, in questo, modo
diventano disumani. Quale educazione diamo contrapponendoci genitori
contro insegnanti? Quale dignità della persona promuoviamo seminando il
disprezzo, la noncuranza, la cultura del “pensiamo ai fatti nostri”?
L’ambiente in cui spargere umanità sia anche quello della rete web! La
prepotenza e il disprezzo che circolano sui social network sono lo specchio
dei nostri tempi. Offesa, derisione e disprezzo circolano in rete seminando
un odio invisibile ma quanto mai concreto. Se vediamo un bambino con lo
smartphone in mano non ci desta alcuna preoccupazione: sembra tutto tranquillo.
Ma cosa sta accadendo realmente? Sta subendo atti di bullismo o è lui
stesso un bullo? I bulli sono tutti figli di qualcuno, di un genitore che
dovrebbe vigilare di più, che dovrebbe essere attento a quanto scrive o
“posta” il proprio figlio.
Care famiglie, vi invito a leggere l’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia di
Papa Francesco. Il capitolo quarto ci conduce per mano alla scoperta di un
percorso che aiuta a vivere nell’amore. Il commento all’Inno alla Carità di
San Paolo è un vero manuale – un tutorial potremmo dire oggi – su come
mettere in pratica l’amore in famiglia. Sono necessari i principi, i fondamen
ti, ma occorre poi viverli nella concretezza compiendo i gesti necessari
perché l’altro sia davvero amato.
«La carità è paziente, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non
si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non
si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si
rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta»
(1 Cor 13,4-7)
Nell’amore dobbiamo prevedere la pazienza, che non è la sopportazione
passiva, perché nessuno deve sopportare la prepotenza e il sopruso. La
pazienza, piuttosto, è quella capacità di capire che l’altro può non essere
perfetto, così come non siamo perfetti noi. Da qui nasce la comprensione.
L’amore è un movimento di benevolenza verso l’altro: indica che l’amore fa
del bene agli altri e li promuove. Gli sposi si donano l’uno all’altra, senza
riserva, proprio per godere l’uno della felicità dell’altra. Le gioie dell’altro
così diventano le nostre gioie. San Paolo, non a caso, vede l’invidia come
una minaccia all’amore. L’invidia non fa più vedere l’altro, fa vedere solo il
proprio io.
L’amore vero si fa in silenzio senza vantarsi, senza ostentare. Così scrive
Papa Francesco: «Nella vita familiare non può regnare la logica del dominio
degli uni sugli altri, o la competizione per vedere chi è più intelligente o potente,
perché tale logica fa venir meno l’amore.» (AL, 94)
L’amore non è mai ira, ma è mitezza. La mitezza può apparire debolezza
ma, in realtà, è una grande dimostrazione di forza, di forza interiore. È
importante non adeguarci al modo di fare brusco, veloce, lassista che non
appartiene certo alla nostra gente. La gentilezza è il punto di partenza
dell’amore. La risposta positiva e disponibile ad una richiesta di aiuto non è
mai sbagliata. Quante volte capita di fare del bene e di non ricevere nemmeno
la parola “grazie”? Quante volte capita di dire: “Chi me lo ha fatto fare?
La prossima volta non alzo un dito!” Posso dirvi, anche per esperienza
personale, che sarete ripagati! Se ricevete ingratitudine dagli uomini, vi
ripagherà il Signore. Non è un modo di dire per consolarvi o per illudervi.
Con molta onestà, vi dico che davanti ad un gesto d’amore non riconosciuto
dagli uomini, prima o poi – non si può prevedere quando o come – arriva il
riconoscimento da parte di Dio, che vi guarda e vi sorride. San Francesco,
una persona umile e mite, recitava così nella sua preghiera semplice:
“Signore, fa’ che io non cerchi tanto di essere amato, quanto di amare.”
Vi invito, care famiglie, a tenere vicino a voi il libro del Vangelo: leggiamolo
e preghiamo dopo averlo letto. Impareremo dal Signore Gesù come vivere,
come comportarci, come affrontare le difficoltà per ritrovare serenità e
speranza. «Imparate da me – dice Gesù -, che sono mite e umile di cuore, e
troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11,29) Se la vostra vita è nella tempesta,
se le vostre giornate sono delle vere e proprie battaglie da affrontare, allora
affidatevi a Gesù. Nella preghiera troverete la strada! Lasciatevi guardare
dal Signore, aprendogli il vostro cuore nella preghiera, e allora sentirete su
di voi il suo sguardo. La preghiera al Signore vi renderà più ricchi e più
forti, la vita familiare ne trarrà beneficio. Dialogare con il Signore, infatti,
aiuta anche a dialogare con le persone che abbiamo accanto, la moglie e il
marito prima di tutti. Vi dico anche questo: confidate sempre nell’aiuto che
i sacerdoti della nostra Diocesi possono darvi con il loro consiglio e pregando
per voi e con voi.
Il Natale è l’occasione per pensare all’importante compito che ha ricevuto
Maria: una donna, una ragazza scelta da Dio per crescere ed educare Gesù.
È lei l’educatrice per eccellenza alla quale possiamo affidarci! Chiediamole
quindi aiuto quando non sappiamo come fare con i figli; invochiamola
spesso, anche attraverso la preghiera del Rosario. È una preghiera adatta a
tutti. È una preghiera apparentemente ripetitiva ma che, in realtà, si fonda
sulla vita di Gesù e sui misteri della nostra fede. È la Sacra Scrittura meditata.
Recitiamo il Rosario da soli o, se possiamo, in coppia. Meditiamo i suoi
bellissimi misteri mettendoci seduti davanti al nostro presepe. Nel silenzio
e nella quiete guardiamo con fede e con amore il Bambino che è nato per noi:
il Natale sarà davvero santo e ci porterà tanta serenità e pace.
Con i miei più cari auguri di un Santo Natale!
+ Luigi Moretti