Aldo Bianchini
SALERNO – La notizia è di qualche settimana fa e riguarda i nuovi e, forse, ultimi sviluppi della vicenda giudiziaria inerente la famosa sentenza del giudice napoletano Anna Scognamiglio che “sospese la sospensione” di Vincenzo De Luca (sancita dal Tribunale di Salerno prima e dal ministro dell’interno poi) consentendo allo stesso di insediarsi a Palazzo Santa Lucia ed al contempo evitando di richiamare gli elettori campani alle urne. Una notizia che è stata pubblicata da tutti e che a distanza di qualche settimana può e deve dare l’avvio ad alcune considerazioni di carattere quanto meno etico sulle modalità con cui il provvedimento è stato scritto dalla “sezione disciplinare” del CSM a carico della stessa Scognamiglio.
Correva l’anno 2015 e nel mese di luglio il collegio della 1^ sezione del Tribunale Civile di Napoli, con Anna Scognamiglio nel ruolo di giudice estensore, con sentenza autonoma dichiarò sospesa la sospensione comminata a Vincenzo De Luca dal Tribunale di Salerno senza tener conto che per il caso (ex legge Severino) era già stato interposto ricorso alla Corte Costituzionale. La sentenza napoletana, di fatto, consentì a De Luca di rimanere a Palazzo Santa Lucia e di assumere i pieni poteri anche contro le malcelate perplessità del ministero dell’interno (Alfano) e della stessa presidenza del consiglio dei ministri (Matteo Reni). Una sentenza che fece scalpore e che arrivò come una “manna” dal cielo per tutti: il governo benedì, De Luca ringraziò e si avventò contro avversari e detrattori, la giudice assurse a fama nazionale per il coraggio dimostrato.
Accadde, però, nel mese di novembre dello stesso anno 2015 che d’improvvisò venne fuori una vicenda torbida ed inquietante: la giudice Scognamiglio avrebbe passato notizie anticipatorie della sentenza al marito Guglielmo Manna che a sua volta le avrebbe passate a Carmelo Mastursi (detto Nello, proconsole del governatore e capo del suo staff) che a sua volta le avrebbe riferite a De Luca; il tutto perché Manna avrebbe dovuto avere una nomina apicale nell’ambito della sanità campana. Nella vicenda furono coinvolti, a vario titolo, anche Giorgio Poziello (infermiere), Gianfranco Brancaccio (avvocato) e Giuseppe Vetrano (candidato Campania Libera) che avrebbero contribuito alla costruzione di un ipotetico accordo per indurre la giudice a sospendere la sospensione.
Una volta prefigurato il complotto tutti si chiesero che se De Luca sapeva del fattaccio doveva dimettersi. Sulla vicenda arrivò la procura di Roma, con a capo Pignatone (quello che ha trattato Mafia Capitale), che legittimamente avocò a se il fascicolo aperto dopo le rivelazioni ed interrogò direttamente il governatore De Luca. E subito la prima eclatante novità, secondo Pignatone “De Luca poteva non sapere” e per questo la sua posizione andava stralciata e archiviata; insomma per De Luca venne stravolto il principio del “non poteva non sapere” che molto spesso i magistrati hanno utilizzato in passato in maniera alquanto convincente.
Rimangono in ballo tutti gli altri indagati, addirittura per la Scognamiglio si profilano subito due varianti: la prima di carattere giudiziario con regolare processo, la seconda di carattere disciplinare da parte del CSM (l’organo di autogoverno della magistratura).
E’ di qualche settimana fa, ripeto, la notizia della decisione del CSM; una decisione assolutamente legittima ancorchè innovativa per la consacrazione di alcuni principi ma anche incredibilmente contraddittoria perché basata su considerazioni che, camminando sul filo del rasoio, sfociano nella filosofia giudiziaria che allontana la percezione della giustizia giusta.
In pratica il CSM condanna e assolve la Scognamiglio; la condanna perché non si era astenuta dal giudizio in quanto moglie di Manna che concorreva per un incarico nella sanità; la assolve perché non ebbe a rivelare notizie riservate al marito.
Per carità tutto è possibile, spesso i coniugi non si parlano tra loro e non si confidano le problematiche lavorative, oltretutto sembra che i due coniugi Manna all’epoca non conducessero un menage molto familiare; ma non si può nemmeno nascondere il fatto che un’affermazione del genere stravolge il principio del “non poteva non sapere” e conferma negli osservatori e nella gente comune che detto principio può essere utilizzato sulla base di una volontà assolutoria e/o di condanna a seconda dei casi, lasciando tutto nella mani del libero convincimento dei magistrati. E la cosa, sinceramente, non appare tra le più trasparenti.
Tutto questo potrebbe avere anche un certo peso sul giudizio penale che la Scognamiglio dovrà affrontare e pur ritenendo che il provvedimento del CSM è autonomo e finalizzato al sanzionamento del comportamento etico, non è difficile pensare che l’affermazione di “non aver rivelato notizie riservate al marito” potrà essere utilizzata dalla difesa della Scognamiglio come un muro insormontabile anche in sede penale.
Ma il CSM fa di più; nell’affermare che la condanna della Scognamiglio discende dal fatto di “non aver osservato l’obbligo di astenersi dall’essere componente del collegio perché il marito Guglielmo Manna concorreva ad un incarico di vertice in una delle Asl della regione”, non fa altro che confermare che il “fatto” intorno al quale fu costruito il complotto è un fatto realmente esistito e quindi da perseguire.
Nel frattempo Carmelo Mastursi (detto Nello) ha scelto il rito abbreviato ed è stato condannato a 1 anno e 6 mesi con la sospensione della pena e l’uscita definitiva dall’intricata vicenda. Aveva già perso il posto ed era stato buttato fuori, quasi a calci, dalla regione e dal “cerchio magico” deluchiano. Ora, però, cerca di ricostruire la sua verginità e qualche mese fa è apparso ufficialmente in pubblico nell’auditorium della parrocchia Sant’Alfonso del bivio di Padula dove l’on. Leo Borea presentava il suo libro “La giustizia in Italia” al cospetto di numerosi magistrati.
Il messaggio mi sembra chiaro: basta non parlare per sperare di essere riciclati, questa è la forza della politica. Prendere o lasciare.