Camorra & Politica: “Mimmo il tormentone” … tra Procura e piscitiell’e cannuccia

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – Non dovete meravigliarvi se oggi premetto di essere d’accordo con la Procura Antimafia di Salerno, e per essa con il pm Vincenzo Montemurro, per l’avviso di garanzia notificato, al notissimo personaggio scafatese denominato “Mimmo il tormentone”, per via ed a causa della “arbitraria pubblicazione integrale degli atti di un procedimento penale” (art. 684 cp) inerente il caso “Sarastra” che vede imputati l’ex sindaco di Scafati Pasquale Aliberti ed altri; la legge se è legge va rispettata, sempre e comunque.

            L’art. 684 del codice penale recita testualmente: “Chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da cinquantuno euro a duecentocinquantotto euro”. Dunque al malcapitato Domenico D’Aniello (queste le vere generalità dell’indagato) la pena da attribuire è certa; dovrà prepararsi ad andare in carcere fino a 30 giorni o a pagare una sanzione fino a 258,00 €.

            Nel leggere e rileggere l’articolo in questione mi sono convinto che questo è un Paese in cui finalmente ad un errore corrisponde una pena certa; dovremmo tutti plaudire all’azione della Procura ed augurarci che presto assisteremo alla giusta punizione di un personaggio che ha cercato soltanto di fare chiarezza e di rendere pubblicamente usufruibili atti giudiziari che hanno tutti e che hanno già pubblicato tutti.

            Fatta questa premessa è necessario e doveroso esprimere alcune considerazioni di carattere generale e personale sull’ inquietante vicenda; inquietante perché a memoria d’uomo, per quanto mi risulti, l’art. 684/CP non è mai stato applicato, almeno nella nostra circoscrizione giudiziaria. E bene ha fatto la Procura di Salerno a non applicare mai le sanzioni previste dal predetto articolo del codice penale, anche perchè la Ratio Legis indirettamente ne sconsiglia l’utilizzo in quanto “la disposizione in esame è diretta a tutelare l’interesse pubblico al corretto funzionamento dell’attività giudiziaria, nel pieno rispetto delle parti processuale”. E quale migliore interesse pubblico al corretto funzionamento della giustizia se non la pubblicazione integrale degli atti processuali, senza commenti e senza particolari e sospette manomissioni, come ha fatto “Mimmo il tormentone” che ha cercato di fare chiarezza su un processo orami inevitabile e quando gli atti giudiziari, ripeto, non sono più coperti da segreto istruttorio perché già resi pubblici durante le numerose udienze tra Cassazione e Riesame ovvero ancora segreti ma in possesso di tutte le testate giornalistiche ufficiali (se vogliamo fare un distinguo con il tormentone di Mimmo che opera sui social) che li hanno pubblicati spesso ed a stralci molto lunghi e tendenziosamente rivolti alla configurazione di una sostanziale responsabilità degli indagati e dell’indagato principale.

            Vorrei essere spiegato da qualcuno quale differenza c’è tra il pubblicare fotograficamente un atto giudiziario rispetto a chi lo ha pubblicato a stralcio, senza fotografarlo, epurandolo da tutti i discorsi che potrebbero essere favorevoli alla difesa rispetto alla pubblica accusa; anzi di reati di “arbitraria pubblicazione di atti giudiziari” in questa triste vicenda ce ne sono stati tantissimi, ma sono tutti passati quasi inosservati anche se sono avvenuti sotto gli occhi di tutti. Vuoi vedere, mi sono detto, che se gli atti escono dalle Procure o dagli studi legali tutto va bene e quando diventano atti pubblici e qualcuno li pubblica integralmente, senza autorizzazione specifica, tutto va male fino a rischiare 30 gg. di carcere ?

            Nell’atto di accusa della Procura si parla anche di indebita pubblicazione dei numeri di telefono di Pasquale Aliberti e dei fratelli Luigi e Andrea Ridosso (figli di Tore ‘o piscitiello, scrive Puntoagronews.it), ma la cosa (anche se assolutamente legittima) mi appare come un volersi arrampicare agli specchi in quanto il cellulare dell’ex sindaco ce l’hanno tutti e quelli dei Ridosso, dopo i vari passaggi giudiziari, saranno ormai stati abbandonati.

            Io non vado mai su FaceBook e neppure riesco a seguire gli interventi di chi scimmiottando le televisioni si esibisce in monologhi spesso strampalati; ma sento il dovere civico di scendere in campo per manifestare tutta la mia solidarietà nei confronti di un personaggio che non ho mai visto né incontrato ma che si è impegnato e si impegna per la ricerca e l’affermazione della verità, e non soltanto per difendere l’ex sindaco Pasquale Aliberti.

            Per chiudere, qua nessuno è “piscitiell ‘e cannuccia” e senza voler parafrasare il nomignolo del clan Ridosso è giusto ricordare che siamo perfettamente in grado, insieme ai lettori, di capire fatti e circostanze che determinano la crescente sfiducia nella giustizia.

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