SALERNO – Giuseppe Santilli, consulente del lavoro per una vita, stava riposando tranquillamente (compatibilmente con le sue condizioni fisiche di dializzato) quando alle prime luci dell’alba del 15 luglio 2011 avvertì l’agitazione del cane bianco di grossa taglia che viveva in casa con la famiglia ed istintivamente sollevò la testa dal cuscino; pochi istanti e subito sentì lo squillo del campanello di casa. Alla retorica domanda di chi fosse a quell’ora del mattino la risposta fu gelida: “Carabinieri di Pagani, aprite !!”. Da quell’istante iniziava una tragedia personale e familiare che sarebbe durata ben 2.270 giorni (sei anni, due mesi e diciotto giorni) fino alla sera del 3 ottobre 2017 con la lettura della sentenza di assoluzione piena da parte della Suprema Corte di Cassazione.
La casa della famiglia Santilli, quella mattina, fu letteralmente invasa da una decina di militari dell’Arma; domande, perquisizioni e notifica del mandato di cattura furono soltanto il preambolo della tragedia che Peppino (così è chiamato dagli amici, ed io sono un suo amico) non immaginava minimamente di dover vivere nelle ore, nelle settimane, nei mesi e negli anni successivi a quel momento, le cui sfumature drammatiche era difficilissimo cogliere quella stessa mattina. Difatti, nonostante le sue condizioni fisiche non perfette, fu trascinato in manette presso il carcere di Salerno, prima, e poi presso quello di Secondigliano, da dove usciva ed entrava in ragione delle cure assolutamente necessarie che doveva praticare presso un centro specializzato. La Procura, è giusto ricordarlo, mise in scena anche il diniego per un’alimentazione alternativa che comunque i suoi medici consigliavano, fu addirittura scarcerato e poi arrestato di nuovo sull’onda di una battaglia senza precedenti.
Secondo la Procura Antimafia di Salerno era la mente oscura e perversa del “sistema Pagani”, colui il quale dall’alto della sua conoscenza di imprese e lavoratori (non a caso faceva il consulente da oltre quarant’anni) supportava le campagne elettorali del mega sindaco e consigliere regionale Alberico Gambino attraverso una fitta rete di connivenze tra politica-camorra e imprese. Ancora più credibile l’accusa perché, sempre secondo la Procura, a tradire Santilli ed a svelare il “sistema politico-mafioso” era stato il titolare di un’impresa che lo stesso Santilli assisteva da una quarantina di anni, da quando cioè aveva cominciato a fare il consulente.
Il 15 luglio del 2011 cadde di venerdì e quando nella mattinata fui informato dei clamorosi arresti pensai subito (lo confesso ora per allora !!) che ancora una volta la magistratura si stava divertendo come il gatto con il topolino; gli arresti scattavano di venerdì in modo tale che fino al lunedì successivo tutti sarebbero rimasti in cella senza alcun riferimento con il mondo esterno in una sorta di crudeltà studiata nei minimi dettagli per far cadere nella trappola dell’incertezza e del dubbio anche il più candido dei topolini.
Degli arrestati conoscevo (come già scritto) soltanto Alberico Gambino e Giuseppe Santilli; il primo lo conoscevo solo perché ci eravamo incontrati in numerose conferenze stampa, lui come politico ed io come giornalista; con il secondo c’era una lunga e forte amicizia nata nei primissimi anni 70 per ragioni di lavoro (io ispettore degli infortuni sul lavoro e lui come consulente) e poi consolidatasi anche a livello familiare tanto che ebbi anche l’onore e il piacere di fare da padrino al battesimo di Valentino (uno dei figli di Peppe e oggi giovane avvocato).
Di Gambino avevo una considerazione non tanto speciale, lo vedevo come un politico più legato all’esteriorità (era capace di cambiare vestito più volte al giorno) che alla fattività; poi mi sono dovuto ricredere fortemente fino al punto di considerarlo un politico di razza in quanto anche dopo le sue numerose vicende giudiziarie è rimasto ancora come un punto fermo nell’immaginario dei tantissimi suoi elettori.
Di Santilli avevo, invece, una considerazione completamente diversa; lo avevo sempre visto come un attento e affettuoso padre di una famiglia numerosa, una famiglia che si rispecchiava molto in lui che proveniva da un’altra famiglia numerosa e molto unita come la sua.
Quando la mattina del 15 luglio 2011 seppi dei clamorosi arresti non ebbi neppure un attimo di esitazione e feci l’unica cosa che potevo fare in quel momento ed a poche ore dal cataclisma giudiziario scrissi testualmente: “”Conosco uno degli arrestati, il ragionier Giuseppe Santilli, da circa quarant’anni; fino a qualche anno fa l’ho frequentato moltissimo non solo per questioni di rapporti familiari ma anche per motivi di lavoro. Per quanto mi riguarda è allucinante il solo pensare che “Peppe” (così lo chiamano gli amici) possa, anche soltanto con qualche atteggiamento, essere entrato in rapporti di connivenza con i clan camorristici paganesi””.
Scrissi quelle frasi in perfetta solitudine, i colleghi che mi incrociavano sorridevano anche se non si permettevano di contestare la mia posizione di assoluta garanzia sia per Santilli che per Gambino. Dopo 2.270 giorni ho avuto ragione, ma l’altro giorno alla luce della comunque bella notizia ho seriamente pensato se l’aver avuto ragione servirà a qualcosa; se soprattutto potrà servire all’amico Giuseppe Santilli per rimarginare le ferite ancora sanguinanti per quelle crudeltà che ha dovuto subire per un’accusa che la Cassazione ha cancellato perché non esistente; pensare che all’epoca della sua carcerazione ci fu anche qualche medico che certificò l’insussistenza delle necessità di mangiare pasta alternativa mi fa ancora rabbia, naturalmente parlo da uomo e non da giornalista; e spesso mi chiedo perché molti CTU (consulenti tecnici dell’ufficio) si appiattiscono così tanto sulle posizioni dei pubblici ministeri, quasi come se il loro mondo professionale e lavorativo dipendesse dai voleri dei magistrati inquirenti.
Ma la cosa più triste dell’intera vicenda che ha messo in discussione la vita stessa dell’amico Peppe consiste nel fatto che è stato vittima predesignata, in un quadro di allucinazione collettiva da parte degli investigatori, per un’accusa nata su un falso che è stato anche ribadito dalla Corte di Appello che aveva preteso addirittura la rinnovazione del processo.
Fortunatamente l’avv. Giovanni Falci, dall’alto della sua lucidità mentale in fatti di natura penale, parlando della registrazione fonica del colloquio a tre (Panico, Santilli, Gambino) che per la Procura incastrava Santilli dandogli il ruolo di “mente occulta” ha testualmente scritto: “… Successivamente, a seguito di perizia fonica, si è appurato che la parte civile ha sicuramente apportato modifiche attraverso la soppressione di diversi brani … Ritenere utilizzabile contro Santilli questa prova significa far diventare Santilli stesso vittima due volte: di un reato di falso e del processo … il processo non può basarsi su documenti falsi perché nel processo i mezzi non possono essere giustificati dal fine””. Un’affermazione molto forte che solo un penalista di valore può con coraggio portare all’attenzione della Suprema Corte; e se la Cassazione ha accettato in pieno la tesi di Falci vuole anche dire che nel nostro Paese viviamo con il rischio che la giustizia, nelle fasi preliminari, potrebbe fare uso di prove costruite e false per giustificare il fine di un’accusa a senso unico nella ricerca spasmodica della colpevolezza dell’indagato e non anche della sua innocenza, come prevede la legge. Ma in quale mondo viviamo ? Se questa mia considerazione, che discende da quanto scritto nel ricorso per Cassazione e dalla decisione della stessa Corte, fosse vera allora potrei tranquillamente affermare che il nostro sistema giudiziario prevede dei passaggi brutali, oscuri e contro ogni regola di giustizia.
Ho sentito al telefono il mio amico, a breve ci incontreremo per festeggiare; anche se il termine festeggiare mi sembra davvero fuori luogo; ma lo faremo se non fosse altro che per allontanare per sempre quello spettro maligno che lo ha inseguito per 2.270 giorni della sua vita.
direttore: Aldo Bianchini