Aldo Bianchini
SALERNO – Un insediamento industriale è sempre un insediamento industriale, con tutte le cose buone ma anche cattive che porta con se, naturalmente. Tutti reclamiamo l’industrializzazione e tutti siamo disposti a lamentarci non appena insorge qualche problema, sia esso di natura ambientale che occupazionale, fino ad arrivare a chiederne la chiusura, spesso anche a furor di popolo; quello stesso popolo che ha beneficiato tout-court del benessere che, come detto, comunque un insediamento industriale porta con se. Dico questo non tanto e non solo in favore delle Fonderie Pisano ma anche per tutti quegli insediamenti industriali (e la Valle dell’Irno ne è piena) che, nel bene o nel male, hanno tracciato nel profondo la storia socio-economico-occupazionale-imprenditoriale della città di Salerno.
Nell’ottica di quanto detto sarebbe quanto mai opportuno, giusto e doveroso, fermarsi un attimo quando si parla di queste realtà occupazionali, non fosse altro che per guardare alla storia che hanno scritto per l’intera comunità salernitana; dal Pastificio Amato alla Marzotto, dalle Fonderie Pisano alle Manifatture Cotoniere Meridionali (per citarne soltanto alcune) c’è stato una specie di fil-rouge che ha unito le loro specifiche storie ed ha contribuito alla crescita ed all’affermazione, spesso anche internazionale, di quella “salernitanità” che sovente viene evocata da più parti, anche a sproposito.
Andando in giro per l’Italia ed all’estero, io personalmente ho sempre provato un caldo “senso di appartenenza” grazie alle suddette realtà industriali e produttive della nostra città; ho visto scaffali pieni di “pasta Amato” sia a New York che a Los Angeles, così come ho calpestato i “tombini Pisano” in tutte le più grandi città italiane; il senso di appartenenza è anche questo, sentirsi protagonisti di una storia che parte dalla tua città e gira per tutto il mondo. Ecco bisognerebbe pensare anche a questo, lo dico soprattutto ai giudici, quando si assumono decisioni irrevocabili.
Certo !! questo significherebbe voler tracimare dai compiti istituzionali del giudice (giustizia commutativa) per sfociare in compiti non propri del suo ministero (giustizia distributiva); ma non vedo perché gli stessi giudici da un lato escono allo scoperto quando si tratta di aggredire dissennatamente politici e imprenditori, e dall’altro si chiudono dietro il paravento di una pratica impossibile quando si tratta di valutare non solo l’apporto economico-occupazionale di dette realtà industriali ma anche la loro storia che, nella fattispecie, è entrata nella crescita e nello sviluppo dell’intera comunità salernitana. Capisco che il fascicolo di una fabbrica non porta voti e neppure potere, ma tutti dovrebbero avvertire il dovere di rapportarsi con detti problemi in maniera più compiuta e più professionale, al di là delle manifestazioni di piazza che, pur nella loro utilità, restano pur sempre sterili e manovrate subdolamente da terzi.
La Pisano è stata, per diversi decenni, la fabbrica dei sogni per tantissimi salernitani i quali, senza quella realtà avrebbero fatto la fame; Salerno è una città che è stata incapace di darsi una connotazione precisa (non ci è riuscito Alfonso Menna e neppure Vincenzo De Luca) ed è rimasta in bilico tra il terziario e il turismo che nessun politico ha saputo o voluto rilanciare ed ampliare, anzi nel campo specifico è stato registrato un regresso assolutamente corposo. Fortunatamente “Fonzo ‘a luce” riuscì ad attirare sul territorio salernitano piccole e medie industrie che gli stessi salernitani hanno, poi, in gran parte distrutto. Basta soltanto ricordare il cattivo esempio dato dalle centinaia e centinaia di operaie e operai della Marzotto Sud per rendere più plastica la considerazione del problema di una comunità che prima è disponibile a mettersi prona e poi è pronta a ribaltare la situazione per mettere in fuga, con i suoi atteggiamenti anche poco decorosi, gli imprenditori che a turno hanno investito per il bene comune di questa città.
Ovviamente, è inutile precisarlo, il caso delle Fonderie Pisano è complesso ed articolato e viene da lontano perché la sua storia non solo è storia pura ma è stata anche la compagna di viaggio di intere generazioni di lavoratori che grazie alle fonderie e sulle fonderie hanno fondato le proprie famiglie trasformando in realtà i rispettivi sogni di vita personale e di futuro familiare. Non solo, le Fonderie Pisano nel corso di questi ultimi sei decenni sono riuscite ad integrarsi talmente con l’ambiente esterno da diventare parte integrante anche del tessuto sociale di quella zona di Salerno che ha prodotto più economia di tutto il resto della città; sono riuscite addirittura a rimodellarsi e ad ammodernarsi a seconda delle necessità e delle esigenze imposte mano a mano dal nuovo e tecnologizzato rapporto uomo-fabbrica nell’ottica della prevenzione e dell’igiene sui luoghi di lavoro che sulla bocca di tanti appaiono soltanto come sterili denominazioni e che, invece, per il gruppo dirigente delle Fonderie Pisano hanno da sempre rappresentato un punto di riferimento costante ed ineludibile. E tutto questo già abbondantemente prima che l’Europa si risvegliasse ed impartisse le famose o famigerate direttive in materia che dal nostro Paese sono state recepite nel contesto del decreto legislativo n. 626/94, dimenticando che tutte le direttive noi, come Paese culla del diritto, le avevamo già fin dal 27 aprile 1955 con il DPR n. 547.
Ma di questo avremo tempo e modo di parlarne nelle prossime puntate della presente inchiesta giornalistica.
direttore: Aldo Bianchini