SALERNO – Il dibattito in corso sul delitto di abuso d’ufficio (art. 323 cp), oggi presso l’Università e domani presso l’aula Parrilli del Tribunale, apre lo spunto a più di una riflessione.
C’è chi ritiene la norma in questione ben fatta, chi ritiene che vada modificata e chi, infine, ritiene che vada abrogata, soluzione quest’ultima da me condivisa.
In realtà le diverse posizioni sul tema sono il frutto dei diversi punti di vista da cui si vedono le questioni in materia penale e più in generale la “giustizia”; i PM ritengono questa norma ben fatta; i professori, e quindi la dottrina, la ritengono modificabile; gli avvocati la ritengono abrogabile. In effetti il vizio di fondo della norma in questione è la sua vaghezza semantica e il suo contenuto variabile. Difronte a questo tipo di norme se una condotta è criminosa o no, lo si sa solo dopo, alla fine del processo. Il processo ci dice se l’imputato ha commesso il reato. Ma quando abbiamo nozioni vaghe, l’ultima parola su ciò che è reato non spetta al diritto penale. Spetta al processo penale.
Ai PM la norma piace perché consente di indagare anche in presenza di una pseudo notitia criminis; agli accademici la norma offre spunti di riflessione teorica; agli avvocati non piace perché colpisce il cittadino in modo troppo superficiale e crea danni enormi all’indagato e alla sua famiglia. L’abuso di ufficio è il reato più facile da contestare ma quello più difficile da dimostrare! L’intervento del Governatore De Luca, benchè non sia un giurista, è stato molto lucido, puntuale e preciso. E’ stato l’intervento di una persona che ha subito una imputazione di abuso d’ufficio completamente infondata ma che lo ha fatto diventare, agli occhi della opinione pubblica, un impresentabile; i processi che sono “un’arma terribile” come li definisce Fiandaca, sicuramente un attento lettore delle cose giuridiche. Perché processo vuole distruggere il suo destinatario.
Ci sono, infatti, deformazioni che introduce la prassi e la giurisprudenza. Oggi è diventato di moda, fa fine, svalutare l’autorità della legge e persino della Costituzione che non si considerano, ormai, da molti, fonti primarie di diritto in favore di indirizzi giurisprudenziali che a me non piacciono. Non mi piacciono perché mi spaventa l’idea del Giudice-Legislatore, fosse anche la Corte Europea e la Corte di Giustizia.
Ci si è addirittura spinti a lasciare intravedere che, in qualche modo, le stesse garanzie del giusto processo sancite dall’art. 111 della Costituzione, sarebbero superate in favore delle garanzie che sono enucleabili dagli indirizzi che vengono fuori dalle pronunce della Corte di Giustizia Europea. Stiamo freschi se arriviamo a queste prospettive!
E’ evidente che queste autorità, sebbene in molti casi abbia reso un ottimo servizio, sono sempre composte da uomini che possono sbagliare. Non solo, quindi, mi spaventa l’idea che a creare il diritto siano organi che non hanno una garanzia democratica come la legge, ma soprattutto la circostanza che, mentre una cattiva legge in qualche modo si riforma, purtroppo le sentenze non buone rimangono per l’eternità.
L’abuso di ufficio è il reato più facile da contestare ma quello più difficile da dimostrare!
Questa caratteristica della norma ha fatto sì che c’è stata una proliferazione di processi a carico di funzionari e P.U. per le più svariate ipotesi di presunte violazioni di legge che alla fine sono naufragate a seguito dei dibattimenti.
E allora ecco la voce del Magistrato della Procura che ieri al convegno ha detto che l’abuso di ufficio consente di procedere ad iscrizioni nel registro notizie di reato che potrebbero nel corso delle indagini subire modificazioni con la scoperta di altri e più gravi reati.
Un uso quindi strumentale per svolgere indagini. Non più una indagine sul fatto denunciato, sulla notitia criminis, ma una ricerca della notitia criminis.
Un esempio per chiarire questo aspetto che ho avuto modo di riscontrare in un processo patrocinato ad Ascoli Piceno. In assenza di querele per ingiurie, minacce e percosse, il PM ha proceduto a carico del mio assistito per abuso d’ufficio. I fatti erano avvenuti all’interno di una caserma dell’Esercito; le persone offese e minacciate da un loro superiore (Pubblico Ufficiale) hanno dichiarato di non avere intenzione di proporre querela; il PM, allora, per procedere, ha contestato che il PU, in violazione delle norme di comportamento militare, ha offeso, minacciato e percosso i suoi subalterni al fine di arrecare loro un danno ingiusto.
Una vera assurdità che però ha resistito fino al grado di appello innanzi la Corte di Ancona. Il militare cioè avrebbe intenzionalmente violato le norme di comportamento al fine di arrecare un danno ai soldati, danno consistito in una offesa, percossa o minaccia; in realtà il PU in quel caso ha solo posto in essere le condotte contestate senza neanche pensare di voler violare le norme intenzionalmente.
Questa la realtà dei Tribunali che è poi una realtà antica.
2000 anni fa è successo anche a Gesù di essere processato per abuso d’ufficio costruito ad hoc in assenza di denunce.
Se andiamo a ricavare il capo di imputazione di Gesù dalla domanda rivolta da Pilato “dunque sei tu Re?”, è possibile costruire questa accusa: “in violazione delle norme che regolano la nomina a Re, Gesù (Ministro del Culto e quindi PU) avrebbe intenzionalmente procurato a se un ingiusto vantaggio patrimoniale con conseguente danno al Re in carica”.
La insussistenza dell’accusa a Gesù e l’uso strumentale del processo, è dimostrata da una epistola che Tiberio mandò a Pilato l’anno dopo la crocifissione. Scriveva da Capri l’Imperatore: ho letto gli atti (definizione da vero giurista quale era) del processo a carico di tale Jesus di Nazareth, a me sembra che costui non abbia commesso niente. Mi raccomando non fate politica nei Tribunali.
Ed anche in quel caso la vera condanna di Gesù venne dal popolo, a cui Pilato decise di appellarsi, che scelse Barabba; un odierno processo mediatico, dove la condanna della opinione pubblica è nell’essere processati e non nell’essere condannati.
In conclusione nel convegno è stato denunciato il problema della progressivo spostamento dalla tipicità della imputazione alla prevedibilità della imputazione. E’ il tema dei prossimi anni. La Corte EDU non ci dice che basta la tipicità, art. 6. L’art. 7 ci dice che è necessaria anche la prevedibilità che quel fatto possa essere considerato come reato.
Principio venuto fuori dalla sentenza Contrada della Corte EDU sul concorso esterno. Si diceva che con un ricorso alla Gran Camera questa avrebbe spazzato via la sentenza. Il filtro dei ricorsi alla Gran Camera, all’unanimità, ha rigettato la richiesta di andare alla Gran Camera. Uno schiaffo sonoro che sulle riviste on-line non compare, non esiste, silenzio assoluto, il problema non esiste.
In conclusione secondo me c’è bisogno di un mutamento culturale da parte degli operatori del diritto che sposti il campo di azione dalla formalità della norma alla funzione della norma, dalla genetica alla struttura; questa inversione potrà essere una valida barriera contro l’abuso del processo.
direttore: Aldo Bianchini