SALERNO – “La montagna ha partorito un topolino che appena arrivato a Roma è finito nella trappola” con queste semplici parole potrebbe essere descritta la complessa e drammatica vicenda giudiziaria che la mattina del 15 luglio 2011 portò ammanettati in carcere il consigliere regionale Alberico Gambino, il consulente del lavoro Giuseppe Santilli ed altri, compresi un paio di camorristi di giornata. Nacque così “Linea d’ombra” che secondo gli inquirenti spiegava il “Sistema Pagani” fatto di pressioni, minacce, estorsioni finalizzate all’ottenimento di facile consenso elettorale grazie anche all’intervento “fisico” dei camorristi.
Quando la mattina dell’8 marzo 2012 nell’aula bunker del Tribunale di Nocera Inferiore si tenne la prima udienza del processo penale ebbi modo di dialogare con una collega giornalista che conoscevo e conosco da molto tempo. La trovai sicura di se ed anche in un certo senso arrogante nei miei confronti fino al punto da dirmi “Io ho studiato tutte le carte e ti dico che Gambino è colpevole, tutti gli altri non ne parliamo proprio, dovrebbero gettare le chiavi”. Rimasi quasi sconcertato da tanta sicurezza, io che avevo davvero letto l’intera ordinanza del gip Gaetano Sgroia che aveva confermato gli arresti richiesti dal pm Vincenzo Montemurro cercai di farle capire qualcosina in più. Niente da fare, di fronte a lei la mia nota esperienza in fatti giudiziari sembrava una “pazziella” per bambini; lei sì che sapeva tutto, gli altri niente. Da quel momento non ho mai più dialogato con quella collega pur avendola incontrata diverse altre volte; avevo capito che si muoveva sull’onda di un dettato che gli organi inquirenti le passavano per la successiva pubblicazione.
In aula quel giorno guardai spesso negli occhi sia Alberico Gambino che Giuseppe Santilli (gli unici che conoscevo; il primo per motivi giornalistici, il secondo per una lunga pregressa amicizia tuttora in piedi) che erano stati sistemati dietro le sbarre delle diverse celle presenti in quell’aula; dall’altro lato un grosso paravento di vetro e dietro, su una tribunetta, tutti i parenti dei numerosi arrestati; uno scenario allucinante per chi come me (forse l’unico !!) riteneva e ritiene assolutamente innocenti tutti gli imputati di quel processo, soprattutto Gambino e Santilli. Il baillamme e la confusione, quella mattina regnarono sovrane e addirittura la presidente del collegio fu costretta a richiamare tutti alla moderazione perché quello non era un set cinematografico; dopo un paio di giorni scrissi testualmente: “E’ chiaro che dopo questo baillamme si leggono, sui giornali, titoli soltanto ad effetto e senza concreto radicamento come ad esempio “Svelato dai testi il sistema Pagani, Gambino in aula”. Ancora oggi vorrei chiedere all’incauta autrice di quale processo stesse parlando e di quali testi andava cianciando, quando in aula ci fu un solo personaggio (il tenente Beraldo) che era da considerare comunque un teste anomalo perché era colui che aveva condotto le indagini con e senza il pubblico ministero.
Mesi e mesi di arresti in carcere, circa un anno di arresti domiciliari, per finire tutto in una bolla di sapone con una sentenza della Cassazione che cancella tutto e rinvia a nuovo processo solo una parte delle accuse ancora in piedi per Gambino; eppure la giustizia aveva avuto diverse occasioni per fare giustizia come aveva opportunamente suggerito la presidente della sezione penale di Nocera, dott.ssa Anna Allegro, quando aveva indicato nella manipolazione delle registrazioni video la chiave del mistero di un processo che non doveva neppure essere incardinato. Ma tutti erano contro tutti e addirittura la Corte di Appello, per cercare di convalidare in parte il lavoro della Procura, pretese la rinnovazione del processo per sentire in aula i veri “pentiti eccellenti” che la Procura scovava un giorno sì e l’altro pure e che alla prova dibattimentale dimostrarono tutta la loro insipienza.
C’è voluta la Cassazione, dicevo, per fare giustizia; ma la stampa anche in questo caso non dice la verità e si appiattisce sui suggerimenti degli inquirenti per far filtrare dubbi, insinuazioni, incertezze. La Cassazione, forse per la prima volta nella sua storia, ha detto che il processo “Linea d’ombra” sul “sistema Pagani” è stato incardinato su un falso in danno dei due imputati maggiori (soprattutto Santilli) e che il Tribunale (primo e secondo grado) ha reiterato quel falso evidente per propinare le condanne dopo aver tenuto inutilmente agli arresti diverse persone innocenti. In pratica la Supremo Corte ha fatto suo il lungo e articolato ragionamento portato avanti dall’ottimo avvocato Giovanni Falci, coadiuvato dall’avvocato Bonaventura Carrara, con i due ricorsi depositati in cassazione in difesa del consulente del lavoro Giuseppe Santilli che dagli inquirenti era stato addirittura indicato come la “mente occulta” di tutto il “Sistema Pagani”. Il ricorso dell’avv. Falci merita un approfondimento a parte e nei prossimi giorni vi delizierò con tutte le chicche in esso contenute.
Ora rimane in discussione soltanto qualche stralcio per Gambino, ma se ne dovrà discutere dinanzi alla Corte di Appello di Napoli; e fra qualche mese sicuramente sarà cancellato anche quest’ultimo troncone.
La stampa, come dicevo, non fa il suo mestiere fino in fondo e non entra nel merito della vicenda ma fa filtrare dubbi e incertezze, quasi come se la Cassazione avesse emanato una sentenza per gioco e/o per incompetenza. Nessuno si chiede perché furono effettuati quegli arresti se poi tutto è stato cancellato, perché furono fatte soffrire persone innocenti, perché la Procura dopo le prime battute processuali non seppe fare marcia indietro di fronte all’evidenza, perché ci furono in rapida successione arresti e scarcerazioni e di nuovo arresti e scarcerazioni, perché la stessa Procura ha continuato a fantasticare accuse inverosimili con l’inchiesta “Criniera” fotocopia della prima e perché la stampa, ancora oggi dopo la pronuncia della Cassazione, continua ad eclatare le veline degli inquirenti. Scrivere “Gambino, condanna annullata, processo da rifare a Napoli” senza approfondire l’argomento significa non scrivere la verità in maniera completa ed esaustiva.
E dopo questo ulteriore colpo di scena bisognerebbe anche chiedersi perché la Procura di Salerno continua a voler sbattere in carcere Pasquale Aliberti; per lui l’inchiesta si chiama “Sarastra” ma è perfettamente identica e sovrapponibile a quella di “Linea d’Ombra” e di “Criniera” (altra inchiesta contro Gambino), e oltretutto è fatta dagli stessi inquirenti. Prudenza imporrebbe un momento di cautela nell’attesa del giudizio per poi, semmai, incarcerare l’ex sindaco di Scafati.
Solo per questo continuo la mia battaglia in difesa dello stato di diritto in perfetta solitudine; non farò mai come quella collega che sgonnellando dinanzi agli inquirenti sembrava voler dire: “La questione la conosco solo io”; se fossi cattivo la chiamerei per dirle di leggere prima di parlare e, soprattutto, di non continuare a bere tutte le veline che mani interessate le passano, e neppure tanto segretamente; ma non merita questa attenzione.