Aldo Bianchini
SALERNO – La finanza e l’economia chiamano altra finanza ed altra economia che, fatalmente, si concentra in uno spazio di territorio ristretto e ben individuato, dentro il quale convergono i capitali inerti e/o indigeni e quelli fluttuanti dell’imprenditoria. E dove confluiscono questi due tipi di capitali ecco che arrivano le banche, o almeno mettono quella destinazione nei loro obiettivi primari.
Nella fattispecie parlerò specificatamente della “Banca del Cilento, di Sassano e Vallo di Diano e della Lucania”, una sorta di banca mangia banche, che ha posto nel suo immediato futuro come obiettivo la conquista di Salerno, come ampiamente annunciato dal presidente (Pasquale Lucibello) e dal direttore generale (Ciro Solimeno) nella convention del 13 settembre scorso tenutasi (non a caso e non per caso !!) nei modernissimi uffici della “holding Cardinale” in quel di Teggiano nel Vallo di Diano. La conquista di Salerno, però, è un obiettivo nel mirino di diverse altre banche (anche ex Bcc), alcune delle quali sono già presenti nella città capoluogo di provincia o stanno per arrivarci; il traguardo, comunque, è quello: Salerno.
Salerno è un concentrato misto di capitali (finanza ed economia) indotti, cioè arrivati da fuori e sempre pronti a traslocare. Una massa imponente di investimenti arrivò a Salerno tra gli anni 60-70 e 80, trent’anni di crescita spaventosa grazie ai capitali che giungevano, guarda caso, dal Cilento, dalla Piana del Sele e dal Vallo di Diano (ma anche dal basso avellinese e dall’hinterland napoletano fino all’agro nocerino-sarnese); e su quei capitali è stata costruita la crescita economica di Salerno che ancora oggi vive di luce riflessa basata sulla fortunata e fortunosa posizione geografica che attira e risucchia capitali da tutte le parti. Una crescita, forse smodata, che ha consentito la sopravvivenza dell’intera comunità salernitana e che, purtroppo, ha anche attratto i principali clan della malavita organizzata. A Salerno, che piaccia o no, non esiste una imprenditoria indigena in quanto tutti i nomi delle grandi famiglie imprenditrici non sono di assoluta e verace salernitanità (nonostante le grida autoreferenziali di De Luca); tutto quello che c’è a Salerno è frutto sostanzialmente della “politica menniana” promossa dal vero ed unico sindaco della gente, Alfonso Menna, che nel quindicennio del suo sindacato (dal 1955 al 1970) con una grande visione industriale e con grande intuito per il futuro aprì sagacemente i cordoni dell’edilizia, dell’industria, dell’artigianato, del terziario ed anche del turismo, ricevendo in cambio una quantità massiccia di capitali da investire nel pubblico e nel privato. E Salerno vive ancora di quello e su quello.
Naturalmente dove c’è possibilità di investimenti e, soprattutto, di raccolta arrivano le banche, in primo luogo quelle di prossimità (alludo alle BCC) che incentrano la propria attenzione sui capitali fluttuanti e presenti nelle varie zone del territorio di competenza per captare investitori e risparmiatori. Questo il messaggio chiaro e pubblicamente dichiarato dalla Banca del Cilento quando nel suo slogan inserisce la frase “guardiamo al futuro … destinazione Salerno”. I numeri illustrati da Solimeno nella conferenza stampa dello scorso mercoledì 13 settembre parlano chiaro soprattutto in merito all’operazione di acquisizione-fusione della Bcc Sassano, un’operazione travagliata e sofferta quanto si vuole ma che si sta appalesando non come una mera conquista di nuovi spazi di interesse, piuttosto come il risultato di una strategia bancaria ben pianificata ed attuata in funzione del grande salto verso i capoluoghi di provincia che nella fattispecie dovrebbero essere addirittura tre: Salerno, Potenza e Matera. Sarebbe sufficiente citare l’incremento percentuale di oltre il 30% di raccolta nel bacino che un tempo fu della Bcc Sassano per capirne di più e per meglio valutare la strategia espansionistica della Cilento.
Nel periodo abbastanza sofferto della fusione tra i due citati istituti bancari, un periodo che va dal 2015 fino al 1° luglio 2016, fu lo stesso direttore generale dell’allora Bcc Cilento ad annunciare la strategia che voleva porre praticamente in atto. Addirittura Solimeno lo scrisse nel contesto di uno dei suoi editoriali pubblicati sulla rivista editata dalla banca e fece capire a tutti che la fusione con l’annessione della Bcc Sassano non era la conquista forzata di una consorella ma la “comunione di due sistemi bancari diversi incentrati essenzialmente, da una parte, su capitali fluttuanti e legati al grande turismo (zona costiera del Cilento) e dall’altra su capitali indigeni e stanziali frutto di una imprenditoria collaudata e matura (zona Vallo di Diano)”. La concezione tutta “solimeniana” della strategia bancaria non piacque a tanti e produsse perplessità e dubbi, ma alla fine è risultata essere la strategia vincente in un sistema bancario estremamente fluido e in movimento; tanto in movimento da consentire oggi (ad appena un anno dalla sua attuazione), sulla scorta degli ottimi risultati raggiunti, di aprire gli orizzonti e la visione complessiva verso il punto centrale del discorso: Salerno e le sue enormi potenzialità.
Non solo, la stessa strategia verosimilmente sarà attuata anche per la conquista dei territori di Potenza nell’immediato e di Matera in un futuro non molto lontano vista e considerata anche la proiezione europea della seconda provincia della Basilicata. Anche la location abilmente scelta per la celebrazione della conferenza stampa (sobriamente ed ottimamente organizzata) è la dimostrazione più plastica delle intenzioni della Banca del Cilento; l’occhio vuole la sua parte, ha sussurrato qualcuno, e di occhio in quella location ce n’è davvero tanto in fatto di modernità e di funzionalità oltre che di elevato standard imprenditoriale come quello della “holding Cardinale”. E c’è stato, a mio modesto avviso, anche un altro messaggio molto chiaro che attiene direttamente l’immagine che la Banca del Cilento riesce a proporre verso il mondo esterno, quella di una banca serena ed assolutamente non in competizione con nessuno per l’ampliamento della sua zona di competenza. Tanto è vero che lo stesso Ciro Solimeno ha esplicitamente dichiarato, per rispondere alla domanda del giornalista Pietro Cusati che gli chiedeva se la fusione con la Bcc Buonabitacolo si fosse fermata al brindisi di qualche mese fa, che la loro azione di espansione non è stata mai forzata ma debitamente cercata anche dalla controparte nell’ottica della sua strategia bancaria che va oltre le semplici ed improduttive pacche sulle spalle.
La Banca del Cilento ad oggi conta circa 150 dipendenti distribuiti su tre distinte regioni (Campania, Lucania, Calabria) con la bellezza di 23 sportelli per una copertura su 107 comuni; insomma una sorta di elefante che potrebbe correre il rischio di muoversi lentamente a causa delle difficoltà che il “modello organizzativo e lavorativo” potrebbe incontrare in conseguenza della fusione ed integrazione di sistemi lavorativi ed operativi completamente diversi tra loro, anche in vista di sicure nuove aperture di sportelli nello stesso Vallo di Diano così come in altre zone. Ma la composta e ferma strategia di Ciro Solimeno appare solida e ben collaudata, nonché guidata da un uomo capace e dotato di un’innata autorevolezza, tutte cose di buon auspicio per i futuri successi.
Un’ultima cosa prima di chiudere la devo spendere per il presidente della Banca del Cilento, Pasquale Lucibello; una cosa che è tutta di natura politica e cioè la “Fondazione Grande Lucania” (della quale ha parlato con enfasi lo stesso Lucibello) che è la sintesi di un discorso politico-territoriale appunto perché la Grande Lucania va da Matera alla costa cilentana passando per il Vallo di Diano e che è in grado di mettere insieme realtà sociali, imprenditoriali e politiche, capaci di produrre investimenti, occupazione e benessere per le diversissime comunità interessate. Cosa che neppure la politica, quella con la “P” maiuscola e/o quella politichese, è stata in grado di fare come nel caso del progetto della “Grande Lucania” (presieduto dall’architetto Tiziana Bove Ferrigno) rimasto come un sogno nel cassetto per molti politici politicanti.
direttore: Aldo Bianchini