Aldo Bianchini
SALERNO –E’ stato scritto, a più mani, che l’incendio doloso davanti il portone di casa del procuratore generale presso il tribunale di Salerno, dott. Leonida Primicerio, è stato frutto di una bravata e/o di una casualità. Nel precedente articolo ho espresso il mio pensiero e ribadisco, oggi, che in questi accadimenti non ci sono mai bravate e neppure casualità, o almeno non si tratta soltanto di bravate e di casualità. Il problema è che vengono subito classificati subito in queste categorie quasi come per evitare eventuali brutte figure degli investigatori chiamati a risolvere gli arcani misteri; poi se riescono ad accertare qualcosa immediatamente vengono cambiati di categoria ed inseriti nelle caselle più appropriate.
Uno dei fatti di cronaca più recenti è stato, ad esempio, il ritrovamento della testa di maiale sulle cassette postali nell’androne del palazzo dove abita il governatore Vincenzo De Luca a Salerno; subito si parlò di bravata e di casualità salvo poi a scoprire che era stato un giovane salernitano affetto da problemi psichici e disperato perché non trovava lavoro. In questo caso è finita così, ma in altri casi di teste di maiale tutto è rimasto nella categoria delle bravate e/o casualità.
Ai tempi del “processo Fondovalle Calore” arrivò in aula un’intercettazione telefonica fatta da un maresciallo della Procura che svelava un piano per un attentato dinamitardo in danno del pm Vito Di Nicola, allora impegnato con Luigi D’Alessio nel ruolo della pubblica accusa contro i 27 imputati. La trascrizione fu sbandierata in aula, ma poi non si è saputo più nulla.
Sempre come esempio, è giusto ricordare che i guai seri per il compianto sindaco Vincenzo Giordano iniziarono apparentemente da una casualità: nel corso di una perquisizione dello studio tecnico degli ingegneri Galdi e Amatucci vennero ritrovati un timbro e un foglio di carta intestata del comune di Salerno. I guai si conclusero qualche anno dopo, ad assoluzione conclamata, con il rigetto della domanda di risarcimento per via di un “cavillo interpretativo” circa la sussistenza o meno di una prescrizione minore nell’ambito del megaprocesso del “Trincerone ferroviario”.
Così come l’inquietante ritrovamento nel predetto studio, già sigillato dalla magistratura, di un messaggio inviato via fax proprio da quello studio contenente rivelazioni scottanti sul piano giudiziario.
Ma anche il misterioso ritrovamento, da parte dell’allora giovane pm Luciano Santoro, delle chiavi di un appartamento in zona Carmine che secondo una denuncia anonima era stato requisito ingiustamente dal Comune. Il giovane magistrato, dopo varie perizie e saltando alcuni ostacoli, riesce ad entrare nell’abitazione e scopre un covo della “P/2” salernitana; dopo un po’ di tempo Santoro viene eletto e spedito al CSM e l’inchiesta affossata.
Clemente Mastella nel 2008 è ministro della giustizia ed uno degli uomini più potenti d’Italia; ha fatto il ministro per la prima volta nel 1994 ma con Berlusconi al lavoro. Incappa in una magistratura che, forse, aspetta proprio quello che scopre attraverso alcune intercettazioni telefoniche (manipolate ??) che raccontano di sue pressioni su Antonio Bassolino per alcune nomine nella sanità. E’ la fine di un uomo politico, ministro in carica, raggiunto da un avviso di garanzia e con la moglie agli arresti domiciliari nel Lazio ed interdetta a recarsi nella Regione Campania, non come istituzione ma come territorio, cioè non può andare a casa propria. Cade il governo Prodi e il Paese ritorna nelle mani di Berlusconi. Il caso si chiude agli inizi di settembre del 2017 con l’assoluzione totale dopo dieci anni di sofferenze.
Poche settimane fa all’ex ministro Gianfranco Rotondi viene recapitata, a Roma, una busta contenente due pallottole P/38; atto temerario e deprecabile che viene subito classificato come bravata.
Ci sarebbero altri mille casi del genere, e mi sono sempre chiesto se sono tutti ascrivibili a bravate e casualità o fanno, invece, parte di un disegno delittuoso ben determinato e finemente organizzato dal solito “grande vecchio” che dagli inizi dell’Italia repubblicana riesce a farla sempre franca dopo aver condannato intere schiere di magistrati, politici, imprenditori e malavitosi; o più terra terra si tratta degli effetti di una “giustizia in fiamme” che non riesce più a fare giustizia serena senza provocare sfracelli che poi vengono puntualmente smantellati dalla stessa magistratura, anche se quella giudicante ?
Non è facile rispondere; sicuramente c‘è qualcosa che non va nella nostra giustizia, c’è qualcosa che esula dal sentire e dal pensare normale, c’è qualcosa che sfugge ad ogni logica razionalità; e pur ammettendo che spesso la logica non è razionale è evidente che un male incurabile sta trascinando la giustizia, o meglio come essa viene amministrata, verso la definitiva decadenza con rischi notevolissimi per le libertà personali ed anche per l’autonomia e indipendenza degli stessi magistrati.