di Angelo Giubileo (scrittore)
SALERNO – Per questa volta, proverò a dirvi, ma indirettamente, anche di me e della mia attività di ricerca durata circa 30 anni. E a motivo del fatto che, tra i pochi che mi hanno seguito in questi anni, qualcuno ha seriamente dubitato che tale ricerca sia, come in effetti viceversa è, giunta a un “punto” cosiddetto di non-ritorno.
E dunque, questa riflessione presuppone la lettura del testo precedente, Il fuso di Ananke, ma ancor più tiene conto di un’esperienza trentennale di vita e di conoscenza che condivide innanzitutto il metodo seguito da Heidegger nel commento alle parole di Parmenide:
Per sapere che cosa è detto e pensato nelle parole di Parmenide, scegliamo la via più sicura, seguiamo il testo. La traduzione allegata ne contiene già l’interpretazione. Tale interpretazione ha bisogno tuttavia di una delucidazione. Eppure, né la traduzione né la delucidazione hanno un peso fintanto che ciò che è pensato nella parola di Parmenide non ci tocca direttamente. Tutto dipende dal nostro prestare o meno attenzione al richiamo proveniente dalla parola pensante. Solo così, prestando attenzione al richiamo, conosciamo il detto …
E quindi, dal caos primigenio, nel quale alla maniera detta dei greci siamo “gettati”, procediamo nell’opera di dis-velamento dell’essere secondo l’ordine “vero” o presunto del cosmo, alla ricerca (de) dell’essenza (natura) delle cose (rerum).
A questo, è servita l’episteme dei greci. Ma, ancor prima, il racconto delle più antiche e diverse teogonie o cosmogonie, che dir si voglia. Infatti, l’episteme greca non ha rappresentato e non rappresenta altro che l’applicazione, riguardo all’essere, del nuovo metodo scientifico (geo-metrico) di misurazione in combinato disposto – si direbbe oggi con termine giuridico di estrazione romana – con le teorie dei nostri “più antichi progenitori” di cui dice Aristotele nella sua Metafisica.
In che cosa consiste il metodo scientifico? Quali sono i principi che regolano l’osservazione e l’analisi della natura? Si tratta di nuovi principi o, come anticipato, piuttosto degli stessi, potremmo anche dire, di sempre? Principi, cioè, umani e che quindi caratterizzano la ricerca dell’uomo, ab imis fundamentis.
L’esperienza dei racconti cosmogonici delle origini oltrepassa gli spazi-vuoti, senza confini, del mythos, del linguaggio cioè dei “sapienti”, e approda nei confini, viceversa limitati, del logos, del linguaggio cioè razionale dei “filosofi” e quindi dei primi cosiddetti fisici.
Facendo salva la traduzione e quant’altro qui precisato all’occorrenza, per mezzo di Heidegger, lo stesso Aristotele evidenzia che:
La maggior parte di coloro che per primi filosofarono ritennero che i soli principi di tutte le cose fossero quelli di specie materiale, perché ciò da cui tutte le cose hanno l’essere, da cui originariamente derivano e in cui alla fine si risolvono, pur rimanendo la sostanza ma cambiando nelle sue qualità, questo essi dicono che è l’elemento, questo il principio delle cose e perciò ritengono che niente si produce e niente si distrugge, poiché una sostanza siffatta si conserva sempre …
Ipostasi per la quale risulta corretta l’interpretazione di Giorgio de Santillana allorché in particolare, concludendo con la collaborazione di Herta von Dechend, la sua più celebre opera, Il mulino di Amleto, scrive che:
Si renderanno superflue, per citare un solo caso, le discussioni sulle “versioni” (al plurale) del “mito della creazione del mondo” (al singolare), per esempio nel Rg-Veda come pure la questione di a chi vada attribuita l’una o l’altra versione (agli abitanti originari o ai conquistatori), non appena si sostituirà – ancora una volta di diritto – il termine “mondo” con “età del mondo” (anche la Bibbia parla di “un nuovo cielo e una nuova terra”), e il termine “creazione” con il termine “misurazione” …
E quindi, ri-tornando alle teorie dei primi fisici, e in particolare a Democrito, ecco raccolto, sotto il velo della tradizione, il lascito di quella esperienza e quindi di quel pensiero, che ancora può dirsi “iniziale” alla maniera del detto di Heidegger, in uso secondo il metodo scientifico dell’episteme greca. In sintesi:
Niente accade a caso, ma tutte le cose accadono per ragione e di necessità ((detto) già attribuito a Leucippo).
Niente può essere creato dal niente, né può essere distrutto e ridotto al niente.
Non vi è fine per l’universo, poiché esso non fu creato da una qualche potenza esterna,
Opinione il colore, opinione il dolce, opinione l’amaro; in verità nient’altro che atomi e il vuoto.
E tuttavia, è facile riscontrare che questa non è una “verità” condivisa da tutti gli uomini. Sia per il passato, che per il presente e presumibilmente per il futuro. I principi di verità, così assunti e formulati, in base all’esperienza comune riguardano infatti anche diverse (altre) assunzioni e quindi formulazioni. In proposito, riscontrandole anche nelle precedenti esperienze cosmogoniche dell’antichità, ancora una volta Giorgio de Santillana afferma che esistono “tre forme di religione scientifica”, alle quali in pratica è possibile ricondurre esattamente ogni qual altra.
Alla dicitura della rappresentazione delle medesime, tuttavia, egli presuppone che, come dice l’Amleto di Shakespeare, “una mente sgombra da timore è il bene supremo”. O meglio, come immaginerete, sia “il bene supremo”. Quanto, altresì trascurando il medesimo detto di molti altri noti personaggi attraverso i millenni, Seneca ha cioè precisato riguardo alla superstitio di ogni religione (e quindi l’uso del termine superstitio inteso non in contrapposizione a quello di religio; mentre, secondo la diversa tradizione, entrambi i termini fanno riferimento ai diversi usi praticati, in ogni tempo e non solo in epoca romana):
Tutta la volgare accozzaglia di dei creati dalla superstizione dei tempi antichi, noi dobbiamo adorarla, senza dimenticare però che siamo obbligati a far questo per dare l’esempio e non perché quegli dei esistano.
Tanto premesso, le tre forme di religione scientifica sono così descritte e riassunte, quanto ai principi, da de Santillana:
A)Epicureismo. Sempre sulla scia del pensiero di Democrito, Epicuro si sottrae al principio d’inerzia del fisico: Se gli atomi si muovono, egli dice, è perché essi “cadono” eternamente attraverso lo spazio infinito. Una pioggia eterna verso il nulla. Ma se le loro strade sono tutte parallele, come possono essi scontrarsi? Qui Epicuro introduce il “caso”, in quanto distinto vuoi dalla ragione vuoi dalla necessità …
Si tratta dunque dell’inesplicabile intervento della Tyche, la Fortuna o il Caso. Che deriva dal cuore stesso delle cose. E, mirabilmente aggiunge:
Quindi, essa è eredità inalienabile di ogni uomo.
Un esempio desumibile a pieno titolo dal fondamento del discorso biblico dell’A.T., e in specie attraverso i primi due episodi relativi alla destinazione (assegnazione) della diversa “terra” (da abitare) da dio all’uomo, in principio con Adamo (terra) e poi con Abramo, figura capostipite dei tre ancora attuali “monoteismi” religiosi (ebraismo, cristianesimo, islamismo), “l’Ebreo”. Il cui significato è bene tradurre con le parole “passare oltre”, ciò che appunto avviene con l’istituto giuridico dell’eredità.
Il Redattore, nelle toledot Terah, tesse la storia di Abramo, presentato come un nuovo Adamo che, dietro una vocazione divina e una alleanza, passa dalla terra del peccato, Ur dei Caldei, alla terra promessa, migliore dello stesso Paradiso dei Progenitori, ove fonda la Bet’Abraham (= la casa di Abrahamo), riceve il figlio della Promessa, Isacco, che sarà l’unico erede delle benedizioni divine (CEI 1983).
E tuttavia, fino all’avvento di Giacobbe, che, per volere del dio, cambierà il nome in Israele. E così, attraverso il Salmo, fino all’avvento prima del Cristo e poi, ancora nella promessa dell’Apocalisse, di “cieli e terra nuovi” definitivi.
B)Neoplatonismo. Secondo l’“oscuro” linguaggio del mentore, le differenti teorie condurranno i seguaci del filosofo, e infine i cristiani, a una forma in tali casi di “spiritualismo integrale” (Plotino) o viceversa di “scetticismo totale” (Pirrone). Siamo nel campo del misticismo, che nasce da un’“intuizione” e si sottrae viceversa alla ragione. De Santillana conclude in proposito e dice che si tratta di una:
“metafisica della Luce” (che) porta con sé anche l’idea che la verità deve, in ultima analisi, essere intuitiva, e che solo l’intelletto “vero” o superiore può percepire quella luce …
Sul platonismo, e le forme che ne deriveranno, molto interessante è il giudizio fornito da Plutarco, e in particolare, a proposito di La fine degli oracoli, allorché precisa:
… come dice Sofocle, anche le opere divine periscono, ma non gli dèi. « L’essenza e il potere di questi fenomeni vanno ricercati nella natura e nella materia, dicono i sapienti, salvaguardando però, come è giusto, la loro origine divina. È assurdo e puerile credere che il dio stesso, come i ventriloqui soprannominati un tempo Euricli e oggi Pitoni, entri nel corpo dei profeti e parli servendosi della loro bocca e della loro voce come strumenti. Chi mescola dio alle funzioni umane non rispetta la sua maestà, e offende la dignità e il prestigio della sua, superiore statura ». « Hai ragione » disse Cleombroto. « Ma siccome è difficile comprendere e stabilire in qual modo e fino a che punto si possa far intervenire la provvidenza, succede che nell’opinione di alcuni il dio non c’entra per niente, per altri invece egli è la causa di tutte le cose senza eccezione. Ma né gli uni né gli altri tolgono la giusta misura. E dunque dice bene chi sostiene che Platone, presupponendo un elemento sottostante alle qualità in divenire – quello che viene chiamato oggi materia o natura – abbia liberato i filosofi da molte gravi difficoltà. Ma, a mio parere, molte difficoltà ancora più gravi sono state risolte da quelli che immaginarono il genere dei demoni, a metà fra dèi e uomini, il quale istituisce in certo modo un rapporto reciproco fra noi e la divinità. Poco importa se tale teoria si debba ai magi e a Zoroastro, o venga dalla Tracia e da Orfeo, oppure dall’Egitto o dalla Frigia, come testimoniano le cerimonie di questi due paesi, pervase dal lutto e dal senso della morte sia nei riti orgiastici sia nei drammi sacri …
C)Stoicismo. In proposito, anche de Santillana riprende il giudizio di Plutarco, sottolineando che, pur non essendo uno stoico, era un osservatore acuto:
E’ ben vero che la tanto ammirata comunità di Zenone, promotore della setta stoica, mira essenzialmente a questo: noi non dovremmo vivere né in città grandi né in città piccole, sotto leggi distinte l’una dall’altra, ma dovremmo considerare tutti gli uomini in generale come nostri compaesani e concittadini, obbedendo ad un’unica norma di vita e ad un unico ordine, come un gregge che pascoli in un solo prato comune, con uguale diritto per tutti. Questo scrisse Zenone, configurandosi, come in sogno, un certo schema di ordine civile e un’immagine di comunità filosofica. Ma Alessandro realizzò in pratica quelle parole con le sue imprese; poiché egli non governò i Greci, secondo il consiglio di Aristotele, da principe moderato, infierendo contro i barbari come un tiranno; né egli trattò amorevolmente i primi come amici e intrinseci, e disprezzò gli altri quasi fossero animali o piante; ciò avrebbe riempito il suo impero di fuggiaschi incendiari e di tumulti e sedizioni. Ma ritenendosi inviato dal cielo come moderatore comune ed arbitro di tutte le nazioni, e sottomettendo con la forza coloro che non poteva associarsi con eque offerte di alleanza, egli tanto fece che assoggettò sotto lo stesso governo tutte le nazioni, vicine e lontane. E poi, mescolando come in una coppa, vite, usi, costumi, matrimoni, tutto insieme, egli ordinò che tutti considerassero loro patria tutta la terra abitata …
La trasposizione del principio di governo dell’azione in ambito scientifico conduce fino (e oltre) a Newton, che – dice de Santillana – era un atomista per istinto:
Deve esserci un certo sottilissimo spirito (n.d.r.: oggi, la chiameremmo forza) che pervade i corpi più grossolani e sta nascosto in essi; per la forza e l’attrazione del quale le particelle dei corpi si attirano l’un l’altra a distanze ravvicinate e, se contigue, coeriscono.
Che emozione!, nel leggere che Newton usa un termine, tradotto, “coeriscono” che a me ricorda il termine, tradotto, del matematico Godel, “coerente”. E, ancora soprattutto, nel leggere de Santillana che così conclude:
Il vero conflitto degli ultimi secoli della nostra era non è tra “scienza e religione” ma semmai tra il naturalismo romantico e una filosofia dell’ordine e del disegno. Il sentimento pagano di un organismo cosmico può portare ad un elevato panteismo, ma la sua etica rimarrà sempre naturalistica. Galileo e Newton, i quali credevano nel Disegno, erano cristiani, ma Diderot era ateo; Goethe era un panteista. Ambedue questi ultimi erano discendenti degli stoici.
Dicevo che sono trascorsi ormai 30 anni circa dall’inizio della mia ricerca (cfr. opac.sbn.it/ alla voce angelo giubileo): da La terra promessa (il mistico e il filosofo) del 1988 a Il grande Pan è vivo del 2017. Come giudica M. Yourcenar, nel suo taccuino di appunti, che correda il suo Memorie di Adriano:
… quello che potevo apprendere è stato appreso. Occupiamoci ora di altri lavori.
direttore: Aldo Bianchini