Aldo Bianchini
SALERNO – I numerosi momenti celebrativi che in provincia di Salerno vengono organizzati per ricordare il viaggio, o meglio il passaggio, trionfale dell’imperatore Carlo V da Palermo a Napoli hanno sollecitato la mia curiosità giornalistica per capire quanto siano aderenti alla realtà le miriadi di manifestazioni direttamente intitolate al mitico imperatore e quelle indirettamente collegabili anche attraverso la rivisitazione, con sfilate – banchetti e tornei, di avvenimenti con sullo sfondo se non proprio il re, almeno le sue correlazioni amicali e governative.
Bisogna fare una premessa essenziale perché altrimenti il mio ragionamento potrebbe apparire soltanto riduttivo e con nessun collegamento storico, almeno tra quelli accertati e tramandati. Carlo d’Asburgo (nato a Gand il 24 febbraio 1500 e morto a Cuacos de Yuste il 21 settembre del 1958), con il nome, tra gli altri, di CARLO V, ha regnato ininterrottamente dal 1516 (appena sedicenne !!) fino al 1556 sui vari territori ricompresi nei suoi imperi, fino al punto di guadagnarsi l’appellativo di “re sul cui regno non tramontava mai il sole” in quanto i suoi domini si estendevano in buona parte dell’Europa, del Nord Africa e del Sud America (presi con l’aiuto dei “conquistadores”). Carlo V è stato una delle più importanti figure, forse l’unica, del 16° secolo; quarant’anni di regno (poco meno di quelli attribuiti al grande Pericle) hanno disegnato una figura che rimarrà impressa per sempre nella storia sia per le capacità politiche che per quelle gestionali di un’immensa mole di problemi legati all’estensione dell’impero. Il RE amava il lusso sfrenato e le spese di sostentamento per la sua corte erano inimmaginabili e finirono per dissanguare le già magre casse reali le cui risorse erano continuamente impegnate nelle lunghe e dispendiose guerre che il Sovrano portava contro Paesi vicini e lontani ma anche contro ogni anelito di libertà e di autonomia del suo popolo diretto (cioè quello ricompreso tra la Sicilia e la Campania).
Sull’onda del clamoroso successo nella guerra contro i Paesi del Nord Africa l’imperatore decise di porre mano ad un “viaggio trionfale” (sulla scia dei Cesari) che partendo da Palermo arrivasse fino a Napoli nel segno dell’unione, quasi metafisica, delle due presunte capitali del Regno delle Due Sicilie. A questo punto non c’è nulla di certo, ma la maggior parte degli storici fissano il famoso viaggio tra il 12 settembre e il 23 novembre del 1535; siamo negli anni del massimo fulgore dell’impero di Carlo V e il monarca non vuole farsi mancare proprio nulla; al seguito l’intera corte imperiale che, con tutto il lusso sfrenato imposto, attingeva (se non proprio esigeva) contributi a pioggia da tutti i paeselli e le località esistenti, all’epoca, sulla via che da Palermo portava a Napoli. Naturalmente più le comunità locali offrivano e più arrivavano i riconoscimenti e gli attestati fioccavano (anche se inutili) verso le stesse comunità; l’obolo da pagare era pesante, i riconoscimenti e gli attestati non costavano niente.
Un viaggio durato circa 72 giorni, parte dei quali impegnati tra Palermo (30 gg.), Messina (almeno 15 gg.), Bisignano (5 gg. Per favolose cacce al cinghiale), Padula (2 giorni), Cava de’ Tirreni (2 giorni), Nocera Inferiore (2 giorni), Stabia (3 giorni) e così via. Ma volendoci fermare soltanto a questi numeri quasi certi dobbiamo prendere atto che per tutte le altre soste o visite che il RE avrebbe compiuto rimanevano ben pochi giorni: 13 in tutto per passare in rassegna almeno un migliaio di paesi, comunità, contrade, borghi, masserie cantonali, ecc.
Tredici giorni per tutti gli altri spostamenti e per compiere i vari tragitti chilometrici; tredici giorni sarebbero, forse, stati sufficienti oggi per una simile forzata tournee a bordo di attrezzati elicotteri, sicuramente non nel 16° secolo con l’impiego di cavalli e carrozze; ma tutti dicono che Calo V da loro si è fermato, e se lo dicono ci sarà pure qualche elemento storico di riferimento; elementi storici che non mi permetto di confutare in primo luogo perché non sono uno storico ed in secondo luogo perché credo nella buona fede degli altri. I dubbi, i forti dubbi però restano ed aumentano sempre di più in rapporto all’aumento numerico delle manifestazioni e dal loro crescere nel numero di giorni ad esse dedicate da ogni comunità.
La cosa più grave, però, non è il preteso forzato ricordo del passaggio e/o della sosta di Carlo V in tantissime località; la cosa più grave è il continuo enorme flusso di denaro pubblico che viene elargito, sotto forma di contributi, a tutti i Comuni, gli Enti, le Associazioni che (ognuno a modo loro) organizzano le rivisitazioni del clamoroso viaggio imperiale; non c’è cultura del risparmio, quasi come ad emulare lo sforzo ed il lusso sfrenato del coorte dell’imperatore sul cui regno con tramontava mai il sole.
Se vero, come fece Carlo V a fare tutto questo in soli 72 giorni ? C’è probabilmente un segreto, ma l’ha portato per sempre con lui nella tomba; per buona pace di tutti.
direttore: Aldo Bianchini