Carolina Salluzzi.
Durante l’ultima giornata del festival delle birre internazionali, messo in piedi dall’associazione Sassano…arte cultura e spettacolo, che si è svolto dal 19 al 23 luglio a San Rocco nella Tenuta Nicodemo, si è tenuta un’informale tavola rotonda dal titolo “Divertimento senza barriere”. Partecipanti alla discussione sono stati il presidente dell’associazione organizzatrice Angelo Ricciardone, Don Vincenzo Federico, il vicesindaco di Monte San Giacomo Angela D’alto, il responsabile del Piano di Zona S10 Antonio Florio, Marianna De Vita di Una Speranza Onlus, Carmela Ricciardi dell’associazione Antonio Finamore, a moderare la Giornalista Chiara di Miele. La serata è stato un classico esempio di come troppo spesso si sottolinei dei portatori di disabilità soltanto la problematicità di tale condizione di vita, si veda in loro qualcuno di cui parlare e non qualcuno con cui parlare. Le immagini proiettate dall’associazione Una Speranza Onlus sono state in questo senso un particolare esemplificativo, in loop sono state proiettate durante tutta la chiacchierata foto frame di volti senza nome, una musica a coprire le voci, in modo che a risaltare all’occhio dello spettatore fosse una sola cosa: le patologie dei soggetti ripresi. Il responsabile del Piano di Zona S10 ha commentato con sorpresa “quella rampetta che avete messo lì all’ingresso quasi a giustificare e a dimostrare che questo è un momento particolare”, come se non dovesse essere un atto di normale civiltà quello di rendere accessibile a chiunque uno spazio dedicato al pubblico e senza nemmeno notare nello specifico che quella rampetta, per conformazione, non permetteva affatto una facile discesa a chi avesse dovuto percorrerla in carrozzina. Forse sono stati i tempi strettissimi lamentati a inizio intervento del presidente dell’associazione a non far coincidere la volontà di creare un momento di divertimento per tutti con la pratica; perché di null’altro necessitava un portatore di diversità per godersi momenti di svago al Sassano Beer Fest se non alcuni accorgimenti logistici, come potevano essere una facilitazione nelle code agli affollati chioschi ed uno spazio lasciato appositamente libero nella prossimità del palco durante gl’intrattenimenti musicali di tutte le serate. Ma, di sicuro, ricordare ad un portatore di disabilità le difficoltà che già conosce benissimo, intristirlo con un memento sul dopo di noi e sentire interventi dai toni pietistici non lo ha fatto certamente divertire, come non ha fatto divertire chi vuole loro bene. Non tutti credono che per portare la disabilità fuori dalle mura domestiche bisogna crearne delle altre (come i centri diurni in cui le persone normodotate entrano quasi esclusivamente in qualità di volontari o addetti al mestiere) ma anche in questo, come in tutti i casi, ci sono modi di concepire differentemente una stessa questione: c’è chi percepisce un problema e c’è chi coglie un’occasione di vedere il mondo in una prospettiva che non gli si sarebbe mai aperta diversamente, cercando parità e diritti e non opere di bene.