SALERNO – Un articolo pubblicato su “La Città” del 24 giugno scorso, a firma del giornalista Domenico Gramazio, mi ha sinceramente turbato. Comincio dal titolo “Post e attacchi nel dossier dell’Antimafia – La DDA si accinge a depositare gli atti per ottenere l’arresto di Aliberti. Nei faldoni i messaggi social del politico” di un articolo che, nella sua perfetta e puntuale stesura, riesce a focalizzare un importante ed attualissimo problema che riguarda l’utilizzo spregiudicato dei social e che, purtroppo, non esprime alcuna considerazione sulla vicenda drammaticamente ingiusta che sta vivendo sulla propria pelle l’ex sindaco di Scafati Pasquale Aliberti. Non sempre il giornalista o un giornale deve esprimere la propria opinione dopo aver raccontato i fatti, ma nel caso specifico attesa l’importanza dell’azione devastante della DDA di Salerno mi sembrava e mi sembra necessario intervenire sull’argomento. Faccio appello, dunque, al neo direttore responsabile de La Città, Andrea Manzi, di un ritorno sulla vicenda anche al fine da allontanare qualsiasi tipo di sospetto circa l’atteggiamento dell’editore che storicamente sembrerebbe posizionato sulla sponda opposta dell’ex sindaco.
Ammetto, in partenza, che la mia difesa ad oltranza di Aliberti può anche apparire come una fissa, ma certamente si tratta di una fissa indipendente perché, a questo punto, pur volendo il buon Aliberti non può darmi assolutamente nulla; l’ammissione delle mie presunte colpe mi consente, però, di avanzare altrettanti dubbi sull’azione della DDA coordinata dal pm Vincenzo Montemurro e di accostarla anch’essa ad una fissa: mandare in galera Pasquale Aliberti. Se così fosse ci troveremmo di fronte ad una persecuzione giudiziaria bella e buona; ed è su questi atteggiamenti della magistratura che il giornalismo se vuole sopravvivere con tutta la sua forza e indipendenza deve intervenire, non soltanto nel raccontare i fatti. Non a caso il mitico Beppe Fava diceva spesso di “togliere i veli ai fatti e le veline alle idee”.
Dall’articolo di Gramazio emerge una circostanza che definire inquietante è poco; la “DDA si accingerebbe (uso il condizionale per prudenza) a depositare gli atti per ottenere l’arresto di Aliberti. Nei faldoni i messaggi social del politico”; in pratica quello che è, e dovrebbe rimanere, un libero esercizio del pensiero esercitato oltretutto da una persona libera ed illibata (qual è al momento Aliberti) rischia di assumere la veste e la dignità di un vero e proprio capo di accusa per surroga. Siamo di fronte cioè alla contestazione giudiziaria di una “presunta diffamazione” che Aliberti avrebbe commesso nei confronti della Commissione d’Accesso (tre funzionari prefettizi) all’opera nel Comune di Scafati dal momento delle dimissioni del sindaco. Ammesso che Aliberti avesse diffamato con i suoi post i tre commissari mi sarebbe apparso più giusto che i commissari avessero denunciato Aliberti e, semmai, soltanto a processo concluso con sentenza definitiva acquisire gli atti per inserirli nei faldoni processuali che con i social non ci azzeccano niente.
Il caso è in bilico tra la verginità e la violenza: la verginità presunta dei tre commissari che, solo per il fatto di essere alti commissari prefettizi, non possono sbagliare anche inconsapevolmente; la violenza insistente e caparbia di un uomo (Aliberti !!) che tenta di difendere il suo operato pregresso di amministratore che conoscendo i fatti riesce a “tampinare” i tre commissari in tutte le loro azioni. E poi c’è la ricerca affannosa del reato a tutti i costi in danno di Pasquale Aliberti che, ogni giorno che passa, diventa sempre più vittima e non carnefice.
Infine c’è anche l’altro risvolto, non meno drammatico e inquietante, del tentativo forzato di voler a tutti i costi trascinare la moglie di Aliberti, Monica Paolino, la quale (sempre secondo quanto riportato dal quotidiano La Città) non dovrebbe manco più parlare delle vicende politico-giudiziarie che riguardano il marito e indirettamente lei stessa; tutti dimenticano, soprattutto gli inquirenti, che Monica Paolino è tuttora consigliere regionale ed ha tutti i diritti non solo di parlare ma anche di debellare i complotti politici che nella vicenda non mancano.
Sul complotto politico ho già scritto in precedenza, ma è giusto ritornarci nelle prossime puntate di questa triste vicenda che continuerò a raccontare dopo il 3 luglio prossimo.
Per concludere è giusto ricordare a tutti che quando si mette in discussione la “libertà di pensiero” (che non la si nega neppure ad un ergastolano !!) è giusto che la stampa riprenda il suo ruolo ed il suo peso specifico.