PADULA – Avevo dedicato, in passato, molte puntate alla complicata vicenda del clamoroso “sequestro Bloisi” di Padula ad opera della Procura della Repubblica di Lagonegro; con la presente sono alla quattordicesima e, nonostante, una sentenza che sostanzialmente manda assolti i sette imputati (Angelo D’Aniello, Giuseppe Bloisi, Antonietta Bloisi, Michele Tamburini, Francesco Polito, Michele Polito e Michele De Paola legati tra loro per la concessione in favore di “Sportissimo Bloisi” del permesso a costruire ed ampliare la struttura edilizia destinata a centro commerciale di abbigliamento e attrezzi sportivi che da molti anni campeggia in loc. Cardogna di Padula) tutto lascia pensare che il caso giudiziario non finisce qui e che dovremo registrare in un prossimo futuro altri risvolti importanti in quanto, al di là della concessione di cui sopra rimangono in sospeso vari problemi legati alla denuncia sottoscritta dal legale rappresentante della Vematel contro l’amministrazione comunale (retta allora dal sindaco Giovanni Alliegro) rea, secondo il denunciante di clamorosi delitti dal risvolto penale e tuttora in corso di accertamenti e verifiche da parte della Procura.
Nel precedente articolo, quello del 26 maggio 2015 (due anni fa) avevo riferito di una lunga lettera inviatami, via mail, dal legale rappresentante della Vematel (che io ho definito Ignoto/1); una lettera dalla quale trasudava la sua inquietudine frammista a rabbia contro un’amministrazione comunale che secondo lui aveva assunto una posizione stranamente contraria a quelli che erano soltanto interessi commerciali sia personali che produttivi verso l’occupazione: “… Sprezzanti delle leggi, degli strumenti urbanistici con annessi e connessi standard e parametri, sdegnosi di quei principi di imparzialità, di buon andamento, correttezza e trasparenza che dovrebbero essere i principi ispiratori dell’agire della pubblica amministrazione, tecnici, amministratori, funzionari e responsabili degli uffici comunali di Padula, non hanno voluto e continuano a non voler esaminare tutte le pratiche presentate dai cittadini, con la stessa “lente di ingrandimento”, facendo così del piano regolatore e degli standard urbanistici-edilizi uno strumento da utilizzare a loro piacimento, da derogare caso per caso a seconda della pratica da istruire, interpretando i suddetti standard in modo LIMITATIVO nei confronti di qualcuno ed ESTENSIVO (o per meglio dire, nel totale disprezzo e nella non curanza di tali parametri) per altri …”. Naturalmente ignoto/1 non si era fermato alle suddette considerazioni ed aveva continuato scrivendo: “… Ritornando al caso di specie, la “pubblica amministrazione Padulese” ha posto in essere contrariamente a quanto è avvenuto per altre pratiche di variante urbanistica ( mutamento della destinazione urbanistica da zona omogenea “Es” agricola speciale a “zona D-sottozona D2”) istruite dalla medesima, una serie di atti e comportamenti illegittimi e mendaci finalizzati a dilatare sine die i tempi utili a tale procedura, nonostante fosse intervenuto il parere favorevole di tutti gli enti coinvolti, addirittura interpretando in modo ostativo le prescrizioni della Soprintendenza, alla stregua di un atto di diniego, laddove in realtà trattavasi di mero “invito”, così come statuito anche dal TAR Campania -sez. staccata di Salerno e dal Consiglio di Stato; possiamo quindi dire in definitiva che scopo ultimo dell’amministrazione comunale era quello di far ricadere la procedura interamente sotto la sopravvenuta e più restrittiva disciplina dettata dal D.p.r. n.160/2010, nel frattempo entrata in vigore in sostituzione del D.p.r. n.447/1998, la quale non consentiva il ricorso alla procedura di variante urbanistica per le medie e grandi strutture di vendita, tra cui rientrava l’intervento richiesto, arrecando dolosamente, per l’inutile ed illegittimo ritardo un pregiudizio alla mia attività. Tutto ciò potrebbe apparire surreale, invece è soltanto uno spaccato di pessima amministrazione …”. Addirittura dopo la lettera venni anche contattato telefonicamente per l’annuncio di un incontro che non c’è mai stato.
Ma tutto questo fa parte di un altro filone di indagini che non può e non deve scalfire minimamente la validità della sentenza che il GUP Vincenzo Saladino ha sottoscritto in data 19 aprile 2017, ben tre anni e diciotto giorni dopo il sequestro avvenuto la mattina del 1° aprile 2014; una sentenza maturata alla fine di una camera di consiglio lunga ed articolata che ha impegnato il magistrato in un ragionamento lungo ben 40 pagine i cui ultimi righi recitano così: “per determinare, ai sensi dell’art. 323 c.p.p., il dissequestro dell’intero complesso edificio destinato ad attività commerciale in loc. Cardogna di Padula -SS/19-, un suolo censito in catasto al foglio 31 –particelle 609, 892, 903 e 217, e ne dispone la restituzione all’avente diritto”.
E adesso, come spesso accade, si ripropone la storica domanda: “Chi risarcirà i fratelli Bloisi dei disastri economici subiti e, soprattutto, chi potrà mai azzerare le pressioni psicologiche, i turbamenti psichici, il dolore fisico, lo smarrimento totale che sono stati costretti a vivere sulla loro pelle per oltre tre anni ?”. E tutto per sentire, alla fine, un giudice che con voce stentorea e in pochi secondi smantella anni di indagini e di perizie tecniche (su questo ritornerò nei prossimi giorni) e legge un dispositivo per mandarli assolti in nome del popolo italiano, quello stesso popolo che probabilmente ha anche gioito la mattina del 1° aprile del 2014 alla notizia (rapidamente diffusa dai locali organi di informazione che oggi nicchiano) di un sequestro che apriva scenari inquietanti anche se privi di qualsiasi fondamento.
N.B.: Foto tratte da Ondanews.it