SALERNO – Inizio questo approfondimento con una premessa essenziale. L’ultimo lavoro letterario, in ordine di tempo, dell’on. Carmelo Conte, già ministro della Repubblica per le aree urbane (un ministero esistito per una sola volta nella storia di questo Paese), se fosse stato scritto da chiunque altro avrebbe assunto la dignità di “un pezzo di storia scritta” da archiviare negli annali e tramandare ai posteri. “Coincidenze e poteri, da Gava a De Mita da Craxi a Renzi”, questo il titolo del libro, è stato scritto invece da Carmelo Conte e per questa semplice e valida ragione potrà avere soltanto la dimensione di un racconto di vicende vissute e/o osservate con gli occhi del protagonista, e i protagonisti (molto più condizionati degli osservatori) non dovrebbero mai scrivere la storia ma soltanto contribuire a che altri possano scriverla. Non sempre accade e, come nel caso di Conte, avremo sicuramente una ricostruzione di alcuni brandelli di storia rivisitati con gli occhi del protagonista e con tutte le distorsioni che l’essere stato protagonista porta con se.
Del resto la stessa pagina di copertina del libro porta a considerare, vista l’immagine della Terra, che quelli descritti da Conte non sono altro che piccoli episodi che, pur coincidendo con nascita e morte di personali spaccati di potere, avvengono a ripetizione in tutto il Mondo e sotto tutte le forme, dalla democrazia alla dittatura. Ed è sempre lo stesso ritornello tra politica, magistratura e stampa, tutti e tre protesi alla ricerca di un sistema di potere sul quale fondare il proprio impero personale. Insomma se da Gava a Renzi, passando per De Mita e Craxi, la storia è sempre quella vorrà pur dire qualcosa a convalida del mio pensiero in merito a chi debba scrivere la storia, quella che più delle altre si avvicina alla verità e che merita perciò di essere tramandata.
Nel racconto di Carmelo Conte c’è tutto questo concetto e c’è anche la pratica impossibilità del personaggio di sottrarsi alla tentazione di ricostruire in chiave personale (racconto ad personam !!) tutto quello che, ovviamente, è sotto gli occhi di tutti. La “manina” spesso evocata da Conte non è altro che un paravento di chi avendo gestito una fetta di potere l’ha, purtroppo per lui, perso per una serie incredibile di “coincidenze” pur tenendo doverosamente conto che il potere è sempre frutto di coincidenze. Ecco perché, secondo il mio opinabile giudizio, Carmelo Conte avrebbe fatto meglio a far raccontare da altri la storia che, invece, testardamente ha voluto rappresentare egli stesso dimenticando di essere stato a sua volta “un uomo di potere” che per la sua crescita ha dovuto abbattere altri uomini di potere o, più semplicemente, ha sfruttato “clamorose coincidenze” che lo hanno proiettato in una dimensione a livello nazionale dove ha avuto la possibilità di dispiegare il suo progetto sull’onda di una capacità politica straordinariamente unica ed irripetibile nel nostro ambito territoriale, dal secondo dopoguerra ad oggi.
Ma quello di Conte, amici lettori, per potersi affermare è stato un potere messo in campo senza alcuna remora e senza alcuna pietà per gli avversari che mano a mano gli si paravano davanti per cercare di contrastare e soffocare la sua inarrestabile ascesa politica che per un paio di decenni ha dominato la scena in lungo e in largo.
Anche allora, come oggi, sono stato vicino e lontano rispetto al progetto politico contiano; anzi più lontano che vicino, salvo a trovarmi decisamente schierato dalla sua parte nei momenti decisivi e rovinosi della sua caduta quando tanti altri (quasi tutti !!) fuggivano via da quel cerchio magico che avevano faticosamente e servilmente conquistato. Ho avuto modo di vederne alcuni anche l’altra sera seduti in sala quando nel complesso della Santissima Pietà a Teggiano è stato presentato per l’ennesima volta il lavoro letterario; se vogliamo questa è un’altra coincidenza del potere che trasforma le persone da sciocchi servitori in poetici adulatori di un passato che non c’è più e del quale cercano di ricostruirne alcuni frammenti partendo, però, sempre da un punto di vista personale che non avrà mai alcuna “coincidenza” con la storia vera.
Ha fatto benissimo Michele Albanese (direttore generale della Banca Monte Pruno) ad evocare il famigerato “processo California” come la rappresentazione più plastica della guerra tra politica e magistratura ma anche tra comunità e politica nell’ottica di una storica negazione delle qualità e delle capacità di un uomo (Conte !!) che avrebbe potuto portare molti benefici al suo paese di nascita se soltanto quella comunità avesse riconosciuto in Conte la validità di un progetto che anche oggi potrebbe avere la sua ricaduta positiva. Ma c’è stato di mezzo il “processo California” del quale anche io sono stato un protagonista nell’aver raccontato, da teste a discarico, l’episodio del camorrista, facente capo a Giovanni Marrandino, che a Contursi si avvicinò al nostro tavolo (c’era la festa di una comunione) per offrire all’allora ministro una bottiglia di champagne che venne decisamente rifiutata; così come l’episodio di Pinuccio Cillari (strabico e ondivago camorrista) che all’inizio di una sua deposizione contro Conte incominciava col dire di essere stato “compulsato” dal ministro, un verbo “compulsare” che un semi analfabeta come lui non avrebbe mai potuto conoscere se qualcuno non glielo avesse messo sulle labbra. Quel giorno in aula, era il mese di settembre del 2006, lottai aspramente con i due pubblici ministeri e con la corte arrivando addirittura a porre io delle domande a loro; lo feci perché a me personalmente non piace il potere ed in quel momento Carmelo Conte era un uomo senza più potere, un uomo che tante coincidenze avevano portato nell’aula di un tribunale e dinanzi ad un’agguerrita pubblica accusa.
Non ho condiviso, invece, il passaggio dell’intervento di Corrado Matera (anche lui divenuto assessore regionale al turismo sull’onda di una serie irripetibile di coincidenze) quando ha parlato della Regione Campania che nel recente passato era stata più “un bancomat” che un organismo politico. Avrei voluto porre una domanda a Matera ma non c’era dibattito; gliela pongo da questo giornale: “Caro Corrado ammesso che sia vero che la regione è stata un bancomat dovresti avere il coraggio di ammettere che adesso è una cassa continua con una variante che non è una variabile ma una prassi comune e costante: oggi l’addetto alla cassa continua analizza persone e cose, ne chiede la sua fedeltà e solo dopo consente di passare all’incasso. Quella di prima con il suo bancomat, freddo e anonimo, era una Regione sfasciata quanto si vuole ma sicuramente meno personalizzata e, soprattutto, meno selettiva e per niente brutale”.
Ma torniamo rapidamente a “Coincidenze e poteri, da Gava a De Mita da Craxi a Renzi” per dire che Carmelo Conte ha gestito il potere nè più e nè meno come lo hanno gestito tanti altri prima, durante e dopo di lui. Il potere porta con se sempre uno strato di protervia che fa parte del suo DNA qualora il potere potesse essere rappresentato e descritto come una persona fisica. Il 6 agosto 1990, nel pieno del potere contiano, insieme al mio amico Pierino Cusati ci ritrovammo come osservatori su un terrazzo di una splendida villa abbarbicata su un costone roccioso della costiera amalfitana nei pressi di Cetara; insieme a noi c’era tutta la giunta comunale di Sassano e c’era anche Enrico Zambrotti che all’epoca era il deus ex machina del potere contiano. Una giunta, fatta di persone normali ma anche di molti professionisti, che si era portata in quel posto per pietire la risoluzione dell’ennesima crisi comunale a causa delle pressanti richieste di Michele Romano di fare il sindaco del paese. Non mi soffermo sui dettagli ma lì, quella notte, ebbi l’esatta percezione di cosa era ed è il potere; nella stanza dei bottoni potettero accedere soltanto Gaetano Arenare, Michele Romano e Enrico Zambrotti; tutti gli altri, professionisti compresi, tenuti umilmente all’addiaccio (anche se estate … faceva freddo !!) sul terrazzo fino alle tre del mattino. Anche questo era il potere di Carmelo Conte che non era dissimile dagli altri poteri, altro che “manina immaginaria“ capace di cambiare il corso della storia; non ci sono manine ma soltanto coincidenze che se ben analizzate portano al potere e se banalizzate portano alla rovinosa caduta, di tutti, da Gava a de Mita e da Craxi a Renzi, ma anche da Cesare ad Augusto come da Alessandro Magno a Napoleone. Per convincersi di quanto dico basta ricordare la coincidenza di una notte di pioggia torrenziale nella notte che precedette il 18 giugno 1815 per capire la sconfitta napoleonica di Waterloo ma, soprattutto, per capire la storia. “Che la storia non si ripeta è un grande alibi per tutti; che possa ripetersi anche” (Massimo hieli), e sulla base di questa affermazione le teologiche e filosofiche ricostruzioni fatte da vecchi e nuovi docenti universitari non sono altro che la ripetizione quasi mnemonica di fatti, circostanze e coincidenze. E’ stato sempre così e sarà sempre così.