SALERNO – Sono passati ben ventiquattro anni da quando, in quella tristemente famosa serata di fine maggio, fu immotivatamente arrestato il prof. Vincenzo Giordano, sindaco di Salerno dall’87 al ’93.
Nel mio libro “Vincenzo Giordano, da sitting bull a sindaco di Salerno” al capitolo n. 6 con il titolo “l’onta degli arresti” ho così descritto quella brutta giornata.
6 – L’onta degli arresti
Qualche giorno prima del 31 maggio 1993 io e il mio editore dell’epoca, Ettore Lambiase patron di TV Oggi, eravamo stati a cena insieme ad Aniello Salzano e ad un altro amico di Battipaglia. Fu una cena drammatica, Aniello mostrava tutto il suo nervosismo per una situazione che, a suo dire, era sfuggita di mano a tutti e che rischiava di far precipitare lui ed altri in una voragine senza fine. Ascoltammo in silenzio, c’era poco da dire o da fare, ormai i mandati di cattura li aspettava con ansia e con ingordigia gran parte della città, tantissimi volevano sentire il tintinnio delle manette eccellenti.
Verso la fine della cena Aniello mi consegnò una lettera sigillata pregandomi di leggerla in tv (ero responsabile del telegiornale di TV Oggi) qualora fosse accaduto l’irreparabile. Mi misi a ridere e dissi che la sua era una paura non confortata dai fatti, sapevo dentro di me che non era così in quanto le indiscrezioni che in quelle ore venivano fuori dalla Procura erano di tutt’altro segno.
Conservai gelosamente la lettera. Probabilmente nelle stesse ore della suddetta cena un personaggio molto più importante di noi, Vincenzo De Luca, si recava presso l’abitazione di Vincenzo Giordano per andargli a dire che il suo arresto è imminente (forse ha saputo da indiscrezioni che il gip ha firmato le richieste di arresto della Procura); in quel momento storico De Luca è sindaco da pochi giorni e Giordano è il sindaco uscente dopo oltre sei anni continuati di governo.
Questo è uno dei tanti aspetti misteriosi della vicenda, un aspetto dichiarato pubblicamente soltanto da Vincenzo Giordano e mai confermato da Vincenzo De Luca.
In un clima torrido e torbido, e non soltanto per il caldo incipiente, si arriva al fatidico giorno del 31 maggio 1993. Sembra una giornata piuttosto tranquilla, nelle redazioni si sonnecchia e un po’ tutti pensano che per gli arresti più volte ventilati si dovrà aspettare il mese di settembre.
E’ un lunedì e i telegiornali sono pieni di sport e di notizie varie; nel pomeriggio convoco fortunatamente una riunione di redazione per fare il punto della situazione. Nel pieno della riunione, poco dopo le ore 18.00, arriva la prima indiscrezione sul presunto arresto o consegna spontanea dell’ex sindaco Salzano. Da lì in poi e fino a notte fonda non si capisce più nulla. Vengono arrestati in rapida successione Vincenzo Giordano (sindaco uscente), Aniello Salzano (già sindaco di Salerno e consigliere regionale in carica), Fulvio Bonavitacola (già assessore comunale al ll.pp.), Carlo Mustacchi (docente universitario), Luigi Adriani (docente universitario) e Antonio Di Donato (imprenditore cavese).
Le accuse vanno dalla corruzione alla concussione ed alla turbativa d’asta per l’inchiesta sul “trincerone ferroviario”. La strategia della tensione giudiziaria a quel punto è chiarissima; gli arresti devono susseguirsi agli arresti in modo da sfiancare gli avversari e rendere poco visibili i punti di riferimento. Solo così possono essere al tempo stesso esaltate le verità vere e quelle di comodo.
Singolari, molto singolari le modalità messe in scena per l’arresto dei tre politici Giordano, Salzano e Bonavitacola. In seguito si apprenderà che gli arresti erano stati programmati per l’alba del 1° giugno 1993 ma il programma salta per colpa di Aniello Salzano che non regge più quel diabolico stillicidio e chiede (anche per sottrarsi all’attenzione dei media) di consegnarsi alla giustizia. Pietro Paolo Elefante (colonnello dei carabinieri) lo aspetta sulla bretella autostradale SA-Av e lo conduce nel carcere di Ariano Irpino. E’ il tardo pomeriggio del 31 maggio 1993. Fulvio Bonavitacola viene contattato sull’utenza telefonica cellulare e raggiunto da un ispettore di polizia (Mario Porcelli, ndr !!) davanti al Bar Varese, trasportato prima nel commissariato di Torrione e poi a Fuorni quando è già notte fonda.
Quella sera mentre già impazzano le edizioni speciali dei telegiornali Vincenzo Giordano, intorno alle ore 20.30, sta giocando a carte napoletane con alcuni amici nel giardino del parco in cui abita. E’ lì che viene raggiunto prima da alcuni amici e poi dagli uomini di Sebastiano Coppola e portato nel posto di polizia del Tribunale; viene esposto come un trofeo di guerra in mezzo a due poliziotti sotto l’impietoso flash dei tanti cronisti accorsi sul luogo.
Mi posi subito una domanda sulla serietà delle motivazioni che avevano portato a quei clamorosi arresti; in pratica si trattò soltanto di una sceneggiata o di un fatto inevitabile ? propendo, come allora, per la prima risposta: fu solo una sceneggiata anche male orchestrata. Difatti se per Bonavitacola fu sufficiente una telefonata, se Salzano si consegnò spontaneamente e se Giordano già sapeva ed aspettava tranquillo giocando a carte, sembrava e sembra alquanto inutile il clamore degli arresti perché in nessuno dei tre casi ricorrevano i tre elementi essenziali per l’arresto: pericolo di fuga, inquinamento delle prove e reiterazione del reato.
La mattina di martedì 1° giugno 1993 un anonimo poliziotto consegnò in redazione (TV Oggi) una busta gialla contenente alcune fotografie che ritraevano il sindaco Giordano in mezzo a due poliziotti dinanzi il palazzo di giustizia. Giunsi in redazione dopo mezzogiorno e mi arrabbiai moltissimo per quel gesto insulso. Decisi di mandare in onda, nel tg delle ore 14.00, le tre fotografie e preparai per iscritto una critica feroce a quel gesto infame che fu letta dalla lettrice del telegiornale. Nel pomeriggio ricevetti una telefonata minacciosa (non è più il caso, ora, di ricordare nome e cognome del telefonista) che io respinsi decisamente al mittente. Anzi non contento (e feci benissimo !!) la mattina successiva, mercoledì 2 giugno 1993, mi recai in Procura per manifestare il mio dissenso rispetto a quel gesto veramente vergognoso ed alla successiva inquietante telefonata. Il pm Alfredo Greco che era delegato ai rapporti con la stampa, sempre molto sensibile ed umano, apprezzò il mio gesto e convocò nel suo ufficio, in mia presenza, l’autore di quella telefonata. Ci fu un chiarimento ma per molti anni ho portato su di me il peso di una malcelata ostilità di quel personaggio, ostilità raffreddatasi e decisamente scomparsa solo negli ultimi tempi. Ora tutto è passato, grazie a Dio, e siamo ritornati in ottimi e sereni rapporti; ma ci son voluti venti anni. Questo, anche questo fu il prezzo da pagare a quell’assurdo massacro di tangentopoli.
Per questa ragione, a distanza di vent’anni, si può ben affermare che quelli furono arresti gratuiti, spettacolari e speculari, utili soltanto a calare ancora di più il teorema della procura nell’immaginario collettivo della gente. Ma è proprio nella drammaticità di quei giorni che Vincenzo De Luca costruisce il suo capolavoro politico. Da sindaco in carica, e da grande comunicatore qual è, capisce che la gente è assetata di giustizialismo contro i vecchi potenti e brama l’arrivo di un nuovo e unico leader. E’ un comunista, potrebbe continuare ad esserlo per molto tempo ancora senza problemi, invece intelligentemente esce allo scoperto e scrive testualmente: “”Siamo in una situazione in cui anche mantenere una posizione di puro servizio per la città rischia di essere visto, o strumentalizzato, come ottusa volontà di potere””. La gente non sa, non capisce ma vede in lui l’uomo della speranza, l’uomo del governo forte ed autorevole e lo acclama con enfasi. Il sindaco De Luca a quel punto gioca il suo asso nella manica, convoca la conferenza dei capi-gruppo e di lì a poco, strategicamente, si dimette. E‘ il 2 luglio 1993 ed a Salerno arriva il commissario Antonio Lattarulo che poi si scoprirà essere “uomo dei servizi segreti”. Il 5 dicembre 1993 è soltanto la data ufficiale dell’inizio del lungo sindacato di De Luca, sbaraglia il coriaceo Pino Acocella ed entra a palazzo di Città come lui aveva sempre sognato di fare: molte bandiere rosse ed uno stuolo di sciocche marionette. La gente ha finalmente quello che da tempo desiderava, tutto il resto è veramente secondario: le intemperanze, la scontrosità, la durezza e la poca democrazia del nuovo sindaco, ma anche l’assoluzione molto tardiva di tutti gli arrestati di quella tragica giornata del 31 maggio 1993, una data storica per una svolta altrettanto storica per i destini della Città.
L‘arresto
(da “Salerno Socialista” di Vincenzo Giordano)
Il 31 maggio 1993 era un lunedì. Una splendida giornata di primavera. Un amico –mostrando stima e comprensione- mi aveva fatto intendere che avrei potuto aspettarmi un mandato di arresto. Io, essendo in pace con la coscienza, ero incredulo e dubitavo della veridicità della notizia.
Al mattino trasmisi l’informazione che mi era stata data all’avv. Lorenzo de Bello pregandolo di effettuare qualche accertamento e mi disinteressai della questione. Partecipai ad una riunione al Partito ed essendosi fatto tardi andai a pranzo al Fusto d’Oro con alcuni compagni per continuare a discutere la vicenda politica cittadina. Nel primo pomeriggio mi recai alla Banca Popolare.
Tornato a casa giocai, come era consuetudine quando avevo un po’ di tempo libero, a tressette con alcuni amici nel giardino condominiale.
Intorno alle 21 mi raggiunsero degli amici.
Dopo i soliti convenevoli qualcuno, non ricordo chi, esclamò: “Non possiamo tacere, siamo venuti per dire al sindaco che lo arresteranno”. Aveva appena finito di parlare che un signore in borghese entrò nel parco, mi individuò e mi invitò a seguirlo in questura.
Io con l’ingenuità che mi distingue (mia moglie dice che sono fesso) non chiesi al poliziotto l’esibizione del mandato. Lo stesso, infatti, mi fu consegnato successivamente in un posto di polizia adiacente alla scuola Vicinanza dove fui condotto … Non so perché mi fecero sostare al Commissariato di polizia un paio d’ore. Alla fine, credo che eravamo vicini alla mezzanotte, due agenti indossarono un giubbotto con la scritta “polizia”, mi misero in mezzo e ci incamminammo verso un auto. Fui abbagliato dai flash dei fotografi. Mi meravigliai moltissimo fra me e me del fatto, chiedendomi come mai i giornalisti erano già informati. A sirene spiegate con una corsa a rotta di collo fui portato al carcere.
Mi misero in una cella singola dove rimasi in isolamento rifiutando di mangiare, perché avevo deciso lo sciopero della fame che praticai per due settimane e mezzo. La solidarietà dei detenuti fu immediata. Quando transitavano per il corridoio e non era presente la guardia aprivano l’oblò e mi donavano una bottiglia di tè per ristorarmi.
Dopo tre giorni il Giudice per le indagini preliminari, che aveva firmatoo l’ordinanza di custodia cautelare, mi interrogò. Per quattro o cinque ore risposi alle sue domande. Alla fine ero molto sollevato. Gli avvocati si complimentarono per la chiarezza delle risposte. Io ero convinto che il giudice non solo valuta i fatti ma percepisce se uno dice la verità o mente. Sperai quindi in una sollecita liberazione.
Illusione !! Fui dimenticato in carcere per 53 giorni senza mai più essere ascoltato. Il Gip respingeva sistematicamente le richieste di scarcerazione presentate dagli avvocati.
Ho raccontato questo episodio attribuendogli il valore di testimonianza e monito: testimonianza della superficialità con cui tanti “poveri cristi”, molti dei quali poi riconosciuti innocenti, vengono sbattuti in galera; monito per il potere politico e per chi ha sfruttato l’azione dei magistrati per spazzare via gli avversari. La corporazione giudiziaria, con chiare e incisive riforme, va ricondotta nel suo alveo. Chi ha paura di operare in tal senso sappia che non serve i veri interessi della democrazia e che prima o poi si troverà i giudici contro.
Il Giornale di Napoli – 2 giugno 1993: <<Un giornalista intervista Vincenzo de Luca seduto alla scrivania dove, fino a un mese prima, sedeva il sindaco Vincenzo Giordano. Appare tranquillo nebtre risponde al telefono, “”IL nostro interesse è che da oggi tutto sia il più trasparente possibile. Questa indagine deve andare fino in fondo. Ho fiducia che gli indagati possano dimostrare la propria innocenza. L’opera dei magistrati ha il nostro pieno consenso””>>.
Il Mattino – 5 giugno 1993: <<Lavori fermi al trincerone. Finora è costato 25 miliardi … Oggi la Cogefar è una delle imprese-simbolo del fiume di tangenti corso fra imprenditori e politici. Il Trincerone viene presentato come la strada cerniera tra il centro-storico e la tangenziale, l’arteria destinata a cancellare i serpentoni di traffico e ad aprire parcheggi nel centro cittadino. Oggi è il Trincerone dei veleni, il mostro di cui molti chiedono la testa. Il primo appalto è da 25 miliardi, ma sia gli amministratori che i costruttori non nascondono di puntare più in alto, a quei 50 miliardi del secondo lotto. Oggi il secondo lotto è una chimera, e quel patto ha portato all’affidamento dell’opera in convenzione (cioè senza gara di appalto, come per gli altri interventi del pacchetto da 140 miliardi) ed è stato messo sotto accusa dai giudici>>.
Roma – 10 giugno 1993: <<E ora Giordano denuncia il giudice Michelangelo Russo>>.
Il Giornale di Napoli – 12 giugno 1993: <<Tra i giudici ormai è guerra: l’ombra del CSM sul caso Russo>>.
Roma – 2 giugno 1993: <<Trincerone, un dono alla Cogefar … il colosso dell’edilizia italiana poi passato alla Fiat>>.
Il Mattino – 2 giugno 1993: <<La giunta 87-90 è sprofondata nel Trincerone>>.
Il Giornale di Napoli – 2 giugno 1993: <<Salerno, peggio del terremoto, anche Nobili tra i 19 inquisiti per gli appalti … L’inchiesta –questo sembra di capire- è tutt’altro che esaurita con il blitz dell’altro ieri e l’invio di diciannove informazioni di garanzia. Tutte le persone arrestate sono in isolamento, in attesa del primo colloquio con il Pm Michelangelo Russo e il giudice per le indagini preliminari Vittorio Perillo, che ha firmato i provvedimenti restrittivi richiesti dal sostituto procuratore del pool “Mani pulite”>>.
Roma – 19 giugno 1993: <<”Mi vergogno della mia onestà”>>
Testo della lettera indirizzata da Vincenzo Giordano ai giudici del Tribunale della Libertà tratta da “La grande muraglia”: <<Signor Presidente, sono assente dall’udienza non per mancanza di rispetto a lei e agli altri membri della Corte, ma perché, sgomento per quanto accadutomi, debilitato per lo sciopero della fame, ho preferito evitare il disagio della traduzione e il clamore della pubblicità. Prima della costituzione della commissione di valutazione dei progetti relativi alle grandi opere dichiarai che gli amministratori dovevano interferire il meno possibile e che io mi sarei sempre adeguato alle valutazioni tecniche specie se unanimi. …. Signor Presidente, esprimo, da cittadino onesto, plauso per il lavoro dei magistrati che hanno scoperchiato la pentola della corruzione che si è diffusa come una metastasi. Un ruolo importante, forse determinante per il cambiamento, che spero si concretizzi al più presto, quello svolto dai Magistrati. Bisogna però avere la sensibilità di non fare di ogni erba un fascio. Se così fosse un cittadino come me che vive esclusivamente con uno stipendio che oggi sfiora i 2 milioni, dovrebbe pentirsi di essersi comportato onestamente. Scusandomi per l’ardire porgo a Lei ed alla Corte deferenti ossequi. F.to: Vincenzo Giordano>>.
NOTA: Credo che riproporre questo racconto sia il modo migliore per ricordare quei momenti drammatici della tangentopoli salernitana e, soprattutto, la figura di un galantuomo qual era Vincenzo Giordano.