SALERNO – Sono davvero molto rare le occasioni che questo mestiere, considerato il più bello del mondo, ti da per far luce sulla realtà che molto spesso si annida nelle pieghe del tempo e di frequente viene dimenticata. Ebbene in questi giorni ho constatato, con piacevole sorpresa, che davvero questo mestiere è il più bello del mondo; senza di esso non avrei mai avuto la possibilità di dialogare (anche se solo attraverso il web) con una mia vecchia -solo per il tempo trascorso- compagna delle scuole elementari di Muro Lucano in provincia di Potenza. Correva l’anno 1951 (almeno credo) quando tutti noi ragazzini di quel tempo incominciammo il nostro percorso scolastico nella scuola sita in una località nei pressi del centro storico (Le Monache ?); un edificio che il terremoto del 1980 ha spazzato via senza pietà. Tanti i ricordi di quel “primo giorno di scuola”, su tutti il maestro che nella vita era mio zio Antonio e che in classe pretendeva da me, e soprattutto da me, il massimo dell’attenzione e dell’educazione; credo che per molti scolari mio zio sia stato innanzitutto un “maestro di vita”. Quell’anno c’erano due casi clamorosi di zii e nipoti chiamati ad insegnare e ad imparare in quella scuola elementare; per la precisione l’altro caso riguardava una maestra e suo nipote che al contrario di me poteva scorazzare liberamente per i corridoi dell’istituto; probabilmente un tipo di educazione diversa che con mio zio (in classe lo chiamavo signor maestro) e con il suo enorme carisma non aveva nulla a che fare. Ho amato e odiato in vita quell’uomo che è stato prima mio zio e poi il mio maestro di vita; da quando non c’è più lo amo soltanto e mi rivedo e riconosco in lui in ogni istante della mia vita. Chiedo scusa agli amici lettori per queste digressioni familistiche e personali; è stato necessario per inquadrare meglio il problema di cui al titolo di questo approfondimento: “Il male oscuro dei lucani”, un argomento che apre la discussione (almeno spero) sulla originalità della lucanità e sulle sue diverse forme espressive e figurative. Prima di andare avanti, però, dimenticavo di precisare un particolare molto importante; in quella prima classe delle elementari e in quel primo giorno di scuola c’era anche la presenza di una bambina, piuttosto gracile, biondina, riservata al punto giusto e sicuramente molto brava nell’apprendimento; il suo nome era, ed è, Enza Melucci, murese doc proprio come me. E’ stata lei qualche giorno fa a postare un commento su questo giornale in coda all’articolo da me dedicato al governatore della Campania Vincenzo De Luca e per esso alla lucanità in genere: “Gentile Aldo, mi dispiace contraddirti ma solo un po’. Sono lucana di Muro Lucano come te (sono una tua ex compagna di scuola delle elementari) e conosco i modi bruschi che caratterizzano molti di noi. Essi sono dovuti alla difficoltà comunicativa che è propria della cultura contadina. Inoltre se chi , da questa proveniente, arriva al potere. si trincera, si arrocca, si difende per non confrontarsi. Il confronto implica spigliatezza verbale e mentale. Capacità di dire dire ‘ho sbagliato’ , ‘hai ragione’. La chiusura contadina spesso non lo consente”. Inutile dire che quando dalla redazione mi hanno segnalato il commento sono stato preso dall’emozione, e non poco, dei ricordi; ritrovare, almeno sulle onde magnetiche del web, una compagna di scuola che non vedo da almeno sessant’anni non è cosa che può capitare tutti i giorni. Di quegli anni scolastici mi è rimasto un solo amico sincero, cordiale e sempre disponibile di nome Vito Claps (dirigente scolastico e scrittore) con il quale riesco ancora a vedermi ed a confrontarmi nell’ottica di uno spirito lucano mai dimenticato; senza trascurare l’ottimo Antonio Mennonna, nipote del più longevo vescovo della storia della Chiesa, mons. Antonio Rosario Mennonna. Io, Enza, Vito, Antonio siamo stati tutti alunni di quello che per me è stato un vero maestro, come quelli di un tempo che fu e che oggi stanno sbiadendo anche nel ricordo, purtroppo. Ma anche lì in quell’oasi di apparente tranquillità e felicità si annidava un mostro; ebbi modo di conoscerlo durante il corso di preparazione per l’esame di ammissione alla scuola media (allora esisteva anche un esame di ammissione oltre che gli esami della seconda e della quinta elementare). Ma quella del mostro è una storia davvero inquietante che anche il quotidiano La Lucania si guardò bene dal pubblicare e che mi riprometto di renderla di pubblico dominio attraverso le pagine di questo giornale. Ma torniamo alla lucanità che è l’argomento che più mi interessa in questo discorso. Senza scomodare Orazio o Sinisgalli, lucani vissuti in due epoche molto diverse (il primo al tempo dei Cesari e il secondo quasi contemporaneo) che hanno fatto della lucanità la loro bandiera senza eccessi, senza modi bruschi e senza alcuna difficoltà comunicativa ma privilegiando il confronto attraverso la spigliatezza verbale e mentale senza mai provare vergogna nel dire “ho sbagliato” oppure “hai ragione”. Entrambi venivano da una cultura profondamente contadina ma hanno amato il dialogo e il confronto. E’ vero che esiste il detto “Dove c’e’ troppa luce il lucano si eclissa, dove c’e’ troppo rumore il lucano s’infratta” ma è altrettanto vero che il lucano, pur timoroso della luce e del rumore, si pone sempre con grande umiltà e con elevato spirito di rispetto del ruolo degli altri. E’ vero che la cultura contadina (come dice Enza), da cui discende il popolo lucano, a volte non consente di pronunciare le fatidiche parole sugli sbagli e sulle ragioni, ma è altrettanto e sicuramente vero che proprio la cultura contadina non consente né arroganza e né supponenza e, soprattutto, non finalizza la sua azione per la conquista del potere ad uso e consumo di interessi squisitamente personali. In tutto il mondo ci sono lucani e la stragrande maggioranza di essi cerca di non essere mai esibizionista, insomma il lucano ama vivere discretamente nell’ombra anche se difficilmente è disponibile ad una sottomissione passiva tout court. Spero che il commento di Enza Melucci e il presente approfondimento riescano ad avviare un sereno e sano dibattito sulla lucanità; un dibattito che dovrà volare sempre alto rispetto alle singole posizioni di pensiero e di colore. Ne abbiamo bisogno, soprattutto a Salerno dove vige la lucanità più controversa di sempre e dove la lucanità viene surrettiziamente scambiata maldestramente per “autentica salernitanità” per accaparrarsi squallidi consensi elettorali. A Salerno esiste da tempo l’Associazione Lucana “G. Fortunato” che edita addirittura un bimestrale di cultura e notizie “Il Basilisco”; invito esplicitamente l’ottimo presidente Rocco Risolia ad inserire un nuovo dibattito sulla lucanità nel già corposo e interessante organigramma delle varie manifestazioni. Per chiudere mi piace ricordare che mio zio, il maestro, diceva spesso che il lucano ama o odia; a me è capitato sia di amare che di odiare senza mai alcun preconcetto; è questa, forse, la miglior qualità dei lucani o basilischi che dir si voglia.