SALERNO – Cosa emerge dalla Dichiarazione dei leader dei 27 Stati membri riunitisi a Roma per rievocare, a 60 anni esatti di distanza, lo spirito dei due Trattati di Roma istitutivi della CEE e della CEEA (o Euratom) tra Francia, Germania Ovest, Italia, Paesi Bassi e Lussemburgo?
Innanzitutto, l’“orgoglio dei risultati raggiunti”. Da quest’immediata e lapidaria dichiarazione di apertura del Documento, a fronte delle critiche ricorrenti, non solo è confermata ma esce rafforzata la costruzione del progetto originario di Unione Europea, in ordine quindi all’edificazione e al completamento di “una grande potenza economica che può vantare livelli senza pari di protezione sociale e welfare”.
Dopo l’elenco delle difficoltà storiche presenti – “conflitti regionali, terrorismo, pressioni migratorie crescenti, protezionismo e disuguaglianze sociali ed economiche” -, il Documento sottolinea la “necessità” di un impegno comune “a ritmi e con intensità diversi” e “in linea con i trattati”.
In sequenza immediata ed esplicativa, la “necessità” deriva dal fatto che tutti gli Stati firmatari riconoscono che “agendo singolarmente saremmo tagliati fuori dalle dinamiche mondiali”. A tale proposito, l’esperienza della Grecia insegna.
Senz’altro complessa appare invece la strategia di azione propositiva racchiusa sinteticamente in 4 punti: 1. Un’Europa sicura 2. Un’Europa prospera e sostenibile 3. Un’Europa sociale 4. Un’Europa più forte sulla scena mondiale. E dunque, a tale proposito, proviamo a fare chiarezza.
Innanzitutto, nella Dichiarazione comune sono riportati significativamente il principio e il metodo da adottare, ovvero il “rispetto del principio di sussidiarietà”, operando in modo “che l’Unione sia grande sulle grandi questioni e piccola sulle piccole” e, come evidenziato, “lavorando insieme nell’ambito del Consiglio europeo e tra le istituzioni”.
Tale sottolineatura finale di nuovo conferma e rafforza anche la strategia operativa che fa leva, per l’appunto “in linea con i trattati”, sul Consiglio Europeo – organo d’indirizzo politico dell’UE, formato dai Capi di stato e di governo dei Paesi membri, dal Presidente dell’organo stesso e dal presidente della Commissione – i cui poteri erano già stati ampliati con l’entrata in vigore (2009) del Trattato di Lisbona.
In definitiva, si tratta evidentemente di proseguire, sulla via già tracciata, in merito alle nuove sfide, e in particolare agire al fine di:
1. garantire la libera circolazione dei cittadini all’interno dei confini ma nel contempo che “le frontiere esterne siano protette, con una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, nel rispetto delle norme internazionali”;
2. adoperarsi “per il completamento dell’Unione economica e monetaria” e in prospettiva creare “opportunità di crescita, coesione, competitività, innovazione e scambio, in particolare per le piccole e medie imprese”;
3. favorire “il progresso economico” insieme al “progresso sociale”, tenendo conto “della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo fondamentale delle parti sociali”.
E infine, ma non ultimo, il punto 4: Un’Europa più forte sulla scena mondiale che “promuova la stabilità e la prosperità nel suo immediato vicinato a est e a sud, ma anche in Medio oriente e in tutta l’Africa e nel mondo” (…), “in cooperazione e complementarità con l’Organizzazione del trattato del Nord Atlantico” (…), “attiva in seno alle Nazioni Unite (in difesa di) un sistema multilaterale”. Il che, tradotto, significa avanti con il metodo del G-20, ovvero il forum dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali dei paesi maggiormente industrializzati, nato nel 1999 a fronte di ripetute crisi finanziarie internazionali.
Forza Europa!