Aldo Bianchini
SALERNO – Quasi in punta di piedi mi accingo a scrivere sull’inchiesta giudiziaria che passerà alla storia sotto la denominazione di “CON.S.I.P.” (acronimo di “Concessionaria Servizi Informativi Pubblici“), costituita nel 1997 (1° governo Prodi) per gestire i servizi informatici dell’allora Ministero del Tesoro, presto diventata la vera e propria centrale acquisti della pubblica amministrazione italiana. Lo faccio perché al centro dell’inchiesta si è seduto sulla poltrona, come quella gestatoria, il prof. avv. Alessandro Diddi che ho avuto modo di vedere all’opera a Nocera ed a Salerno. Lo faccio anche perché la vicenda è, per certi versi, talmente grande e lontana dal nostro vissuto quotidiano di provincia, e per latri versi è così vicina e simile alle tante vicende locali che passano sotto la lente d’ingrandimento di noi cronisti. Dunque la Consip è un enorme scatolone nazionale in cui inserire tutte le gare per gli acquisti della p.a., cioè le famose o famigerate “forniture”; uno scatolone finalizzato all’ottimizzazione del risparmio in cui molto raramente la magistratura ci ha messo lo zampino anche perché gli effetti del suo eventuale scoppio potrebbero essere così devastanti da poterli paragonare ad una bomba atomica, come giustamente ha detto Grillo in questi giorni. Per essere più esplicito e per far meglio capire il mio ragionamento è sufficiente ricordare l’affermazione del magistrato Pier Camillo Davigo (oggi presidente dell’A.N.M.) quando nel 1994 con quel “Rivolteremo l’Italia come un calzino” voleva fare pulizia con l’aiuto del Pool Mani Pulite di Milano; ebbene se avesse messo le mani dentro le forniture della p.a. (anche se allora non c’era la Consip) avrebbe, forse, potuto mantenere fede alle sue promesse. Sarà l’inchiesta Consip ad avviare quella pulizia etico-comportamentale che tutti aspettiamo ? Non sono in grado di dirlo, probabilmente si. L’inchiesta è nata a Napoli ad opera dei pm Henry John Woodcock e Celeste Carrano della DDA partenopea; l’antimafia perché alcuni dipendenti della ditte di pulizie facenti capo ad Alfredo Romeo sembrano in collegamento con i clan camorristici campani. I principali capi di accusa sono “corruzione”, “rivelazione di informazioni riservate”, e “traffico di influenze”; eccellenti alcuni dei principali indagati, tra i quali: Alfredo Romeo (multimilionario imprenditore napoletano che ritorna nel cerchio diabolico della cronaca giudiziaria dopo alcuni anni), Luca Lotti (ministro dello sport in carica e stretto amico di Matteo Renzi), Tiziano Renzi (padre di Matteo Renzi), Tullio Del Sette (generale, comandante nazionale dei carabinieri), Emanuele Saltalamacchia (generale, comandate carabinieri Toscana), e Marco Gasparri (dirigente Consip e responsabile del settore acquisti). Per gli inquirenti l’immobiliarista campano Romeo, che è stato arrestato, pagava il manager pubblico Marco Gasparri, definito “prototipatore” perché in cambio di soldi dava informazioni privilegiate su come superare i bandi di gara. Perquisiti Italo Bocchino (il “facilitatore“) e Carlo Russo, imprenditore toscano amico di Tiziano Renzi e indagato col padre dell’ex premier per concorso in traffico di influenze. Questo in estrema sintesi il quadro della inquietante vicenda giudiziaria che è stata trasferita alla Procura di Roma per competenza territoriale, rimanendo anche nella titolarità dei due pm napoletani. In questo quadro si inserisce, a mio avviso, il capolavoro investigativo-difensivo dell’ottimo prof. avv. Alessandro Diddi; un nome che mi ha indotto a questo approfondimento in quanto, come dicevo, ho visto all’opera il docente romano quale difensore di Alberico Gambino, con l’avv. Giovanni Annunziata, nel famoso processo “Linea d’Ombra” che dopo il primo e secondo grado sta per approdare in Cassazione. Durante quei due processi ho spesso osservato l’atteggiamento, le mosse, gli sguardi del prof. Diddi, soprattutto quando partiva dal suo banco e camminando lentamente si avvicinava al banco del presidente della corte tenendo tutti con il fiato sospeso prima di affondare la domanda nel corpo del processo. Il docente capitolino si è inserito nel “caso Consip” avendo assunto, qualche tempo prima dello scoppio dell’inchiesta, la difesa di Marco Gasparri, il famoso “prototipatore” della Consip. E’ a questo punto che il prof. Diddi mette a segno il suo capolavoro difensivo arrivando a “far intercettare il crimine commesso dal suo assistito prima che venisse scoperto dagli inquirenti”. Sembra facile, detto così; per un difensore la realtà è molto diversa; per fare quello che ha fatto Diddi bisogna essere capaci di muoversi in anticipo sulle mosse degli inquirenti ben conoscendo tutti i rischi ai quali comunque espone il suo cliente. In pratica il prof. Diddi è stato capace di “gestire con largo anticipo il reato” per consentire a Gasparri di collaborare con la giustizia al fine di evitare qualsiasi forma di arresto per il venir meno delle esigenze cautelari e perché il manager non ha più ruoli operativi nella Consip, dai quali Diddi lo ha fatto opportunamente dimettere. Insomma un vero e proprio capolavoro che, badate bene amici lettori, non è maturato con la semplice presentazione in Procura del suo cliente; Diddi è arrivato in Procura non solo per depositare le confessioni del suo assistito, ma anche con l’aggiunta di un bagaglio di informazioni utili a salvaguardare la segretezza dell’inchiesta, segretezza minacciata da più parti. In pratica il prof. Diddi è riuscito a presentare quella di Gasparri non come una collaborazione passiva tout-court per evitare gli arresti, piuttosto come una collaborazione attiva avendo portato agli inquirenti la notizia inquietante della scoperta di “intercettazioni ambientali e telefoniche” che, probabilmente, già altri conoscevano all’interno della Consip. Il prof. Alessandro Diddi “avrebbe” sorpreso due–tre carabinieri sul tetto del palazzo dove ha sede il suo ufficio legale intenti a sistemare apparecchiature di spionaggio rivolte verso il palazzaccio della predetta Consip. Dunque Diddi è andato in Procura non soltanto per chiedere un trattamento meno afflittivo per il suo cliente ma per offrire la più corposa scoperta di un’inchiesta nell’inchiesta che rischiava di far saltare tutto per aria per colpa di due “imberbi carabinieri” che si erano lasciati beccare sul tetto di un palazzo, come se non avessero saputo che in quel palazzo c’era lo studio di Diddi che difende Gasparri. La Procura subito si chiude su se stessa e ritira l’incarico al NOE affidandolo ad altri militari dell’arma perché la “fuga di notizie” si è fatta evidente, incresciosa e scandalosa. In buona sostanza il professore Diddi ha messo in piedi una sottilissima azione in favore del suo cliente che passa attraverso delicatissime indagini difensive a tutto campo nell’ottica e nello spirito del nuovo codice di procedura penale (che ormai risale al 1989); cosa questa che pochissimi avvocati riescono a fare in maniera concreta ed esaustiva in quanto si limitano spesso a sterili dichiarazioni scritte e/o video registrate che gli investigatori non degnano di alcuna attenzione. A mio modesto avviso nella fattispecie c’entra poco “la casualità” dichiarata da Diddi ai microfoni di “Bersaglio Mobile” di Enrico Mentana su La/7; c’entra, invece, la grande capacità investigativa che nasce dalla professionalità con cui si raccolgono le confessioni del proprio assistito. Insomma, per dirla tutta, il professore Alessandro Diddi ha dispiegato, dinanzi all’intero Paese, una organizzazione decisamente all’americana, degna dei telefilm di Perry Mason (creati dallo scrittore statunitense Erle Stanley Gardner) in cui Diddi recita la parte di Mason lasciando a Gasparri quella del fedele Paul Drake che arriva sempre all’ultimo minuto con la pistola fumante. E dato che siamo entrati nel clima americano è il caso di aggiungere che l’attività svolta da Diddi per questo caso è stata svolta, credo, sull’onda di una pratica (quasi filosofica !!) di molti giuristi statunitensi, in base alla quale si ipotizza il “sistema del pre crimine”, ovvero quella capacità di anticipare il crimine e/o la scoperta di esso per arrecare vantaggio non solo all’indagato ma anche agli inquirenti ed alla società. Insomma, prevenire il crimine entrando in anticipo nel crimine; proprio come ipotizzato nel famoso film del 2002 “Minority Report” (diretto da Steven Spielberg e interpretato da Tom Cruise) che portava sul grande schermo quella che è una specie di pensiero alquanto consolidato negli USA, cioè quello di prevenire per scongiurare il crimine prima ancora che esso venga commesso. Un metodo destinato, forse, a sconvolgere e ribaltare i canoni classici della difesa ancora troppo incardinata nel pubblico dibattimento dove spesso si arriva con un notevole svantaggio della difesa rispetto alla pubblica accusa. Questo, tutto questo è stato capace di fare il professore Alessandro Diddi; un caso-scuola che andrebbe analizzato e diffuso. Non entro nel merito dell’inchiesta, che appare lunga e complessa, perché non ho conoscenza diretta delle carte. Azzardo, però, soltanto un’ipotesi; l’avvocato Giovanni Battista Vignola, difensore di Romeo, in difesa del suo cliente avrebbe dichiarato: “Corruttore ? No è stata fregato, pagava Gasparri per avere consulenze sulle gare”. A mio avviso avrebbe fatto meglio a tacere seguendo la linea del suo cliente, perché se Romeo è stato fregato potrebbe voler dire che esiste davvero un sistema e che un imprenditore quando non riesce a sfruttarlo si arrabbia e spara a zero contro tutti gli altri. Veramente inquietante. Ma di questo avrò tempo e modo di parlarne.