Aldo Bianchini
SALERNO – Chi da sempre ha sostenuto che la magica notte degli Oscar del cinema non avesse nessun crisma di umanità, ma fosse soltanto un mega spettacolo perfettamente organizzato dal punto di vista tecnologico, è stato servito, per sempre. Anche questa è una delle facce dell’America signori, prendere o lasciare. Certo che lasciare nelle mani di due anziani abbastanza “passati di cottura”, Warren Beatty e Faye Dunaway, anche se sono stati due mostri sacri del cinema americano e mondiale, è stato un rischio pesante che qualcuno doveva calcolare in precedenza; a meno di credere che il rischio sia stato calcolato e che il tutto sia riuscito al meglio. Ma non è così, quello che è andato in scena sul palco del Dolby Theater di Los Angeles (che io personalmente ho avuto il piacere di ammirare quando, nel mese di agosto di qualche anno fa, la cerimonia delle statuette era già stata messa in archivio da qualche mese) non è stato uno scherzo ma un errore storico imperdonabile per una cerimonia fantasmagorica ed ipertecnologica. Quell’anno, esattamente il 22 febbraio 2009, aveva vinto The Millionaire (Slumdog Millionaire), regia di Danny Boyle; e il miglior attore protagonista era stato Sean Penn con Milk, e la migliore attrice protagonista Kate Winslet con il famoso The Reader – A voce alta. Erano altri tempi, sicuramente si, e il tempo cancella ricordi e certezze. Ma cosa è accaduto sul Dolby Theater di Los Angeles ?
Va detto innanzitutto che le lettere intestate ai premiandi delle varie categorie hanno colori diversi, tranne – guarda caso – quelle per l’annuncio della “miglior attrice protagonista” e per il “miglior film”: entrambe rosse. E proprio da qui, allora, è nato l’errore: dopo la consegna dell’Oscar per l’interpretazione femminile, andato a Emma Stone per La la land, Warren Beatty e Faye Dunaway sono saliti sul palco per premiare la pellicola migliore, e da dietro le quinte qualcuno si è sbagliato, consegnando ai due attori in veste di presentatori, la stessa busta del premio appena assegnato: quello, appunto, a Emma Stone. I due attori che hanno dato l’annuncio, poi, ci hanno messo del loro: e invece di chiedere contezza dell’errore, hanno pensato bene di sanzionarlo provando a interpretare: si parla di un premio di La La Land –si devono essere detti i due– vorrà dire che anche quello per il miglior film sarà andato allo stesso titolo, no? E invece no: di qui l’equivoco, l’intoppo, le scuse della società incaricata della consegna delle buste agli Oscar e l’apertura di un’inchiesta sull’accaduto. Perché l’inchiesta, in questi casi, è d’obbligo.
L’inchiesta, in questi casi, è d’obbligo perché oltre all’errore materiale o alla recita della sceneggiata c’è anche un’altra versione dei fatti che comincia a prendere quota proprio con l’avvio dell’inchiesta.
C’è difatti una linea di pensiero che vorrebbe accreditare una versione dei fatti completamente diversa e, per certi versi, esplosiva. Dietro le quinte di uno dei palchi più famosi del mondo quella sera c’era grande agitazione per via delle promesse contestazioni in danno del neo presidente USA Donald Trump; alcuni organizzatori cercavano di indurre gli ospiti alla moderazione, altri incitavano alla contestazione. Questo bailamme generale avrebbe mandato in tilt la storica flemma delle due persone che curano la raccolta e la diffusione dei voti: Martha Ruiz e Brian Cullinan della PriceWaterhouseCoopers (PwC). Insomma le uniche due persone al mondo a sapere i risultati in anticipo dei 6.300 giurati avrebbero dato numeri sbagliati ed invertito le buste perché dietro le quinte era in corso una battaglia tra trumpiani e e obamiani. Da quì lo scambio di buste e la gigantesca gaffe di fronte a tutto il mondo.
Infine c’è anche che vorrebbe, in maniera poco credibile, che lo scambio delle buste sia stato determinato da un click fotografico; una scusa davvero ingenua.