Aldo Bianchini
SALERNO – Il “sistema giustizia” nel nostro Paese è complesso, molto complesso; tanto da far apparire tutte le decisioni dei giudici l’una contrapposta all’altra e/o completamente diverse in uno strano gioco al rimpiattino. Da qui si ingenerano, spesso, molti dubbi sulla capacità dei giudici di esprimere il loro giudizi in maniera non omogenea ovvero non perfettamente leggibili sotto il profilo della logica. In pratica non c’è certezza del diritto e, men che meno, certezza della pena. Se a tutto ciò si aggiunge la farraginosità del sistema giuridico soprattutto quando si parla di infortuni e/o di incidenti particolari come quello accaduto alla malcapitata Francesca Bilotti che perse la vita il 24 novembre 2014 nel terminal bus dell’Università di Fisciano. Per capire meglio tutta la vicenda vi rimando alla lettura dei diversi articoli scritti su questo giornale e tuttora presenti nel suo archivio; è bene, però, riportare quanto ho scritto nel febbraio del 2015: “”Quando si parla di infortuni e/o di incidenti verificatisi all’interno di spazi strutturali inerenti gli ambienti di lavoro, la scuola o qualsiasi luogo di aggregazione sociale e lavorativa c’è sempre da tenere presente un principio basilare e cioè che per qualsiasi infortunio e in qualsiasi infortunio, ovvero per il suo determinismo, esiste una componente essenziale che si chiama “distrazione” che va ben oltre la responsabilità oggettiva e soggettiva; senza di essa il numero e la gravità degli infortuni si abbatterebbe almeno del 60/70 %. Ovviamente va subito detto che la cosiddetta distrazione discende prevalentemente dall’assuefazione, dall’abitudine a ripetere per giorni, settimane, mesi e anni le stesse operazioni. Una volta si diceva che la catena di montaggio della grandi fabbriche era la più prolifica produttrice di un altissimo numero di infortuni; oggi il concetto è tramontato e si è esteso ed è passato anche ad altre operazioni lavorative intendendo come lavoro ogni azione compiuta dall’uomo: guidare un pullman, andare a scuola, muoversi in un cantiere, operare in fabbrica, camminare per strada, ecc. ecc.; la ripetizione quasi mnemonica delle operazioni porta gradualmente all’assuefazione ed alla distrazione. Non a caso gli infortuni seriali ed anche di una certa gravità accadono in una fascia di età compresa tra i quaranta e cinquant’anni, cioè quando la sicurezza nell’esecuzione dell’operazione è talmente elevata da sfociare facilmente nella distrazione. In età giovanissima gli infortuni sono, ovviamente, più rari ma quando accadono producono effetti disastrosi””. E’ necessario ricordare a tutti che l’autista del bus che aveva investito la studentessa, Pietro Bottiglieri, era stato condannato in primo grado ad una pena di sette anni (pena ridotta a quattro e otto mesi per effetto del rito abbreviato per omicidio colposo. Nei precedenti articoli ho sempre presentato un quadro diverso da quello che la pubblica accusa ha sostenuto nel primo, ed anche in parte nel secondo grado di giudizio, in merito alle concause ed alle corresponsabilità dei due soggetti, il colpevole e la vittima, ma anche a carico di chi era ed è preposto alla sicurezza complessiva dell’Ateneo. La sentenza a quattro anni e otto mesi di carcere per Bilotti appariva forse salomonica ma anche un po’ penalizzante per l’autista (e non rinunciai a metterlo in evidenza) in quanto ci fu anche la sospensione della patente di guida per quattro anni, e per un autista di professione sappiamo cosa vuol dire. Ma ha ucciso una ragazza, potrebbe dire qualcuno; giusto, ma ci sono tante riflessioni da fare prima di mettere al bando l’esperto autista. Forse sul capo di Bottiglieri aveva pesato molto un precedente incidente mortale di qualche anno prima; ma sarebbe stato più giusto e doveroso non farsi influenzare (semmai influenza ci sia stata) da un fatto assolutamente superato tanto è vero che nel novembre 2014 l’autista era in possesso della sua patente ed era perfettamente abile all’espletamento di un lavoro così delicato; altrimenti bisognerebbe richiamare alle loro responsabilità chi gli aveva ridato la patente e chi lo a giudicato abile nelle visite mediche periodiche che questa tipologia di lavoro prevede. Difatti l’unico errore dell’autista è riscontrabile soltanto nel fatto di essere ripartito senza avere a sua disposizione, causa gli studenti in piedi, la visuale sul lato destro del bus. Proprio in quei secondi la ragazza, prevedibilmente affannata e distratta, cercava di passare tra il bus e la strettoia della piattaforma; pochi secondi che determinavano il gravissimo incidente con conseguenze nefaste. Francesca difatti non era ferma al terminal quando è stata investita, come impropriamente scrissero alcuni giornali, ma era in movimento anch’essa, proprio come il bus, lentamente ma inesorabilmente. C’è da aggiungere che il servizio studenti per l’università è ritenuto dagli autisti delle agenzie di trasporto un compito molto pericoloso per via dell’irrequietezza degli studenti che scalpitano per salire e per scendere. In quei minuti, prima che il bus si fermasse per scaricare i ragazzi, l’autista aveva presumibilmente la visibilità sulla sua destra occupata dalla presenza dei ragazzi in piedi; avrebbe dovuto fermare il bus e chiedere agli studenti di sedersi prima di aprire le porte. Immaginate cosa sarebbe successo. Ma questo è probabilmente il suo errore materiale. Tanto è vero che la Corte di Appello di Salerno (presidente Francesco Verdoliva) ha accolto le tesi del procuratore generale Renato Martuscelli ed ha ridotto la pena già inflitta al Bottiglieri a tre anni di reclusione (ridotti a due sempre per effetto della scelta del rito abbreviato iniziale) a conclusione della camera di consiglio del 10 gennaio 2017. Questi i fatti e questo l’esito dell’appello; ora si aspettano le motivazioni e poi, verosimilmente, il giudizio finale della Cassazione. Rimangono sul tappeto i tantissimi dubbi che avevo espresso nei miei precedenti articoli in materia di sicurezza all’interno del campus, soprattutto per quanto riguarda il terminal bus. Dubbi che ho naturalmente comunicato anche agli Organi inquirenti e dei quali non ho più ravvisato tracce; i dubbi riguardavano e riguardano, appunto, la sicurezza del terminal (dove era accaduto un incidente analogo qualche anno prima) anche ai fini della protezione personale delle migliaia di studenti-utenti. Tanto è vero che dopo quell’incidente mortale il terminal-bus è stato ampiamente ridisegnato e ristrutturato. E le eventuali responsabilità di chi poteva intervenire e non lo ha fatto ? Risposte che tarderanno, ovviamente, ad arrivare.
direttore: Aldo Bianchini