SALERNO – Poteva offrire il suo contributo, per chiarire l’intricata matassa dei presunti rapporti tra camorra e politica a Scafati, ma non l’ha fatto. Peccato, un vero peccato che allontana ancora di più la politica e la sua credibilità dall’immaginario collettivo della gente comune. Martedì mattina, 6 dicembre 2016, si è seduta dinanzi agli inquirenti della DDA di Salerno (guidati dal pm Vincenzo Montemurro) ma al di là delle famose sette parole “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere” (come ha scritto Il Mattino) fa scena muta. Peccato, un vero peccato che infastidisce tutti quelli che vedono nelle istituzioni un momento di sublimazione della legalità. E lei, Monica Paolino, è tuttora, e per certi versi, una rappresentante ad alti livelli delle istituzioni dell’intera Regione Campania e non solo per il fatto di essere tuttora consigliere regionale di Forza Italia ed ex presidente della Commissione Regionale Antimafia. Da lei, innanzitutto come donna, ci si aspettava, forse, un comportamento diametralmente diverso; invece ha scelto di rifugiarsi dietro il paravento della facoltà di non rispondere e la delusione, non lo nascondo, è stata totale almeno per me. Dico questo perché da una donna ci aspettiamo la famosa rivoluzione copernicana con l’azzeramento di tutte quelle pratiche difensive da parte dei rappresentanti maschili delle istituzioni, pratiche che hanno mandato su tutte le furie intere generazioni di uomini e donne che vedevano negli atteggiamenti maschili dei protagonisti della politica un arretramento non controllabile del messaggio culturale che quegli uomini attraverso le istituzioni avevano ed hanno il dovere di lanciare verso tutti, soprattutto verso le giovani generazioni. L’on. Monica Paolino, probabilmente, non ha colto questa speranza di legalità che promana dai suoi concittadini, e non solo, desiderosi di conoscere la verità, soltanto la verità, nient’altro che la verità; e scommetto che avrebbero creduto anche nella verità che avrebbe potuto raccontare la loro “Monica” che invece non l’ha fatto ed ha preferito chiudersi al riparo dietro i suggerimenti del suo difensore, avv. Prof. Andrea Castaldo, che in un recente passato è stato protagonista in positivo nella Corte di Appello di Salerno della difesa in favore di Vincenzo De Luca per il famigerato processo per il termovalorizzatore. Una difesa assolutamente legittima per un cittadino qualunque, non per un rappresentante delle istituzioni chiamato a gestire la cosa pubblica in nome e per conto del popolo. Ma in questo Paese, si sa, gli istituti del nostro ordinamento giudiziario vengono rapidamente travolti e stravolti; quello di avvalersi della facoltà di non rispondere era nato soprattutto, se non esclusivamente, per gli indagati normali e non certo per i personaggi istituzionali che ha l’obbligo di dare il suo contributo nell’accertamento della verità; un obbligo che è valido per tutti e che per loro si accentua particolarmente e schizza verso l’alto. Oltretutto la strumento giuridico di cui sopra è nato anche per consentire agli indagati di prendere un po’ di tempo nell’attesa di “conoscere le carte” (come si dice in gergo); ma nel caso specifico di Monica Paolino (moglie di Pasquale Aliberti, dimissionario sindaco di Scafati proprio a causa e per via dell’inchiesta sui presunti rapporti tra camorra e politica di quella città) non c’era neppure la necessità di conoscere le carte perché le carte le conosceva e come, anzi aveva avuto oltre un anno di tempo da quel lontano 18 settembre 2015, quando il caso esplose in tutta la sua drammaticità in seguito alle perquisizioni operate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Salerno che ben sapeva di dover coinvolgere addirittura “la presidente” della Commissione Regionale Antimafia, per studiare e ristudiare le carte che mano a mano affluivano legittimamente nelle mani dei difensori sia del marito che di Lei direttamente. La Paolino, a mio avviso, non ha capito che un rappresentante delle istituzioni deve imparare innanzitutto a pesare le parole, soprattutto quelle sette che danno la possibilità di avvalersi della facoltà di non rispondere. Che piaccia o no, questo atteggiamento di chiusura ad oltranza fa anche nascere il dubbio che ci sia qualcosa d’altro oltre tutto quello che è già emerso dalle carte prodotte dalla Procura e vagliate con approvazione dal tribunale del Riesame nell’attesa del pronunciamento della Suprema Corte per la vicenda, che nello specifico, riguarda l’ex sindaco Pasquale Aliberti e i due Ridosso. Prima parlavo delle donne e di quanto da loro noi tutti ci aspettiamo in termini di stravolgimento degli atteggiamenti sconcertanti del recente passato, se le donne appena entrate in politica cominciano da subito a scavalcare le regole ed a tradire il mandato ricevuto dal polo, stiamo davvero messi molto male. Oltretutto l’on. Monica Paolino aveva avuto l’eccellente esempio del marito che subito dopo le sconvolgenti perquisizioni del 2015 aveva chiesto ed aveva ottenuto di relazionarsi subito con il pm antimafia Montemurro che aveva anche raccolto una sua lunga memoria difensiva preparata insieme a Giovanni Annunziata che era il suo legale di fiducia dell’epoca. Non solo, per lei, la Procura Antimafia le aveva riservato anche un trattamento consono all’essere donna e consigliere regionale e le aveva concesso che l’indicazione della sede dell’interrogatorio cadesse presso gli uffici della Procura di Napoli al fine di evitare un clamore mediatico che, sicuramente, non è stato perseguito dal giudice inquirente. Neppure questo è stato sufficiente per indurla a parlare, a raccontare tutto quello che sa, a difendere la sua onorabilità, quella del marito e della sua famiglia ed a chiarire, infine, che la camorra non c’entra assolutamente nulla con la gestione della cosa pubblica scafatese. Certamente ci saranno nuovi momenti in cui poter fare chiarezza, ma la strategia processuale di avvalersi della facoltà di non rispondere non mi convince anche perché così facendo Monica Paolino ha perso una grande occasione di portare il suo doveroso contributo alle indagini che riguardano un aspetto della vita associativa che coinvolge tutti noi. E non è poco. Per chiudere; Ronald Reagan diceva che “in politica la sincerità è tutto, se riesci a fingere di essere sincero ce l’hai fatta”; ebbene in questa vicenda Monica Paolino, purtroppo, non è riuscita nemmeno a fingere. Infine c’è un altro aspetto che, a prescindere dalla vicenda specifica che discende da una connotazione di carattere generale, attiene alla reazione anche psicologica che ogni individuo può e deve avere di fronte ad un’inchiesta giudiziaria. Ma questo lo esamineremo in un successivo approfondimento.
direttore: Aldo Bianchini