SALERNO – Giovedì 17 novembre 2016 dinanzi al Tribunale del Riesame di Salerno avrà inizio l’udienza per stabilire una cosa assolutamente fondamentale: Aliberti è imputabile del reato di “associazione politico-mafiosa per voto di scambio” con l’aggravante della continuazione tra le elezioni comunali del 2013 e quelle regionali del 2015 (come ipotizzato e sostenuto dalla DDA – pm Vincenzo Montemurro) oppure di semplice “corruzione elettorale” (come sancito dal gip Donatella Mancini); in estrema sintesi il Riesame dovrà stabilire se è giusto o meno arrestare Pasquale Aliberti e gli altri coinvolti nella inchiesta giudiziaria che sta mantenendo tutti sulla corda. Anche nel caso in cui il Riesame dovesse pronunciarsi per l’arresto bisognerà, comunque, aspettare, l’esito del ricorso per Cassazione che sicuramente le attente difese degli indagati presenteranno nei modi e nei termini previsti dalla legge. Il tempo passa e la cosa più sana e più giusta sarebbe quella di arrivare al processo (perché è inevitabile !!) senza avere il cappio della carcerazione stretto intorno al collo per due motivi fondamentali: perché fra un anno e mezzo Aliberti non potrà più candidarsi ed anche perchè il Ministero dell’Interno potrebbe a breve sciogliere l’amministrazione comunale di Scafati per presunte infiltrazioni malavitose.
In queste ore, dunque, è abbastanza difficile su questa vicenda, contraddittoria e ancora tutta da esplorare, senza correre il rischio di essere additato in favore o contro l’una e l’altra delle parti in causa: da un lato la DDA di Salerno e dall’altra il super indagato con i suoi presunti sodali. Per evitare questa facile e superficiale collocazione ho acquisito le memorie depositate il giorno 7 novembre 2016 presso il Tribunale del Riesame sia dalla pubblica accusa che dalla difesa. E ritenendo quella della difesa abbastanza scontata, ho studiato attentamente quella della pubblica accusa, soprattutto le 32 pagine di integrazione depositate lo scorso 7 novembre. Il quadro sapientemente disegnato dalla pubblica accusa sembra, ovviamente, confermare l’ipotesi accusatoria che vuole Aliberti al centro di un disegno politico-mafioso per la gestione del potere nella tumultuosa città di Scafati. Pur tuttavia la lunga memoria accusatoria si espone a diverse considerazioni, tutte afferenti la dubbiosa credibilità della dichiarazioni raccolte ed acquisite agli atti come indizi di colpevolezza nei confronti degli indagati; parlare di prove di colpevolezza sarebbe troppo, ma la DDA in maniera molto sottile ma diffusa e nell’ottica del rispetto dello stato di diritto di ogni singolo personaggio ricompreso nelle indagini cerca, comunque, di completare a conferma la descrizione del suo impianto accusatorio. A me piace di più la comprensione del quadro generale senza scendere nei dettagli anche se alcuni elementi mi sono apparsi degni di essere evidenziati, così come si leggono, al fine di offrirli ai lettori per le loro personali considerazioni. La prima stranezza si rileva dall’interrogatorio di Romolo Ridosso (detto Romoletto) dell’8.9.16 quando dice testualmente: “Successivamente a seguito del mio arresto e traduzione in carcere temendo intercettazioni evitai di parlare di tali argomenti in carcere”. Quasi come a dire che un personaggio chiacchierato possa chiudersi in se stesso e non ostentare le sue amicizie che in un carcere farebbero lievitare le sue quotazioni di comando verso l’alto; per dirla tutta, uno che va in carcere e non si vanta delle sue particolari amicizie (e quella con Aliberti potrebbe essere un’amicizia importante) è un fatto che in me suscita poca credibilità. Con questo non voglio dire, come non dico, che tutto quello che poi ha esposto con dovizia di particolari agli inquirenti non sia vincolato alla verità assoluta. Poi lo stesso Ridosso parla dell’avvocatessa Antonella Mosca che con lui sarebbe andata a Marcianise (città fuori collegio elettorale) a distribuire volantini per la candidata Monica Paolino. Non so, sinceramente, fino a che punto la lunga dichiarazione della Mosca (divenuta compagna del Ridosso e poi da questi maltrattata e scacciata) possa essere credibile è un mistero, anche perché la stessa dice e non dice, fa intendere di sapere ma non dichiara e si muove nei meandri dell’inchiesta con molta abilità difensiva. Nella memoria di accusa è stata anche accolta e, per stralci, allegata la lunga dichiarazione dell’imprenditore Aniello Longobardi resa agli inquirenti il 21.04.16 con parecchi “nulla so” ma anche di conferma circa un incontro elettorale (Longobardi, Nello Aliberti, Luigi Ridosso e Alfonso Loreto) presso l’azienda produttiva dello stesso Longobardi. Delle altre deposizioni allegate ho già ampiamente scritto nelle precedenti puntate di questa storia, soprattutto per quanto attiene quelle rese da Andrea Ridosso, dalla giornalista Valeria Cozzolino, e dall’amministratore Pasquale Coppola. Bisogna, però, rimarcare che nelle 32 pagine di memoria della Procura ci sono anche tre elementi da tenere in forte considerazione: la deposizione di Alfonso Loreto del 25.02.16 che cerca di tirare in ballo Aniello Longobardi, la deposizione di Giacomo Cacchione che dettaglia la vicenda relativa alla GESET per l’assegnazione della gara per la riscossione dei tributi, una dichiarazione di una certa valenza solo se ben incastrata a mosaico con quella dell’amministratore Coppola di cui prima.
Dall’altra parte è stata depositata una corposa memoria difensiva di ben 95 pagine, accuratamente approntata dai difensori di Pasquale Aliberti, il prof. Avv. Agostino De Caro e l’avv. Antonio D’Amaro.
Il tutto mi ha fornito l’opportunità di allargare lo sguardo (giornalistico !!) a 360° sul quadro politico-giudiziario-mafioso del “sistema di potere” che governa la città di Scafati che, è necessario precisare, non è una città mafiosa o, almeno, non è solo una città mafiosa. E’ vero che il tasso percentuale della criminalità cittadina è alquanto alto, ma è altrettanto vero che la stragrande maggioranza della collettività scafatese è davvero molto, ma molto, lontana dalla realtà della criminalità organizzata che, collegata ad altre importanti realtà malavitose, cerca di dominare anche la scena politica dell’intero territorio. Difatti se da un lato la magistratura tende a mettere in evidenza soltanto gli aspetti malavitosi di una comunità (rientra nei suoi compiti !!) per difendere la legalità; dall’altro lato c’è un sindaco che difende a spada tratta la sua comunità da una contaminazione diffusa, sull’onda del si dice e/o di luoghi comuni stereotipati, sia dinanzi alle telecamere di Canale/5 (per la presunta vicenda del sacerdote amante) e sia nel suo libro “Passione e tradimenti” che esplicita nella maniera più chiara e comprensibile il suo pensiero: “Non c’era posto in cui non mi chiedessero attenzione: tutto mi sembrava magico, cominciavo a vivere in un’altra dimensione, cominciavo a percepire che la mia famiglia stava diventando sempre più grande, più numerosa. La mia famiglia era la città, la mia gente, che chiedeva di me, che voleva me” (pag. 51 del libro). Le parole di Aliberti ci danno la giusta dimensione di un uomo al quale “la politica scorre nelle vene” anche se non è Gesù Cristo essendo soltanto il sindaco della sua città. Appuntamento a domani per la descrizione del quadro politico-giudiziario-mafioso di Scafati.