SALERNO – Non è assolutamente facile affermare che i “servizi segreti” hanno operato e inciso sul tessuto politico della città e della provincia in funzione dell’abbattimento del “vecchio sistema di potere” per sostituirlo con uno nuovo. E’ assolutamente facile affermare che la loro azione ha notevolmente contribuito allo sfascio ed al dissolvimento, in sede locale, dell’apparato politico di potere che aveva governato l’intero territorio provinciale dal secondo dopoguerra fino al 1992. Per capirne di più bisogna fissare un periodo storico molto preciso; nella prima metà degli anni 80 e fino al 5 dicembre 1993 (data delle elezioni amministrative che portarono De Luca a palazzo di città), quindi per oltre dieci anni, la loro azione è stata ossessiva, scientifica e capillare e si è infiltrata in ogni settore politico, pubblico e giudiziario del salernitano. La loro azione, inoltre, è andata di pari passo con la nascita e la crescita del famoso “laboratorio politico delle sinistre” ideato e lanciato soprattutto dal Partito Socialista Italiano nonostante la forte opposizione del Partito Comunista Italiano; PSI e PCI schierati l’uno contro l’altro all’inizio e poi alleati nel governo del Comune di Salerno e dell’Ente Provincia, fino allo scontro finale che ha registrato la resa senza condizioni e la straripante vittoria del PCI.
“Chi ha deciso di fare del male -diceva Aristotele- non fatica a trovare un pretesto per farlo”. Potrebbe essere propria questa la definizione più precisa di quanto mi accingo a raccontare; fatti storicizzati e non chiacchiere. Dunque dopo alcuni anni di sperimentazione nel 1986 incominciò a prendere piede il suddetto laboratorio con la leader-schip socialista, guidata dall’on. Carmelo Conte, intenzionata a ridare alla città ed alla provincia un governo progressista e mandando all’opposizione il conservatorismo della Democrazia Cristiana (D.C.) dominata oppressivamente dall’allora segretario nazionale e capo del governo nazionale on. Ciriaco De Mita. Quello di Salerno era un fenomeno da seguire molto attentamente anche perché si poneva all’attenzione nazionale dell’intero arco politico costituzionale (DC, PLI, PRI, PSDI e dello stesso PSI); un fenomeno subito adottato dal lungimirante on. Bettino Craxi che da poco era salito alla presidenza del consiglio dei ministri per un arco di tempo, dal 4.8.1983 fino al 17.4.1987, abbastanza lungo per quei tempi. Furono allertati i “servizi segreti” che già da tempo avevano, sotto la sigla del SISDE, un ufficio anche a Salerno con sede al Corso Garibaldi, di fronte al palazzo di giustizia. Sicuramente sulla targa giù in strada non c’era scritto “Servizi Segreti”, ma il comando dell’intelligence salernitana fu affidata al capitano dei Carabinieri “Salzano”, fratello del prof. Aniello Salzano che, in quegli anni, era stato sindaco di Salerno per la DC dal 23 gennaio 1984 al 12 febbraio 1985. C’era da ridistribuire la ricchezza salernitana attraverso la riconversione urbanistica della città e l’assegnazione alle “grandi famiglie” di tutti i progetti utili a ridisegnare il capoluogo per rilanciarlo verso mete nazionali ed internazionali. Il ruolo dei servizi segreti appariva assolutamente importante se non anche necessario a delimitare e fermare il vecchio sistema di potere per favorire l’ascesa ndi un potere nuovo e, sulla carta, più progressista.
Sisde, Sismi, Scico e Cesis, quattro sigle affascinanti ma anche temibili, si ritrovarono quindi a Salerno per avviare e completare un’azione di razionalizzazione nell’ottica di quella normalizzazione a carattere nazionale che sarebbe nata la mattina del 17 febbraio 1992 con l’arresto dell’ing. Mario Chiesa in quel di Milano, l’uomo che denunciò l’esistenza del sistema di potere nazionale e lo descrisse nei minimi dettagli, tanto da consentire ai “Pool Mani Pulite” di scardinare le istituzioni dello Stato utilizzando al meglio la leva potentissima della baldanzosa intraprendenza investigativa di Antonio Di Pietro. Quello dell’agenzia salernitana dei “servizi segreti” è un altro dei tanti capitoli oscuri delle presunte trame tessute dai servizi contro i big della politica salernitana. Al di là delle chiacchiere o delle fantasiose ricostruzioni, i fatti ci rimandano un quadro molto ben identificabile e vicino alla “sinistra di base” della DC che all’epoca governava sicuramente i “servizi” e che temeva la nascita e la crescita del laboratorio politico salernitano che avrebbe potuto mettere in discussione la leader-schip degli avellinesi sui salernitani; oltretutto a Salerno Carmelo Conte stava trovando la mission giusta per coalizzarsi con la linea di Paolo Del Mese, anch’egli contrario al gran visir di Nusco. Alle porte c’era il PCI che premeva Per entrare in prima persona nei governi della città e della provincia. E se lo scontro tra le correnti della DC imperava a Roma, anche a Salerno non era da meno con l’esponente demitiano-garganiano Aniello Salzano a metà strada tra il gruppo dell’agro e quello salernitano-pontecagnanese. E c’era anche il capitano Ambrosini, cognato di Roberto De Donato (segretario particolare di De Mita), che ebbe forse il compito di riammagliamento tra le varie azioni dei servizi.
I “servizi segreti” di solito servono per ricucire o provocare strappi tra le varie istituzioni; a Salerno fecero l’una e l’altra cosa commettendo, tra l’altro, l’imprudenza di soffiare suol fuoco delle polemiche per alcune inchieste nate a carico di diversi magistrati inquirenti: Michelangelo Russo, Claudio Tringali (che si era permesso di indagare Gaspare Russo, plenipotenziario di De Mita), Ennio Bonadies, Domenico Santacroce ed alla fine anche Luciano Santoro. Queste inchieste mosse tutte da rivendicazioni politiche non ebbero i risultati sperati e gli stessi magistrati, dopo brevi periodi di lavoro nelle destinazioni punitive, ritornarono a Salerno avendo ben capito il quadro dell’assetto del potere politico elevato a sistema.
Carmelo Conte, primo fra tutti, si rese conto del pericolo giudiziario ed avendo avuto coscienza di alcune veline che giravano tra i servizi e la magistratura pensò bene di porre la questione della tenuta del quadro politico salernitano nelle opportune sedi romane. Si mosse in un apparato che sonnecchiava e pensava di essere inattaccabile, molti abbassarono al guardia ed alla fine Conte non insistette più di tanto con il ministro dell’interno Antonio Gava e con il capo della polizia Vincenzo Parisi per farsi consegnare la velina denominata “Dossier Salerno”, velina che scomparirà tra i misteriosi cassetti ministeriali per riapparire nel 1993 con gli effetti devastanti che ho già ampiamente descritto nei capitoli precedenti. L’ex ministro Conte riuscì, però, a far chiudere l’agenzia Sisde di Salerno ma non si rese conto che gli uomini segreti non abbassarono la guardia e si nascosero agli occhi di tutti, riorganizzandosi e ripartendo all’attacco da posizioni assolutamente occulte.
Furono anni bui con i servizi che spingevano in ogni direzione possibile sotto la spinta di “agenti segreti” mai ufficialmente individuati; se Salzano e Ambrosini erano gli uomini noti che curavano l’ufficialità del loro ufficio, anche a loro insaputa si muovevano sul territorio tanti individui sotto mentite spoglie per favorire l’azione misteriosa e devastante. Parallelamente ai servizi si muossero le istituzioni ufficiali con in testa i magistrati di punta: Domenico Santacroce, Vito Di Nicola, Luigi D’Alessio, Michelangelo Russo, Antonio Scarpa e Giancarlo Grippo come sostituti procuratori. Addirittura il quotidiano “Il Mattino” arrivò a titolare “Tre Di Pietro anche a Salerno” per magnificare le inchieste di Di Nicola, Russo e D’Alessio. Gli episodi più eclatanti di quella stagione furono registrati con Domenico Santacroce che fece applicare le prime microspie della storia giudiziaria salernitana nell’auto e nell’ufficio dell’imprenditore Vincenzo Ritonnaro per scoprire tutti i segreti dei rapporti tra imprenditoria e politica; l’altro episodio si estrinsecò in un incontro notturno riservatissimo tra “un magistrato, un giornalista, un uomo dello Scico e una donna dei servizi” per lo scambio di fascicoli ritenuti altamente pericolosi. L’incontro fu fotografato da un altro agente dei servizi segreti che provvide, poi, a consegnare le foto al giornalista che, a sua volta, le consegnò al suo direttore Pasquale Nonno che, in sede giudiziaria, dichiarò di averle smarrite a causa di un trasferimento d’ufficio nell’ambito della direzione napoletana del giornale di Via Chiatamone.
Di pari passo andava avanti l’azione istituzionale della Procura di Salerno e uno dei sostituti di punta, Claudio Tringali (oggi presidente di sezione della Corte di Appello), nel corso della perquisizione negli uffici del potentissimo Gaspare Russo riuscì ad acquisire i progetti di massima dei futuri insediamenti industriali della Valle del Sele, arrivando a scoprire che i terreni su cui sarebbero dovuti sorgere tali insediamenti erano stati acquistati tempo prima dalla sig.ra Soffritti Maria Luisa, moglie del potentissimo imprenditore Alberto Schiavo di Vallo della Lucania; e Schiavo era sicuramente annoverabile tra i demitiani di ferro temporaneamente transitati nelle linee politiche socialiste per ottenere i grandi lavori pubblici che in quel periodo cominciavano a spuntare come funghi; una specie di movimento ondivago che alcuni osservatori dell’epoca giudicarono come una strategia politico-imprenditoriale attentamente studiata al fine di consegnare nella mani dei magistrati tutti gli elementi utili allo smantellamento del “laboratorio laico e di sinistra” che era stato creato dal PSI e da una quota della DC (che osteggiava De Mita) all’ombra del sonnacchioso PCI (con segretario provinciale Vincenzo De Luca) che aspettava la caduta di tutti per impossessarsi del vero potere.
Nel frattempo il SECIT con i suoi uomini e con l’aiuto diretto dei servizi segreti setacciò da cima a fondo l’intero territorio del cratere (dove era arrivata la vera ricchezza !!) per via delle grandi opere pubbliche di ricostruzione già indagate dalla cosiddetta “Commissione Scalfaro”; prese piede anche la convinzione che qualcuno o qualcosa avesse ad un certo punto ordinato di insabbiare e depistare per coprire le vere responsabilità da addebitare soltanto a due personaggi politici. E fu così che agli inizi del 1993 ricomparve sulla scena il famigerato “Dossier Salerno”, scomparso qualche anno prima tra gli uffici ministeriali di Gava e Parisi, con l’indicazione di due personaggi: Carmelo Conte e Paolo Del Mese. Ma perché quella velina-dossier era scomparsa ? Distrazione del ministro Conte, superficialità del ministro Gava, interesse del capo della polizia Parisi a non mettere in circolazione una velina così segreta e delicata o, invece, tutti e tre erano già fuori dall’orbita del potere per volere di qualcuno più potente di loro ? Domande che sono rimaste senza risposta; Conte finì sotto devastanti inchieste giudiziarie, Gava finì in galera e Parisi morì improvvisamente poco dopo aver accompagnato Oscar Luigi Scalfaro verso la Presidenza della Repubblica in una turbolenta Palermo scossa dagli attentati in danno di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma il SECIT aveva preparato le cose per bene attenzionando alcuni grandi tecnici del momento, vicini a Carmelo Conte e Paolo Cirino Pomicino: Enzo Maria Greco, Franco Amatucci e Raffaele Galdi; tutti e tre morti negli anni successivi a causa, forse, della grande pressione psicologica delle devastanti inchieste che dovettero subire sulla spinta delle relazioni dei super ispettori del Secit.
C’erano, comunque, stati alcuni segnali ben precisi che nessuno dei protagonisti riuscì a capire ed a contrastare per tempo. Il 15 gennaio 1991 l’appuntato della Guardia di Finanza, Mario Giordano, autista, con relazione scrittà riferì all’ufficio di pubblica sicurezza della presidenza del consiglio dei ministri che verso le ore 03.00 di quel giorno nel far rientro a Roma con l’autovettura di servizio (con a bordo il ministro Conte) era stato affiancato nel tratto Caserta-Cassino sull’ A/1 da un’autovettura di colore azzurro di marca Fiat Lancia Dedra targata SA/794117; sulla predetta auto viaggiavano due persone che facevano di tutto per farsi notare seguendo e sorpassando più volte l’auto ministeriale fino all’area si servizio Agip dove l’intervento della Polstrada scongiurava ogni pericolo. La sera del 14 novenbre 1991 l’autista Giovanni Luisi, appuntato dei Carabinieri, segnalò che mentre si trovava in sosta con l’auto del ministro Conte in Piazza Ungheria a Roma aveva ricevuto una chiamata sull’utenza telefonica di sicurezza installata sull’autovettura; una persona con voce maschile ed inflessione del nord aveva pronunciato le seguenti parole: “Pronto, pronto, dica al ministro di stare molto attento”. La mattina del 17 maggio 1992 la magistratura salernitana pose sotto sequestro gli uffici tecnici degli ingegneri Franco Amatucci e Raffaele Galdi, denominati “compassi d’oro” e molto vicini al ministro Conte. Ma ci furono anche episodi sulla figura di Paolo Del Mese, attenzionato e pedinato dai servizi segreti un paio di anni prima del ’92; e sulla figura del capo della procura della repubblica di Sala Consilina, Domenico Santacroce, ritenuto il vero ispiratore della tangentopoli salernitana dall’alto della sua perfetta conoscenza dei rapporti tra camorra e politica. Agli inizi degli anni ’80 Santacroce era stato protagonista con ridondanza nazione di un episodio in danno dell’allora potentissimo sen. Enrico Quaranta; per de-relato un camorrista aveva raccontato che Quaranta si era incontrato con il boss Alfonso Rosanova (ucciso nell’ospedale di Via Vernieri) in un noto ristorante dell’agro. Ne venne fuori una polemica gigantesca e Quaranta fece affiggere manifesti contro il giudice istruttore Santacroce in tutta la provincia di Salerno; Quaranta non fu perseguitato ma Santacroce fu trasferito a Palermo per poi ritornare a Salerno da dove cominciò la sua battaglia contro i socialisti. Un altro, ma significativo, episodio sarà registrato nell’anno 1996 a Conza della Campania (prov. Di Avellino). Ad un convegno, per una discussione sullo sviluppo dell’occupazione nelle zone interne tra Basilicata e Campania, organizzato in quella cittadina appenninica essenzialmente per festeggiare il ritorno nella Camera dei Deputati di Ciriaco De Mita (non candidatosi alle elezioni del ’94 vinte da Berlusconi) era presente in prima fila la dott.ssa Sorrentino definita la “zarina del servizi segreti” e processata nell’ambito dell’inchiesta sui “sette uomini d’oro” dei servizi segreti centrali. Casualità o precisa e voluta ostentazione del potere ?
Ovviamente un giallo come questo sui “servizi segreti” non può concludersi se non con un altro colpo a sorpresa, per tingere ancora più di giallo tutta la misteriosa vicenda dell’azione dei servizi a Salerno. In questi ultimi ventitre anni, molti personaggi politici e non, della Salerno che contava e che conta, sono stati impegnati nella spasmodica ricerca di una delibera della Giunta Provinciale, risalente agli anni tra il ’90 e il ’93 e sfuggita a tutti i controlli e le ricerche; una delibera utile a smascherare un corposo finanziamento pubblico in favore di un noto personaggio del mondo giudiziario salernitano. Chi l’ha sottratta dagli archivi provinciali e chi la tiene gelosamente custodita ? Secondo molti potrebbe essere la chiave per entrare nei misteri della nascita e della crescita del “sistema di potere” che da quell’epoca ancora governa la città e la provincia.
La storia dei “servizi segreti” ha sicuramente, tra le tante, anche un’appendice che mi riguarda personalmente e conclusasi dinanzi al gup Vittorio Perillo con la mia assoluzione perché il fatto non sussiste; ma questo ve lo racconterò nel prossimo capitolo.