SALERNO – Prima di andare avanti con questa inchiesta giornalistica incentrata prevalentemente sul “caso Scafati” ritengo necessario precisare quello che il mio personale punto di vista sull’esistenza delle “varie facce della politica e della camorra” (camorra intesa come malavita organizzata in senso lato). Sono almeno tre le facce della commistione tra camorra-politica e imprenditoria, ovvero negli anni il filo sottile della distinzione è diventato talmente sottile ed impalpabile che tutte le inchieste giudiziarie si scontrano con una realtà che viaggia sempre con largo anticipo rispetto agli inquirenti che devono fermarla e abbatterla. La camorra del passato non esiste più, se non per quelle frange di manovalanza che spara e uccide fisicamente, che ricatta ed estorce a viso aperto e che minaccia pesantemente o accusa surrettiziamente; ma quella era ed è anche la camorra che si espone ed accetta grossi rischi e, soprattutto, non è vigliacca. E’ una camorra che agisce a viso aperto e costringe gli altri a pesanti posizioni di omertà; ed anche in questo caso dovremmo fare la distinzione tra omertà per paura e omertà di convenienza. Quell’antica camorra è stata lesta nel capire che doveva aggiornarsi e, soprattutto, doveva entrare nei gangli dello Stato per dar vita alla “camorra in doppio petto”, una camorra vigliacca perché si nasconde ed occulta le sue azioni dietro percorsi amministrativi difficili da seguire e da scoprire. E mentre lo Stato ha balbettato e balbetta con pesanti ritardi nella sua modernizzazione, anche la camorra in doppio petto si è evoluta ed ha dato vita alla “camorra tecnologica” che in molti casi è realmente imprendibile. Nel 1972 il famoso film “Il padrino” di Francis Ford Coppola mise sicuramente in evidenza la potenziale trasformazione della camorra di manovalanza in quella dal doppio petto; e da quest’ultima anche la camorra travestita da politica che conta su infinite infiltrazioni di “malavitosi laureati” ed a volte insospettabili. Nel film di Coppola, naturalmente, non si faceva alcun accenno alla “camorra tecnologica” che è arrivata dopo e che ha fatto passi da gigante scavalcando d’impeto i timidi tentativi dello Stato di mantenere il suo passo; in pratica la camorra ha un potere decisionale immediato per gli investimenti tecnologici che per velocità rasenta quella della luce rispetto alla lentezza pachidermica dello Stato che, spesso, ha dei sussulti in avanti ma che poi inevitabilmente si ferma, vuoi anche per informatizzare e formare i suoi uomini che sono e restano uomini eccezionali perché accettano di buttarsi in una battaglia certamente impari. Il compianto Peppe Fava, giornalista siciliano ucciso dalla mafia, spesso diceva che è più facile catturare un mafioso che ha sparato rispetto ad un mafioso in doppio petto che nasconde o altera una pratica amministrativa; e quell’affermazione ritorna oggi di grande attualità se applicata ai sistemi informatici che viaggiano alla velocità della luce nell’acquisizione di nuovi ed imperscrutabili meccanismi che se utilizzati per delinquere in maniera organizzata e scientifica. Per quanto mi riguarda la camorra che fa meno paura è, anche se vi sembrerà strano, proprio la prima, quella che spara, non è vigliacca e difficilmente accusa ruota libera; perché contrariamente alle altre due la si può combattere ed anche battere; le altre due, ripeto, sono insidiose, viscide e vigliacche; non si espongono mai e sono pronte ad infangare e diffamare chiunque. In questo labirinto si devono muovere, loro malgrado, gli inquirenti che spesso sono costretti anche ad ipotizzare fatti difficilmente dimostrabili pur di ottenere un qualche minimo ed accettabile risultato. Perché ? perche anche la stessa immagine del camorrista classico è completamente mutata nel tempo passando, dalla “coppola” in testa a copertura di una faccia terrificante nei suoi tratti somatici, al viso quasi angelico e dal corpo a “sangue freddo” dei nuovi camorristi che hanno mutuato i tratti migliori a cavallo tra la coppola e la lucidità del killer; e questi ultimi fanno davvero paura !! Tutto questo è il quadro della situazione che dal mio punto di vista si è calato, pari pari, in tutto l’agro sarnese-nocerino, un quadro che è perfettamente identico in tutto il Paese e che anche in queste ultime ore viene descritto dai grandi net-work arrivando fino ai figli dell’ex ragioniere generale dello Stato, Monorchio, e dell’ex ministro delle infrastrutture, Lunardi. E solo se si conosce questo complesso quadro, almeno nelle sue sfaccettature più visibili, ci si può inoltrare nei meandri assai tortuosi dell’inchiesta giudiziaria sul “caso Scafati” che ha, lo ripeto, delle propalazioni esterne molto simili, ma anche diverse, a quelle dell’altro caso eclatante e che la storia ha registrato come “Linea d’ombra”; due grossi casi giudiziari condotti dallo stesso pm antimafia e che spesso ho evocato e messo a confronto. Nel caso di Pagani è stata registrata una resistenza della “camorra che spara” nell’accusare inopinatamente l’aspetto politico della vicenda (tranne per i nuovi pentiti, poco credibili per il marchio di stampo camorristico, che il pm Montemurro ha portato in appello in sede di rinnovazione del processo) tanto è vero che la posizione di Alberico Gambino e di Giuseppe Santilli è stata distintamente separata dall’aggravante di stampo politico-mafioso; a Pagani non ci sono state fughe in avanti della camorra che, invece, nel caso di Scafati sono state registrate in un discreto numero, anche se tutte da riconfermare con l’acquisizione di nuove e conclamate prove prima di emettere verdetti di condanna. Con questo non è che voglio dire che ha Pagani non ha “parlato” nessuno, tutt’altro; piuttosto a Pagani c’è stato, se c’è stato, un malcelato tentativo dell’impresa camorristica di salvare il salvabile in quanto gli “uomini di comando” potrebbero essere ancora gli stessi di qualche anno fa. A Scafati invece il sommovimento viene dalla camorra, dall’imprenditoria e dalla stessa politica; segno inequivocabile che qualcosa sta cambiando, se non è già cambiata, nella regia e nella strategia del comando. Da qui, credo, la grande prudenza che il sostituto procuratore antimafia, Vincenzo Montemurro, sta dimostrando fin dall’inizio di questa torbida vicenda e solo con la prudenza potrà vedere e capire meglio. Dalla prossima puntata inizierò l’analisi delle deposizioni di Alfonso Loreto, di Aniello Longobardi e delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche tra Luigi Ridosso, Ciro Petrucci, tal Salvatore (guardiano di Longobardi); ed anche l’analisi della lunga nota informativa della DIA di qualche settimana fa. Alla prossima.