Di Michele Cavallo (scrittore)
SALERNO – Sicuramente quasi tutti voi (ma anche no) avrete sentito parlare o visto le immagini della metropolitana di Roma, nella quale è stato pestato, insieme alla madre che cercava di difenderlo, un giovane ragazzo. Il suo “sgarro” era stato quello di avvicinarsi a degli altri giovani che stavano fumando e a dirgli “qui dentro non si fuma”. Per tutta risposta questi tre lo hanno mandato all’ospedale tra il “fuggi fuggi” generale. Stessa reazione degli astanti, quando il giovane è rimasto a terra insieme alla madre mentre i picchiatori se la davano a gambe: minuti interminabili prima che qualcuno si avvicinasse a vedere come stava il malcapitato.
Questo a grandi linee il fatto.
Non voglio rimarcare tanto il pur gravissimo comportamento degli “spettatori” che non sono intervenuti né durante né dopo il pestaggio, perché, anche nell’ultimo mio articolo ho accennato a come il nostro cambiamento “antropologico” verso l’individualismo egoistico induca sempre di più a preservare noi stessi invece di sentirci parte di una comunità. Poi ti credo che si ha paura di intervenire se sai per certo che nessuno ti difenderà!
Quello per cui invece secondo me vale ancora la pena battere le dita sui tasti di questo computer, è la reazione che ha scatenato un gesto che in altre nazioni europee (lo so che verrò tacciato di esterofilia, ma l’ho vissuto sulla mia pelle) sarebbe stato considerato ovvio. Gli spazi comuni sono di tutti e in essi vigono regole diverse da casa nostra. Questo concetto non ci è molto chiaro. Ricordo di una volta, appena arrivato in Germania, di aver parcheggiato in uno spiazzale completamente vuoto, con due ruote della macchina sulle strisce che delimitano il posto-auto. Immediatamente, dall’altra parte della strada, una coppietta di anziani attempati mi fecero notare con tono acceso, di dover velocemente raddrizzare la macchina, mentre uno dei due agitava il cellulare per farmi capire che altrimenti avrebbe chiamato la polizia.
Qui da noi non puoi permetterti una cosa del genere (vedi sopra). Ma perché mi chiedo? Perché ogni volta devo farmi i “fatti” miei se no le prendo? Perché chi tenta di farlo viene picchiato, deriso, chiamato infame, spia? Cultura? Paura? Impunità? Cosa mi ha spinto, dopo qualche anno che sono tornato in Italia, a ributtare i mozziconi di sigarette per terra, mentre in Germania le spegnevo e, se non ci fosse stato un cestino nelle vicinanze (cosa molto improbabile), me li mettevo in tasca? Sento già le vostre voci: “ci sono problemi più importanti dei mozziconi in Italia!” Ed avete ragione. Poi però se quel ragazzo invece di andare solo in ospedale fosse morto, allora sì che ci saremmo tutti indignati! Eppure lui voleva far rispettare solo una piccola regola.
Nella stessa carrozza c’erano altre venti persone che subivano senza proferir parola. E quando, scappando, hanno visto il ragazzo a terra, avranno pensato: “lo vedi che faccio bene a farmi e, soprattutto, a continuare a farmi i “fatti miei!”. Ma una domanda è d’obbligo: quali sono i “fatti miei”? Subire l’arroganza di una minoranza sregolata (senza regole comuni) o cercare insieme di cambiare la situazione attuale? Per ottenere un risultato sulla seconda ipotesi molto probabilmente altre persone dovranno andare all’ospedale. Ma la storia ci insegna che non c’è vittoria senza sacrifici. E senza unita’.