SALERNO – La sera del 31 maggio 1993 ero seduto al mio posto di direttore nella redazione di TV Oggi Salerno quando mi giunse la notizia clamorosa dell’arresto degli ex sindaci Vincenzo Giordano e Aniello Salzano e dell’assessore comunale Fulvio Bonavitacola; insieme a loro i luminari docenti universitari tecnici Carlo Mustacchi e Luigi Adriani; e dulcis in fundo il nome di un imprenditore, Antonio Di Donato, già investito da una burrasca giudiziaria senza precedenti. Al nome di Di Donato rimasi attonito, tanto che i miei colleghi mi chiesero cosa mi avesse colpito tanto. Spiegai che gli arresti degli altri erano nell’aria e che, anche se assolutamente ingiusti, era logico aspettarli in quel clima da guerra all’ultimo sangue tra la magistratura e la politica; ma arrestare un imprenditore di vaglia e di correttezza come Antonio Di Donato mi appariva come il principio della fine di un mondo e di un modo di fare che si avviava decisamente al tramonto. Avevo conosciuto qualche anno prima l’imprenditore Di Donato in quel di Laviano dove era impegnato nei lavori di ricostruzione post terremoto dell’80; io come ispettore degli infortuni e lui come capo di un’impresa edile che riusciva ad entrare in tante ATI (Associazione Temporanea d’Impresa) a livello nazionale, per l’esecuzione di medie e grandi opere pubbliche, fino a quella con la Cogefar-Impresit (legata alla Fiat degli Agnelli) che fu l’inizio di una serie incredibile di disavventure giudiziarie. Conoscendolo non avrei mai neppure supposto l’eventualità di un arresto; anche se quel giorno, va ricordato, fu avvisato Cesare Romiti (g.m Fiat) e arrestato Gabriele Cagliari (g.m. Eni), poi suicida il 20 luglio successivo. Nel corso dei nostri brevi incontri lavorativi, prima di quel giorno cruciale, avevo sempre avuto la sensazione di trovarmi al cospetto innanzitutto di un uomo e poi di un imprenditore che già all’epoca si era posizionato di una spanna al di sopra di tanti altri imprenditori rampanti che cercavano solo di succhiare dalla politica senza restituire nulla allo stato sociale. Un uomo vero, dunque, questo era Antonio Di Donato che giovedì mattina ci ha lasciato per sempre all’età di 71 anni; un uomo che aveva ampiamente dimostrato di essere un uomo vero proprio nel giorno più sfortunato della sua vita non cadendo nella trappola delle delazioni indotte, perché quella era l’epoca in cui la magistratura prometteva larghi sconti in cambio delle confessioni-rivelazioni più strane e fantasiose. Questa tecnica non ebbe alcun effetto sull’uomo Di Donato; rimase sempre sulle sue con grande umiltà e sensibilità d’animo. La mia personale pregressa conoscenza mi indusse a schierarmi apertamente in favore di Di Donato e della sua palese innocenza; era un uomo e un imprenditore che da un lato dava lavoro a tanta gente e dall’altro cercava di dare alla società che lo circondava il meglio della sua arte nella realizzazione di grandi e medie opere pubbliche. Il “trincerone ferroviario” di Salerno (come quello di Cava de’ Tirreni, sua città natale) rimane l’opera più importante regalata alla città. Grazie a Vincenzo De Luca, allora al suo primo mandato di sindaco, ha vissuto anche un momento molto esaltante della sua vita terrena diventando forse l’unico imprenditore italiano che, dopo le disavventure giudiziarie, ha avuto la possibilità di completare e inaugurare la sua più grande opera a conferma della sua assoluta innocenza e trasparenza. Giovedì 19 settembre 1996, alle ore 11.40, Salerno celebrò il taglio del nastro del trincerone ferroviario seguito venti minuti dopo da un brindisi tra Antonio Di Donato e lo stesso sindaco De Luca. Piovigginava quel giorno, ma Di Donato rimase per tutto il tempo della cerimonia a capo scoperto sotto la pioggia insistente; lo guardai intensamente negli occhi e lui restituì lo sguardo; lessi una sorta di soddisfazione intima che l’acqua piovana metteva a nudo in tutta la sua trasparente e prorompente innocenza, come uomo e come imprenditore. Sempre in quel giovedì avemmo anche modo di scambiare qualche considerazione, mi ringraziò per la campagna giornalistica che conducevo in suo favore anche se non ci eravamo mai sentiti o incontrati per organizzare chissà quale complotto, come qualche sprovveduto magistrato aveva anche supposto. In seguito ci siamo incontrati diverse altre volte ed ho sempre avuto la sensazione di trovarmi di fronte ad un uomo che con grande umiltà e professionalità cercava di dare il suo contributo alla società. Un uomo ed un imprenditore dal volto umano che, nei nostri incontri, non dimenticava mai di parlare della famiglia, della sua adorata famiglia alla quale pensava di aver dato, suo malgrado, diversi momenti di grande tensione ma anche una stabilità morale. Ci ha lasciato giovedì 20 ottobre scorso, ieri mattina i solenni funerali celebrati nel Duomo di Cava de’ Tirreni; la presenza di una folla di amici e conoscenti lo avrà, forse, ripagato dalle maldicenze e dai sospetti che anche qualcuno dei presenti non aveva mancato di sussurrare in quei momenti drammatici. Se n’è andato così come aveva vissuto l’intera sua vita, in punta di piedi e in silenzio, sempre immerso nell’affetto dei suoi cari che gli sono stati vicino fino all’ultimo istante della sua vita; una vita sicuramente degna di essere vissuta. Ricorderò per sempre quel sorriso spontaneo che mi rivolese la mattina del 19 settembre 1996 sotto la pioggia del trincerone ferroviario di Salerno.
direttore: Aldo Bianchini