Aldo Bianchini
SALERNO – E passiamo, con il capitolo di oggi, all’annosa questione della responsabilità civile dei magistrati, un tema che ho posto fin dall’inizio di questa inchiesta. Ogni Governo del Paese, da decenni, ha inserito nel suo programma il difficilissimo problema. Quanto però accaduto nel processo Sea Park, in un caso che ha visto una esemplare sentenza del Tribunale di Salerno II sez. pen., Presidente dott. ssa Troiano, dovrebbe dare spunto a più di una riflessione su ciò che l’eventuale e millantata riforma dovrebbe affrontare.
Come è noto, lo Stato risponde, ai sensi della legge 13.04.1988 n. 117, per i danni causati da casi di mala giustizia, solo per comportamenti del giudice che siano frutto di dolo o di colpa grave, cioè, in questo secondo caso, una macroscopica violazione di legge. Un caso che potrebbe rientrare in questa ipotesi di colpa è accaduto a Salerno agli imprenditori salernitani Maiolica, assolti nel 2013 dopo dieci anni di “calvario” dalla seconda sezione del Tribunale su parere conforme -si badi bene- della Procura della Repubblica (p.m. dott. Montemurro), che ha sconfessato l’operato dei colleghi che lo avevano preceduto negli anni addietro per le corpose indagini preliminari (sotituti Filippo Spiezia e Gabriella Nuzzi e procuratore capo Luigi Apicella diversi da Vincenzo Montemurro e da Franco Roberti –oggi a capo della procura nazionale antimafia). I Maiolica, come già scritto nel precedente capitolo, entrano nel famoso processo Sea Park nel 2004, inizialmente, perché acquirenti di una parte dei suoli dell’ormai abbandonato progetto del Parco Marino ed all’oscuro che quei terreni stavano per essere espropriati dal Comune per far posto alla nuova megalattica iniziativa del kaimano consistente nella costruzione di una faraonica centrale elettrica con il supporto economico dei francesi della Energy Plus, un’iniziativa finita nel nulla. Anche su questa storia bisognerebbe accendere i riflettori; il Comune prima sponsorizza a cielo aperto l’iniziativa dei francesi e poi si oppone drasticamente, nel frattempo i francesi acquistano anche il sito industriale dismesso del pastificio Amato di Mercatello sul quale avrebbero dovuto realizzare un insediamento urbano (speculazione edilizia ?).
Pensate a quanti e quali tipi di interesse si sono scontrati in quegli anni su una “Salerno da bere”, come enfaticamente e plasticamente la definiva De Luca. Beh !! Salerno sarà stata anche da bere ma certamente non era da saccheggiare; e quella del saccheggio appariva agli occhi degli inquirenti come la vera motivazione dell’inchiesta. Quegli interessi che si intersecano ed attraversano anche tante inchieste giudiziarie non vengono, per fortuna degli indagati, mai intrecciati e fatti risalire ad un solo capo di imputazione valido per tutti: speculazione edilizia attraverso svariati sotterfugi-raggiri ed espropri a gogò. Ma torniamo ai Maiolica che oggi ci interessano di più. Dunque il pm dell’epoca (la Nuzzi) sequestra i suoli acquistati dai Maiolica, questi ultimi ricorrono in Cassazione ed ottengono il dissequestro, ma la pm sequestra di nuovo con altri capi d’imputazione; alla fine del botta e risposta i suoli vengono dissequestrati e restituiti ai legittimi proprietari. Un’archiviazione doverosa sembrava inevitabile a quel punto, ma invece i Maiolica rimangono indagati e il p.m. ne chiede il rinvio a giudizio nel 2008 quando il permanere dell’imputazione aveva già reso i suoli invendibili e l’azienda si avviava al fallimento con centinaia di licenziamenti. Solo la sentenza della II sez, penale del Tribunale di Salerno rese giustizia assolvendo i Maiolica nel Maggio 2013; e lo fece con una formula di rara applicazione: l’assoluzione ai sensi dell’art. 129 c.p.p., ossia l’evidenza assoluta dell’innocenza degli imputati, ricavabile de plano dalla lettura degli atti. In altri termini, non avrebbero dovuto essere mai imputati! Allora perché lo sono stati, e mantenuti in tale status per anni? E qui i misteri si aggiungono ai misteri e il quadro si complica e si perde nei meandri del “sistema di potere deluchiano” che domina Salerno da oltre venti anni.
Le cronache degli anni 2004 – 2005 riportavano l’esistenza di un grande scontro sulla conduzione della Procura della Repubblica di Salerno tra il Procuratore dell’epoca (Apicella) e i due Procuratori Aggiunti (Russo e Santoro). In particolare, anche con segnalazioni ufficiali, da tempo i due Procuratori Aggiunti criticavano l’accentramento dei processi più delicati nelle mani di qualche sostituto particolarmente vicino al capo e con una spiccata tendenza inquisitoria, tanto da rasentare, non poche volte, eccessivi comportamenti vessatori nella conduzione delle indagini. Ad appesantire il clima, le diffidenze createsi per effetto di un procedimento disciplinare che aveva coinvolto tempo prima il Procuratore Capo stesso, poi assolto, ed in cui i due aggiunti erano stati testi di accusa. Le cose degenerarono in obiettiva coincidenza temporale col progredire delle sventure processuali dei Maiolica, i due Procuratori Aggiunti avevano allertato l’Ufficio, indipendentemente l’uno dall’altro, sulle anomalie di quel processo; l’uno aveva avvertito informalmente l’Ufficio che gli imprenditori erano delle vittime, e di questo intendevano parlare con gli inquirenti di quanto a loro conoscenza (ma non furono mai ascoltati), e l’altro aveva esercitato inutilmente il proprio doveroso e legittimo controllo sulle indagini in corso in forza di una delega per la pubblica amministrazione conferitagli dallo stesso procuratore capo. I due magistrati furono deferiti al CSM dal Procuratore per illegittima interferenza nelle indagini del processo e i Maiolica furono imputati di lottizzazione abusiva, nonostante la chiara pronuncia della Cassazione in senso contrario. È chiaro che questo loro status di imputati connotava negativamente le affermazioni dei due Procuratori Aggiunti (sembrava quasi che volessero intercedere in favore di presunti colpevoli). Un’archiviazione, già all’epoca dovuta, avrebbe dato ragione ai Procuratori Aggiunti e il loro intervento sarebbe stato considerato doveroso per degli innocenti indagati. Chi li ripagherà mai delle ingiustizie subite, visto che il Tribunale ha mandato assolti tutti perché i fatti non sussistono e che la sentenza, in altre parole, conferma la linea di rigore e di legalità seguita dai due procuratori aggiunti nel richiedere le notizie che ad essi andavano date. In caso contrario neppure la sentenza arrivata a scoppio ritardato, e non per colpa della seconda sezione penale presieduta da Vincenzo Siani, può essere compresa ed accettata alla fine di un processo che ha determinato vari altri processi ed ha sconvolto non solo le vite personali degli indagati ma anche un’intera Procura della Repubblica.
Del resto il tema della giustizia immediata, senza ritardi, è stato oggetto di riflessioni fin dall’antichità. “Se riconosci che qualcosa è ingiusto, cerca di impegnarti subito a porre fine all’ingiustizia: perché mai aspettare l’anno prossimo?” (scriveva in un suo approfondimento il penalista avv. Giovanni Falci, difensore dei Maiolica, in data 11 giugno 2013 dal titolo “”GIUSTIZIA: chi controlla i controllori ?, dal Sea Park ai giorni nostri”” e pubblicato da questo giornale). Una frase, quella citata da Falci, attribuita a Meng Tzu, ossia il maestro Meng, uno dei più celebrati pensatori cinesi di matrice confuciana vissuto tra il IV–III sec. a.c. E’ una lezione semplice di etica e di vita che potremmo accogliere senza esitazione anche noi: la prontezza nel rendere giustizia. Molte volte -continua sempre Falci- è forte la tentazione di rimandare con la sottile speranza che le tensioni si stemperino, che le difficoltà si dissolvano, che le ingiustizie si appianino. Qualche volta, però, come nel caso in oggetto, può accadere che i problemi si aggravano, le situazioni si incancreniscono, i grovigli si infittiscono. La lentezza nelle decisioni deve valere solo per lasciare spazio alla riflessione e per evitare il colpo di testa o l’irruenza dell’istinto, non può servire per trascinare per le lunghe i propri doveri o peggio ancora per divenire strumentale ad altri fini. Questo concetto è così universale che lo si ritrova anche nel monito biblico, quindi anche in un’altra fede religiosa: “non dire al tuo prossimo: va, ripassa, te lo farò domani! Se tu hai ciò che ti chiede”. Non è finita! (aggiunge Falci) In molti, come me, seguirono il procedimento dinanzi al CSM a carico dei due Procuratori Aggiunti, trasmesso da Radio Radicale. Chi mastica almeno un poco di diritto rimase non poco perplesso da quanto stava avvenendo innanzi la II sez. disciplinare dell’organo di autocontrollo: a distanza di molti mesi dall’entrata in vigore della legge Mastella di riforma dell’ordinamento Giudiziario, che prevedeva la procedura con il codice Rocco del 1930 per i fatti commessi fino al giugno 2006 e del codice Vassalli per quelli commessi dopo tale data, la sezione disciplinare interpretò in modo alquanto singolare la legge più importante che la riguardava; decretò che nel caso in esame, riguardante i due aggiunti per fatti del 2004, andava seguita la procedura del codice Vassalli, valida per i fatti dal giugno 2006 in poi. Alle repliche increduli dei due procuratori aggiunti la commissione del CSM si ritirò in una lunga camera di consiglio per studiare la legge e capire quale codice applicare. Uscì con un’ordinanza –per Falci sbagliata– in cui disse che, nel caso in oggetto, si applicava il Codice Vassalli mentre il Procuratore Generale della Cassazione, p.m. dell’udienza, continuava a ritenere che si dovesse applicare il codice Rocco del 1930, opponendosi, alla fine del dibattimento, alle memorie scritte conclusive degli incolpati per il motivo che il vecchio codice Rocco non permetteva tali forme di difesa. In buona sostanza, il CSM decise l’applicazione al procedimento del codice Vassali, ma agli incolpati non fu consentita la difesa effettiva sulla scorta di norme del codice Rocco. Il tutto in diretta radiofonica nazionale (registrato). La sentenza? Condanne, seppur lievi, per i due Aggiunti e una tardiva affermazione, nelle motivazioni scritte della sentenza del CSM, che al caso andava applicato il codice Rocco (dimenticando di citare l’ordinanza che in udienza aveva affermato esattamente il contrario). Sorvolo -conclude Falci- sulla validità giuridica dell’istruttoria in udienza; ricordo che il Presidente della sezione disciplinare, dopo la decisione sul codice da applicare (Vassalli), delegò la conduzione dell’esame del primo incolpato (atto a difesa) al p.m., cioè all’accusa; subito dopo il Presidente si ricredette e per il secondo Aggiunto delegò l’esame alla difesa. Nello stesso procedimento, cioè, per due situazioni analoghe, due diverse procedure. Un processo così in un Tribunale normale sarebbe stato una pacchia per la difesa in appello.
Ora se diamo per scontato che, nonostante qualche dubbio, i Maiolica avevano ragione e che gli stessi hanno già richiesto insieme ai lavoratori licenziati dall’Idealo Standard, in via civile, un risarcimento danni per oltre 30milioni di euro contro l’erario, sempre per parlare di colpa grave, mi sembrerebbe ingiusto che gli strali dei danneggiati si appuntassero solo verso il p.m. dell’inchiesta Gabriella Nuzzi; semmai gli strali dovessero appuntarsi seriamente e decisamente. Infatti, verrebbe da chiedersi, che cosa fecero tutti quegli altri magistrati che, pur potendo fermare l’ingiustizia (perché conobbero le carte), non intervennero per impedirla? Perché il CSM, davanti al quale le anomalie del procedimento furono evidenziate dai due aggiunti, non disse nulla, sanzionando invece questi ultimi? Perché non fece nulla il Procuratore Generale della Cassazione, che pure aveva potere di iniziativa? Nelle università insegnano che l’omissione di un intervento dinanzi ad un pericolo verso il quale si ha il dovere di intervenire, viene classificato dal diritto come concausa degli effetti dannosi successivi. Se ci riflettiamo il danno di 30 milioni di Euro che i Maiolica hanno dichiarato di vantare potrebbe avere diverse paternità! Infine, un’ultima domanda mi assilla: se il CSM fosse intervenuto diversamente, si sarebbe verificato o no, appena un anno dopo, quel conflitto tra la Procura di Salerno e la Procura di Catanzaro (del quale ho scritto nel precedente capitolo) che attirò gli anatemi del Presidente della Repubblica sugli Uffici salernitani e il fuoco purificatore della sezione disciplinare sui suoi sostituti a partire dal Capo, sanzionati pesantemente per eccessi inquisitori? Resta solo la consolazione, almeno per me, che il tempo è stato -come sempre- galantuomo. Quel procedimento disciplinare, celebrato con modalità degne dei processi storici raccontati ed analizzati da Franco Cordero in bellissime pagine di “vero Diritto”, è naufragato di fronte agli accadimenti che hanno reso giustizia agli imprenditori imputati.
Ed alla luce di tutto questo chi potrà mai risarcire i due procuratori aggiunti, Russo e Santoro, del danno morale e di quello economico per via dello stroncamento delle carriere ? Difatti se diamo per scontato la legittimità della sentenza di assoluzione per Vincenzo De Luca + 39 nel processo Sea Park come si fa a pensare che i due procuratori aggiunti fossero stati minimamente colpevoli di qualche reato. De Luca + 39 sono stati assolti perché i fatti non sussistono e, quindi, a maggior ragione non è mai esistito alcun fatto ascrivibile come responsabilità a Russo e Santoro. Ma questa è un’altra storia sulla quale bisognerà scrivere la verità.
Non bisogna comprendere l’ingiustizia solo quando si è oggetto della stessa, cioè quando si è toccati sul vivo. Io ho sentito il dovere di ricordare queste vicende giudiziarie e quelle vicende disciplinari per trasferire almeno un po’ dell’autenticità dell’impegno a reagire contro le ingiustizie, anche quando esse colpiscono gli altri. Io penso che il rigore morale costante e la coerenza sistematica sono la cartina di tornasole di una coscienza veramente etica. L’offesa inflitta all’altro deve lasciare anche una traccia nella nostra anima proprio perché ci dobbiamo schierare per la giustizia in sé e non solo per quella che va a nostro uso e consumo.
Conclusione: gli incolpati di allora hanno ottenuto giustizia dalla sentenza del Tribunale di Salerno, il loro accusatore e le sue fonti, invece, non si vedono più in giro nel nostro Tribunale. Ma le ombre, ovviamente, restano su tutta l’inchiesta ed anche sul processo storico durato diciotto lunghi anni e finito con l’assoluzione del principale imputato, Vincenzo De Luca, e degli altri 39 personaggi della cosiddetta “Salerno da bere”.
Penna calda ed inchiostro( oggi diremmo Web) avvelenato, questi i requisiti del vero giornalista, che Ella possiede. Chiara e puntuale, come sempre, la ricostruzione storico-politico-giudiziaria della vicenda esposta nell’ articolo. Saluti.