SALERNO – In tutta sincerità, lo confesso, pensavo che la sinistra fosse più attrezzata della destra a subire gli strali della satira. Non che la satira non esageri, spesso accade, ma che il principio ed il concetto non possono essere messi in discussione, questo mi sembra evidente. Eppure accade, e chi non riconosce è un imbecille, che quando la satira svergogna pesantemente quelli di destra tutto il mondo della sinistra plaude e si schiera in difesa dei principi portanti della libertà di critica. Non accade, però, la stessa cosa quando la satira tocca, anche leggermente, quelli di sinistra; in questo caso subito scendono in campo i “soloni” depositari unici (almeno così pensano loro !!) del sostantivo “cultura” disposti ad attaccare anche Cristo sulla croce pur di difendere, a volte, l’indifendibile. E’ stato in questi giorni il caso della vignetta di Riccardo Mandelli su Maria Elena Boschi che fin dalla sua prima apparizione in politica è oggetto, questo lo si deve riconoscere, di attacchi strumentali da più parti; nella vignetta, pubblicata da Il Fatto Quotidiano, si vedono le cosce della Boschi; apriti cielo, tutti ad attaccare Mannelli reo di aver travalicato i “confini della satira”, confini che esistono solo quando gli interessati sono di sinistra, perchè quei rimbambiti della destra non sono capaci di difendere neppure se stessi; reo anche, il Mandelli, di aver dimostrato con la vignetta di essere sessista (parere della presidente della Camera Laura Boldrini che non ha perso l’occasione per un nuovo intervento fuori luogo). Mi è piaciuta molto la risposta che Mandelli ha dato alle agenzie di stampa: “Non devo chiedere scusa, la satira è senza limiti”. Insomma si sono messi nella trappola da soli i grandi soloni della cultura di sinistra e visto che sono vittime dell’arroganza del potere manco se ne accorgono che continuando così aprono dinanzi a loro il sicuro viale del tramonto. La satira è satira e va sì rispettata; sempre, comunque e dovunque. Inutile cercare di marcare i confini di un terreno non facilmente perimetrabile se vuole evitare il rischio di scomparire sotto il regime della censura che tanto abbiamo tutti odiato in questo benedetto Paese. Quasi stucchevole il commento di Valeria Fedeli, vice presidente del Senato: “””Adesso anche la satira politica scade nel sessismo? Eravamo abituati ad una funzione importante, utile ed irrinunciabile della satira politica, anche di quella più graffiante e ‘cattiva’. Ora, non abbiamo nessuna intenzione di abituarci al suo scadere in un becero sessismo e, di conseguenza, alla sua inutilità. Quando si cede al sessismo o alla volgarità la satira diventa qualcosa di diverso. E’ una presunta satira che non fa ridere, è greve e persino imbarazzante””. Invece a me fa ridere la vignetta che raffigura la ministra mentre interviene munita di microfono, seduta su una sedia con un abito succinto che lascia abbondantemente scoperte le gambe accavallate; cosa ci sia di greve e di imbarazzante non riesco proprio a capirlo; in definitiva il satiro con la sua matita non ha fatto altro che rappresentare quello che in realtà molti hanno visto; tutto qui, altro che sessismo. Se, invece, le donne che si presentano pubblicamente in minigonna vogliono essere rappresentate con tanto di maglia accollata e di gonna sotto il ginocchio dovremmo chiedere a tutti i satiri di rappresentare la non realtà. Anche a questo una certa parte della sinistra vorrebbe ridurre la libertà di espressione e di critica. E cosa avrebbe dovuto dire Silvio Berlusconi in venti anni di vignette satiriche, quelle si graffianti, cattive e becere. Ma la sinistra non è nuova a queste reazioni reazionarie e fuori luogo. Non so quanti ricordano la battaglia legale intentata da Massimo D’Alema contro il mitico Giorgio Forattini (vignettista satirico di La Repubblica) che prima attaccò violentemente il vignettista e poi lo denunciò nel 1999 per una vignetta pubblicata da La Repubblica sul “dossier Motrokhin”; saltò addirittura una puntata di “Porta a Porta” che doveva parlare di satira e potere; una vicenda che si concluse nel 2001 con la dichiarazione di Forattini “Era satira, non fatti reali” e il perdono di D’Alema con la remissione della querela. Questo il fatto controverso che mise, però, Forattini in grande difficoltà (anche per via della richiesta di 3miliardi di danni richiesti da D’Alema al giornale) e presto il grande disegnatore preferì lasciare La Repubblica per confinarsi su “La Stampa” e poi scomparire del tutto dalla scena dopo aver, comunque, pubblicato a più riprese una vignetta che raffigurava un D’Alema invisibile.
Ma c’è anche il caso della tempesta di querele che Antonio Di Pietro (con causa intentata nel 1996) contro Vittorio Feltri per i suoi editoriali su “Il Giornale” che dirigeva. Nel 1997 la querelle fu appianata grazie ad un accordo che riconosceva a Di Pietro il risarcimento di 400milioni di lire + 55milioni per gli avvocati difensori; una bella sprangata per la famiglia Berlusconi, editrice del quotidiano. Poco dopo Feltri fu costretto a dimettersi e per riassumere la direzione de Il Giornale ha dovuto attendere ben 19 anni; difatti da un paio di mesi è ritornato alla direzione del quotidiano milanese che in pratica non aveva mai definitivamente lasciato. Questa è la libertà di stampa, di critica e di pensiero che i soloni della sinistra vorrebbero ? Non tocca a me rispondere; io faccio soltanto il giornalista che registra i fatti e li commenta.