SALERNO – La nascita legittima di quello che oggi tutti stigmatizzano come il “sistema di potere deluchiano” sembra essere avvenuta la notte tra il 22 e il 23 maggio 1993 quando a Vincenzo De Luca toccò il compito di sostituire il sindaco dimissionario Vincenzo Giordano che, poi, nella serata del 31 maggio 1993 verrà arrestato. De Luca divenne sindaco sulla base di un accordo partitico tra la DC, il PSI, il PRI, il PSDI e forse anche il PLI (sigle ormai scomparse); un accordo che il neo sindaco fece presto saltare lasciando la città nelle mani di un commissario prefettizio (Antonio Lattarulo, poi additato di essere funzionale ai Servizi Segreti) e riprenderla legittimamente il 5 dicembre 1993 dopo il ballottaggio elettorale stravinto nei confronti di
Pino Acocella, espressione dell’ultimo maldestro tentativo della DC di riprendere le redini della città; un tentativo che presto si rivelò come uno strumento nelle mani del gran visir di Nusco. In quella occasione, come in altre successive, i voti della destra furono spostati verso sinistra per favorire l’astro nascente De Luca in danno di una DC che l’MSI non aveva mai sopportato. In pratica i plenipotenziari del MSI (Gaetano Colucci e forse anche Vincenzo De Masi) spinsero i loro elettori a privilegiare la vittoria di Vincenzo De Luca su Pino Acocella che dalla tornata elettorale regolare usciva con un sostanziale vantaggio rispetto al suo avversario storico. Tra il maggio e il dicembre 1993 erano, però, accaduti fatti molto importanti e c’erano stati clamorosi arresti, primo fra tutti quello del sindaco dimissionario Vincenzo Giordano. C’è anche un momento particolare sul quale nessuno ha mai posto la necessaria attenzione; il 23 giugno 1993 venne arrestato uno dei personaggi più importanti dell’allora PSI; quest’ultimo dal carcere di Fuorni indirizzò al Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, una lunghissima lettera che era ed è agghiacciante per contenuti e per verità storiche; verità che aprono uno squarcio sulla datazione della vera nascita del potere deluchiano, forse anche a sua insaputa. Al centro della lettera, il cui contenuto è tuttora da studiare, il vero problema della caduta rovinosa del sistema precedente e cioè la famigerata “delibera 71/89” che aveva fissato gli standard urbanistici per la successiva progettazione e approvazione del nuovo piano regolatore generale. Una manovra tutta di sinistra che nel privilegiare le esigenze di verde e spazi urbani della cittadinanza metteva (non so quanto in maniera non voluta !!) in gravi difficoltà tutti quelli che avevano già sponsorizzato la cosiddetta imminente “colata di cemento”. Quella lettera, ovviamente, evidenziava anche alcune pecche in quanto non indicava le modalità e i parametri di scelta delle imprese facenti capo alle grandi famiglie da includere nel grande affare del rifacimento urbanistico della città. In quella battaglia senza esclusione di colpi si scontrarono interessi non solo di imprese e di famiglie ma anche di politici importanti che, dall’avellinese e dal napoletano, volevano allungare le mani sulla città di Salerno.
Tutto questo Vincenzo Giordano lo aveva capito benissimo ma non aveva fatto neppure un passo indietro di fronte alle pressioni, forse anche del suo partito, che venivano dall’alto a tutela di interessi miliardari; e la delibera 71/89 fu approvata tra malumori, contestazioni e dure prese di posizione sul piano politico. In città spuntarono come funghi diverse società che, con il modello delle scatole cinesi, prefiguravano precisi obiettivi di conquista e nascondevano sapientemente nomi e cognomi di tutti coloro che navigavano in direzione opposta all’amministrazione comunale. In questo anche il PCI non fu secondo a nessuno, e se in città nascevano le società di cui sopra nella stessa città arrivarono anche le famose o famigerate Cooperative Rosse, tutte facenti capo allo scatolone contenitore centrale del C.C.C. (Consorzio Cooperative Costruzioni) con una sede tutta emiliana ed a livelli internazionali. E qui si aprirebbe un ragionamento storico che qualche volta è stato semplicemente affacciato e mai seriamente affrontato e snocciolato in tutte le sue articolazioni. Basterebbe un dato di natura economica per dare la giusta dimensione di quello che accadeva in quegli anni tempestosi e di grandi iniziative tecnico-urbanistiche.
In quel periodo su tutto il territorio provinciale furono messi in campo lavori pubblici per circa duemila miliardi di lire tra nuove infrastrutture e rifacimenti urbani che dovevano andare a riparare anche i buchi evidenti lasciati dalla “legge 219 del 1981” che non era riuscita a ridare alle zone devastate dal terremoto dell’80 tutta la loro originalità. Ebbene di quella mostruosa somma di denaro pubblico calata nella realtà salernitana soltanto duecento miliardi (circa !!) furono appannaggio delle società nate in città e ben 1.800 miliardi andarono nelle casse del CCC per conto di tutte le cooperative rosse. Più avanti ritornerò sul CCC, intanto mi preme ricordare a tutti che tra le società cittadine la più importante e potente era senza dubbio quella denominata “Iniziativa ‘90” (che ancora oggi possiede l’area ex Marzotto) costituita da potenti uomini politici nascosti dietro il paravento di precisi prestanomi e grossi imprenditori degli anni ’80; imprenditori che venivano fuori dalla guerra intestina senza esclusione di colpi e che si avvicinavano al primo partito dell’epoca (P.S.I.) in un movimento di trasmigrazione verso la sinistra moderata in danno della D.C. dominata da Ciriaco De Mita e da tutti i politici avellinesi che avevano fatto di tutto, riuscendoci, per mettere l’uno contro l’altro gli unici due politici nostrani: Carmelo Conte e Paolo Del Mese. Il gioco non resse e le grandi imprese, abituate a discorsi ondivaghi fuorvianti, fecero in fretta a pentirsi ed a trasferirsi armi e bagagli verso gli antichi lidi che, nel frattempo, grazie allo strapotere delle Cooperative Rosse faceva incetta di lavori pubblici lasciando agli altri soltanto piccoli contentini. Così venne fuori il periodo più buio e devastante tra il potere politico e quello imprenditoriale-economico; diversi importanti gruppi imprenditoriali che avevano abbandonato De Mita per planare sulle presunte più comode spiagge di Conte si dovettero rapidamente ricredere per due ordini di motivi: in primo luogo perché il PSI era parzialmente bloccato dalle sue stesse delibere (leggasi delibera 71/89) ed in secondo luogo perché le esigenze di natura economica del PSI (in crescita tumultuosa) si appalesavano ogni giorno che passava molto più grosse di quelle fino a quel momento pretese dalla DC che governava da decenni e godeva di un plafond medio-basso di percentuali a favore della progettualità politica per la successiva spartizione dei grandi lavori pubblici. E cominciò la corsa all’indietro con molti imprenditori disponibili al ritorno nella casa d’origine e, soprattutto, a riempire di confessioni e pentimenti i faldoni delle inchieste giudiziarie che nel frattempo la magistratura locale, forse spinta dalle “grandi famiglie”, incominciava ad avviare quasi sempre ed esclusivamente nei confronti di personaggi legati al mondo del PSI di Carmelo Conte.
A tutela dei corposi interessi delle Cooperative Rosse era presente a Salerno un personaggio d’altri tempi, tale Giovanni Donigaglia detto “gamba di legno” per via di una sua menomazione fisica; a curare, invece, gli interessi di quel PSI che stava emergendo e conquistando la città di Salerno vennero chiamati due tecnici, gli ingegneri Raffaele Galdi e Franco Amatucci che la propaganda comunista additò come “compassi d’oro” in senso dispregiativo. Ma la realtà era diversa e complessa; se da un lato Donigaglia gestiva a suo piacimento e da solo i circa 1.800 miliardi di denaro pubblico, dall’altro lato i due “compassi d’oro” si ritrovarono a gestire, tra scontri e pretese, i 200 miliardi complessivi di lavori che dovevano essere effettuati direttamente in città. E’ vero che in città sembrava tutto bloccato nelle mani dei socialisti ma è altrettanto vero che nessuno degli imprenditori di punta e/o delle grandi famiglie riuscì ad allungare lo sguardo su quello che accadeva nel restante territorio provinciale su cui gravava tutto il peso del PCI con qualche piccola frangia della DC. Altrettanto vero è il fatto che il PSI si arroccò a difesa degli interessi disponibili in città e tolsero lo sguardo da quanto accadeva fuori, ed inevitabilmente persero la battaglia anche perché una sparuta pattuglia di magistrati, tutti ritornati nella Procura di Salerno casualmente e nello stesso periodo dopo essere stati allontanati per una serie di ragioni variegate ma tutte riconducibili al partito socialista, riuscì a mettere nell’obiettivo giudiziario alcuni punti focali in grado di determinare l’avvio di quella ondata giustizialista passata alla storia con il nome di “tangentopoli salernitana”. Due i punti deboli messi sotto osservazione: lo studio tecnico Galdi/Amatucci e la Fondovalle Calore. Due inchieste nate sull’onda di numerosi esposti anonimi e, soprattutto, su precise indicazioni prodotte dai “servizi segreti” attraverso l’attività regolare e visibile della Guardia di Finanza e di un suo “servizio centrale” che soltanto dal 1991 prenderà il nome di “Scico”. Insomma, per farla breve, a Salerno calarono i super ispettori ministeriali che con l’appoggio delle notizie rilevate dall’agenzia salernitana dei servizi di sicurezza (con sede al Corso Garibaldi, di fronte al Tribunale) andarono subito a colpire lo studio tecnico Galdi/Amatucci che nel frattempo era molto cresciuto ed aveva disteso il suo controllo su tutti, o quasi, i lavori pubblici salernitani. In quel periodo accadde anche un fatto inquietante che, comunque, non servì per fermare l’ondata giudiziaria; si parlò di un incontro segreto tra un giornalista, un magistrato, un esponente dei servizi segreti ed uno della Guardia di Finanza, in quell’incontro sempre secondo le indiscrezioni furono scambiati alcuni fascicoli riservati sui punti deboli da prendere di mira con l’obiettivo delle inchieste. Ma l’incontro fu anche fotografato e le fotografie furono inviate a “Il Mattino” di Napoli; non furono mai utilizzate per scagionare i socialisti e l’allora direttore Pasquale Nonno smentì la loro esistenza anche in sede giudiziaria. La mattina del 16 aprile 1992, due giorni dopo le elezioni politiche nazionali (che non hanno cambiato il quadro politico nazionale ma che hanno fatto registrare il picco verso l’alto dei consensi personali di Conte e Del Mese) gli uomini della Guardia di Finanza sequestrano e sigillano lo studio tecnico più potente del momento; la stampa veleggia subito contro i due ingegneri Galdi e Amatucci pompando nell’immaginario collettivo la loro specificità di essere “compassi d’oro”, volendo far credere che tutto quello che avveniva in quello studio era assolutamente fuori dalla legge.
Con la GdF arriva nello studio anche il pm Michelangelo Russo, attento, motivato e già esperto di inchieste sulla pubblica amministrazione e sui lavori pubblici (non a caso proveniva dalla Procura di Milano); il magistrato arrivò anche a rilevare (ma questo era nei suoi diritti-doveri) che sulla porta d’ingresso dello studio non c’era come al solito una targa indicante il nome dei professionisti ma soltanto una targhetta con un semplice nome e cognome “Carmelo Conte”. Questo non solo indispettì visibilmente il magistrato inquirente ma riuscì anche a coinvolgere negativamente l’opinione pubblica; per molti quella targhetta ebbe un effetto narcotizzante e tutti videro un eccesso di potere del politico Carmelo Conte che all’epoca era ministro e che con quella targhetta aveva, forse, inteso coprire di immunità lo studio tecnico. E fiorirono congetture ed ipotesi, una più devastante dell’altra; ma montarono anche violenti polemiche contro il magistrato che non si era fermato alla vista della targhetta e non aveva provveduto a richiedere la giusta autorizzazione al Tribunale dei Ministri prima di forzare l’uscio ed entrare in una residenza che, all’apparenza, apparteneva ad un ministro della repubblica. Questo a mio avviso fu il momento più importante di quella stagione di inchieste giudiziarie; in quel momento tutti capirono che il potere del ministro Conte e del PSI si stava appannando e sfaldando a tutto vantaggio dell’enorme potere economico delle Coop Rosse che stava travolgendo tutto e che attirava verso se, come mosche, quasi tutti gli imprenditori che avevano spalleggiato e fortificato il PSI. Il gioco era fatto; le fasi successive, viste con il senno di poi, sembrano avallare questa mia teoria: il 12 maggio 1992 arriva a Salerno mons. Gerardo Pierro vero e proprio pontiere tra De Mita e De Luca; il 7 luglio dalla Procura filtra la notizia che nello studio tecnico Galdi/Amatucci era stato sequestrato un timbro del Comune; il 23 luglio arrivano i primi sei clamorosi arresti per la decapitazione del gotha dell’appalto pubblico miliardario della “Fondovalle Calore”. Il gioco era fatto ? A distanza di anni si può rispondere in maniera affermativa e senza ombra di dubbio. Il vero potere economico, da quel giorno dell’aprile del 1992, si spostò piano piano ma inarrestabilmente verso nuovi e più accoglienti lidi, oltretutto anche più sicuri per quanto riguardava l’aspetto giudiziario che non era e non è da trascurare. Bisognerà, però aspettare poco più di un anno, dal 16 aprile 92, prima che nella serata del 22 maggio 1993 venisse eletto sindaco, per la prima volta, Vincenzo De Luca. Nel frattempo era accaduto di tutto e di più e molti personaggi della vita politica e sociale, quasi tutti socialisti, erano finiti dietro le sbarre delle patrie galere. Ed infine arrivò il patto che suggellò la santa alleanza tra la politica, l’imprenditoria e le grandi famiglie; un’alleanza che regge ancora oggi.
Presso l’hotel “La Lucertola” furono chiamati a raccolta tutti i grandi imprenditori e le grandi famiglie alla presenza, si dice, anche di un magistrato e di un giornalista (forse quelli dell’incontro riservato fotografato l’anno prima !!); era il giorno 3 dicembre 1993, venerdì, e si concludeva la campagna elettorale per il ballottaggio e il politico di riferimento aveva un nome ed un cognome: Vincenzo De Luca. Questi, dunque, i fatti e non chiacchiere che determinarono la “svolta di Salerno” e l’ascesa al potere dell’attuale governatore della Campania.