SALERNO – A mio giudizio quando si parla o si scrive di quello che accade giudiziariamente intorno alla figura di Alberico Gambino, consigliere regionale di FdI, bisogna necessariamente tenere presente che si parla o si scrive di accadimenti che vanno ben “oltre la realtà”. Soltanto così si può capire per grandi linee, ma non giustificare, come si sta muovendo il variegato mondo della giustizia nei confronti di Gambino che è stato votato da una marea di elettori, i quali prima degli altri (anche dei giornalisti !!) hanno capito che davvero siamo fuori della realtà. Neppure lo stesso Alberico Gambino riesce a realizzare in quale tipo di vortice tritatutto si è, suo malgrado, ritrovato da quella maledetta mattina del 15 luglio 2011 quando inaspettatamente venne arrestato alla stregua di un boss della camorra e trascinato nelle patrie galere. Da tempo scrivo di giudiziaria, da sempre gli atteggiamenti ondivaghi della magistratura (non della giustizia !!) non mi convincono così come non ho mai apprezzato la frase “ho fiducia nella giustizia” che ogni indagato di un certo peso pronuncia nell’immediatezza dei fatti che gli vengono contestati. Fa parte del gioco, lo comprendo, che si attiva tra indagato e magistrato, con il primo attento a non urtare la suscettibilità umana del secondo; quasi come se il giudizio possa o debba dipendere dall’atteggiamento remissivo o altezzoso dell’indagato. E se vogliamo dirla tutta non possiamo non ricordare che il momento dell’arresto va incastonato in un periodo abbastanza lungo durante il quale, un giorno si e l’altro pure, la figura del sindaco più votato d’Italia veniva strapazzata dai media su suggerimenti precisi degli inquirenti; insomma Alberico Gambino già molto prima dell’arresto del 2011 era entrato in un tritatutto inquietante anche a causa, forse, del suo atteggiamento scanzonato, superficiale e apparentemente arrogante anche nei confronti degli investigatori e dei magistrati. Molti anni fa venne disgraziatamente arrestato un mio amico che poi fortunatamente venne prosciolto da tutte le accuse; ma mi colpì il commento del pm Alfredo Greco (un magistrato di grande spessore) sull’apparente strafottenza del mio conoscente. Cercai di chiarire che l’indagato era fatto così, che proiettava verso l’esterno un’immagine soltanto caratteriale con un risolino sotto i baffi che a chi non lo conosceva dava davvero fastidio. Il pm capì e ritornò ad interrogarlo riuscendo a fare piena luce sull’irragionevolezza delle accuse. Non so, oggi, quanto l’atteggiamento che Gambino promana verso l’esterno possa aver inciso nell’immaginario di tutti gli inquirenti che lo hanno indagato a lungo e che continuano ad indagarlo ancora oggi con quell’assurda ed incredibile vicenda del poliziotto che avrebbe passato a Gambino notizie sulla evoluzione delle indagini ai tempi di “Linea d’ombra”. Sembra che il poliziotto sia stato rinviato a giudizio (probabilmente anche per altri fatti) e certamente Alberico Gambino è stato sentito come teste ex art. 210 perché indagato in procedimento connesso; il tutto senza che il consigliere regionale ne sapesse assolutamente nulla. Ma il capolavoro, oltre la realtà, l’ha compiuto la Corte di Apello con la sentenza sul filo di un equilibrismo degno della giustizia della prima repubblica, quando si diceva e si faceva tutto e il contrario di tutto. E’ necessario, naturalmente, aspettare le motivazioni per capirne di più; capisco l’esigenza di tamponare una Procura decisamente aggressiva nei confronti dell’imputato, comprendo anche che dopo tutto quello che è accaduto non è umanamente possibile cancellare con un colpo di spugna anni di attività investigativa, ma condannare una persona per una cavolata mi sembra abbastanza inquietante. Giusto, per me, lo sfogo di Alberico Gambino all’indomani della sentenza: “”Cinque anni di sofferenze e patimenti sono stati necessari per acclarare, attraverso due sentenze della giustizia italiana, che sono una persona perbene che nulla ha mai avuto a che fare con la camorra e la delinquenza organizzata. Gli stessi anni non sono bastati per convincere i giudici che anche il reato di concussione attribuitomi, per aver indotto un’assunzione mai avvenuta, non è stato da me commesso. Nel pieno rispetto della sentenza di appello ricorrerò,fiducioso, in cassazione per eliminare anche quest’ultima macchia che mi addolora. Ringrazio gli Avvocati Giovanni Annunziata e Alessandro Diddi, miei angeli custodi, per gli sforzi professionali profusi a tutela della mia innocenza e per la vicinanza umana che mai mi hanno fatto mancare. Proseguo la mia azione politica ed istituzionale, in virtù’ del consenso popolare ricevuto di cui vado fiero, al servizio dei cittadini e dei territori avendo registrato, peraltro e proprio stamane, il rigetto del ricorso amministrativo – con sentenza definitiva del Tar Napoli – formalizzato dal NCD di Benevento e finalizzato a privare FDI del seggio conquistato in Provincia di Salerno. Risultato ottenuto grazie al lavoro degli Avvocati Nicola Scarpa e Lorenzo Lentini””; uno sfogo che non offre spunti per atteggiamenti remissivi ma neppure di contrasto irriguardoso nei confronti della magistratura. Traspare, comunque, dalle righe della nota stampa un’amara delusione da parte del consigliere regionale che ha la passione della politica intesa come servizio per gli altri e che fa politica da tantissimi anche a prezzo di durissimi sacrifici sul piano personale ed economico. La Corte di Appello di Salerno, presieduta dal dr. Claudio Tringali, ha per un verso cancellato la macchia di collusione con la camorra su cui venne incastonato il processo “Linea d’ombra” che il Tribunale di Nocera Inferiore aveva già in buona parte cancellato, e per l’altro verso dato sostanza all’accusa di concussione per un’assunzione al lavoro mai avvenuta, quella di Antonio Fisichella presso il distributore di carburanti all’interno del centro commerciale Pegaso di Pagani. Per questo unico capo di accusa è stato condannato anche il rag. Giuseppe Santilli ritenuto l’autore materiale della presunta assunzione in quanto titolare, all’epoca, di uno studio di consulenza del lavoro nonché consigliere comunale in quella sfortunatissima amministrazione di Gambino; un serio e preciso consulente che la Procura da anni ha indicato come la “mente occulta” del cosiddetto “Sistema Pagani”; niente di più assurdo. Ma Antonio Fisichella, uomo cardine per la condanna, chi è ? Per la giustizia è un pregiudicato in cerca sempre di nuove avventure malavitose; per la cronaca di vita potrebbe anche essere soltanto un soggetto che dopo aver sicuramente sbagliato ha cercato di ottenere un lavoro normale per garantire la sopravvivenza della sua famiglia. Del resto un criminale potente ed incallito non si sottoporrebbe mai ad un ingrato lavoro dipendente che potrebbe solo scalfire la sua immagine di boss; qui siamo di fronte, a mio avviso, ad un soggetto che si è rivolto alla politica per riprendere la sua vita di normalità dopo il carcere. E chi se non la politica deve garantire il recupero e il reinserimento nella società civile di questi soggetti che, pur avendo sicuramente sbagliato, sono pur sempre degli esseri umani che vanno aiutati e supportati. Insomma Alberico Gambino e Giuseppe Santilli sono stati condannati in appello per aver fatto, o cercato di fare, un’azione di grande spessore sociale; questa è la verità. Bella giustizia, non c’è che dire; ora non rimane che aspettare con fiducia la Cassazione ben sapendo che la Corte di Apello ha sancito che gli imputati Gambino e Santilli non sono assolutamente riconducibili a connessioni con la camorra che la Procura fino all’ultimo, utilizzando pentiti a singhiozzo ed alla ricerca di interessi privati, ha cercato di sostenere. Oltre la realtà, questo è stato il processo “Linea d’ombra”.
direttore: Aldo Bianchini