Aldo Bianchini
SALERNO – Mi è parso necessariamente utile incentrare il contenuto della decima puntata di “Dossier Salerno” su un recentissimo fatto di cronaca, perché la cronaca nei suoi punti salienti deve essere subito storicizzata. E’ giusto, quindi, che la cronaca entri a pieno titolo nella mia inchiesta che, lo ribadisco, rimane un’inchiesta giornalistica portatrice di tutti i difetti e le carenze che un’inchiesta giornalistica porta inevitabilmente sempre con se. Il fatto di cronaca, è bene chiarirlo subito, è la prevedibile e quasi annunciata archiviazione della posizione del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, nella clamorosa inchiesta giudiziaria che, appena qualche mese fa, aveva profondamente scosso la politica dell’intero Paese ed aveva sollecitato l’interesse di tutti i media nazionali con risonanza anche su testate giornalistiche mondiali quali il New York Times, la BBC e la CNN. L’inchiesta era esplosa in seguito ad alcune intercettazioni telefoniche ed ambientali ordinate dalla Procura della Repubblica di Roma, nei giorni a cavallo di due importanti decisioni del Tribunale di Napoli sul caso De Luca-legge Severino, per raccogliere elementi di prova sulle eventuali illegalità commesse dalla giudice Anna Scognamiglio, relatrice di due sentenze consecutive per l’applicazione della “legge Severino” nei confronti di Vincenzo De Luca. In pratica dalle prime indiscrezioni, che la stessa Procura di Roma fece uscire a piene mani dai segreti istruttori, sembrava (per non dire certo) che la giudice avesse manipolato le sentenze per favorire il governatore in cambio di una promessa di nomina dirigenziale in favore del marito Guglielmo Manna nell’ambito della sanità pubblica campana. Nella vicenda furono inseriti anche Giuseppe Vetrano (ex coordinatore delle liste De Luca per le regionali), Giorgio Poziello e Gianfranco Brancaccio ed infine Carmelo Mastursi (capo della segreteria personale di Vincenzo De Luca e responsabile di tutte le operazioni per la composizione di tutte le liste elettorali a qualsiasi livello, dalle comunali alle regionali, passando per le provinciali; già sentito dai magistrati di Salerno per il presunto scandalo del tesseramento 2012 e primarie 2013). Poziello e Brancaccio (sempre secondo le indiscrezioni scucite dalla Procura capitolina) avrebbero avuto il ruolo di intermediari tra le due estremità dell’inchiesta: da un lato chi avrebbe indotto (Scognamiglio) e dall’altro chi avrebbe raccolto il beneficio. La Scognamiglio, in pratica, avrebbe combinato tutte le operazioni dell’offerta di un verdetto benevole che sancisse l’inapplicabilità della Severino (attraverso Mastursi, Manna, Poziello, Brancaccio e Vetrano) per favorire De Luca ed ottenere una nomina per il marito. Quindi, come dicevo, c’è un “istigatore” (la giudice) e un “utilizzatore finale” (il governatore) con intorno altri personaggi di secondo piano; in tutto sette persone coinvolte e travolte dall’inchiesta. L’inchiesta, condotta dai pm Corrado Fasanelli e Giorgio Orano coordinati dal capo della Procura Giuseppe Pignatone (sessantasettenne siciliano di Caltanissetta), sembrava essere quella conclusiva per le sorti già traballanti del governatore della Campania che poteva essere travolto definitivamente in pochi giorni; ma il tempo che cominciava a trascorrere (l’esplosione del caso è registrata agli inizi di novembre del 2015), quello che sembrava dover avvenire nel giro di pochi giorni si allungava nel tempo e la cosa promanava una puzza molto strana, tanto che su questo stesso giornale in data 17 dicembre 2015, nel contesto dell’articolo titolato “Caimangate: da Manna a Manna … passando per Mastursi e Pignatone”, avevo testualmente scritto: “Un episodio, questo, che vede coinvolti sei personaggi (Mastursi, Manna, Poziello, Brancaccio, Vetrano e il giudice Anna Scognamiglio) sui quali stanno indagando ben tre magistrati della Procura della Repubblica di Roma (Giuseppe Pignatone, Giorgio Orano e Corrado Fasanelli) che sembrava andassero di fretta e che, invece, si stanno arenando nelle secche dei rinvii e delle incertezze. E’ vero che nella fattispecie si parla di un magistrato in odore di corruzione ma è altrettanto vero che la giustizia non può tenere in sospeso tutto e tutti; sembra quasi che anche la Procura di Roma tentenni nell’attesa della pronuncia della Corte Costituzionale sulla legge Severino per potersi liberare del governatore della Campania senza colpo ferire”. Questa era la puzza che avvertivo e che si avvertiva a naso e che non mancai, come sempre, di trasferire ai lettori. Ma in quella occasione misi in evidenza anche un altro aspetto della vicenda che oggi assume una veste particolare che poi cercherò di spiegare; parlando di Mastursi scrissi: “Il primo coinvolto nella vicenda è senza dubbio Nello Mastursi, padulese di nascita e salernitano d’adozione; negli anni d’oro del PSI di Carmelo Conte era entrato nel partito (grazie anche al gruppo Pinto di Padula !!) e in quella corte era subito arrivato nel cerchio magico in cui, però era mal digerito, soprattutto dal re della finanza del partito, Enrico Zambrotti, che in più occasioni aveva consigliato il ministro di liberarsi dell’incauto Mastursi mandandolo, semmai, a vendere collanine sul lungomare di Salerno. Appena tangentopoli cominciò a travolgere Conte e il partito, Nello Mastursi emigrò alla costituenda corte di Vincenzo De Luca e presto entrò in quel cerchio magico che ancora oggi governa la regione, la provincia e il comune di Salerno, fino ad assurgere a posizioni di assoluto potere decisionale; difatti era lui l’uomo macchina-elettorale dell’egemone partito provinciale. Un errore strategico di De Luca o una spinta in avanti troppo rischiosa da parte di Mastursi ? non è facile capire, sta di fatto che al momento sembra che tutte le responsabilità della marea di accuse ricadano soltanto sulle spalle del padulese che, nel frattempo, essendo stato brutalmente scacciato dal kaimano è letteralmente scomparso della scena pubblica e si è opportunamente isolato da tutti. Vedremo cosa accadrà nei prossimi passaggi dell’intricata vicenda giudiziaria”. Avevo ampiamente descritto il “personaggio Mastursi” e ritorno a parlarne perché ora come allora lo ritengo il personaggio chiave di tutta l’inchiesta insieme, naturalmente, al marito della giudice, l’avv. Guglielmo Manna sul quale, sempre in quell’articolo sopra citato avevo scritto: “… un nome che è tutto un programma in quanto (almeno dal cognome !!) fa subito riaffiorare i ricordi di quel famoso Manna, di nome Angelo, che negli anni ’70 dalle frequenze di Canale/21 bacchettava pesantemente tutta la metropoli partenopea e non solo. Grazie alla sua trasmissione televisiva Manna fu anche eletto alla Camera dei Deputati per concludere, poi, la sua carriera bruscamente in seguito ad una vicenda giudiziaria mai chiarita che lo travolse. Ma come sempre accade in ogni vicenda giudiziaria che si rispetti due i soggetti particolari: un anello debole e un corvo”. E’ necessario, quindi, partire da questi due personaggi per capire di più e meglio i meandri ancora inesplorati della terrificante (ma solo all’apparenza !!) vicenda giudiziaria. E dobbiamo porci almeno due domande iniziali: se Mastursi era l’uomo che Zambrotti ridimensionava così pesantemente come mai nella mani di De Luca è assurto a ruoli di potere assolutamente al di fuori della media ? e ancora, perché la Procura di Roma ha disposto le intercettazioni sul telefonino della giudice, del marito della stessa e di Mastursi ? Il telefonino di un giudice non si mette sotto intercettazione per una cavolata e per farlo qualcosa di grosso doveva pur essere emerso nei pochi giorni di metà luglio 2015 compresi tra le due sentenze favorevoli al kaimano. Rimane, perciò, un grosso dubbio su tutta l’inchiesta, cioè la probabile esistenza di un corvo che sentendosi trascurato o maltrattato aveva deciso di parlare nei pochi giorni tra il primo e il secondo provvedimento (una decina di giorni in tutto) e di riferire cose gravissime che, badate bene, andavano accertate in ogni loro aspetto prima di passare alla fase drammatica delle misure cautelari che un caso del genere prevederebbe ampiamente; qui potrebbe trattarsi di corruzione di un magistrato in atti giudiziari e non di bruscolini. Ma allora perché (terza domanda) la Procura di Roma decise di anticipare i tempi e di rendere di pubblico dominio l’iniziativa in corso e di far scoppiare lo scandalo agli inizi di novembre 2015 ?, per eccesso di cautela o per ridurre l’inchiesta allo stato in cui attualmente si trova ? Fino ad oggi non si ha nessuna certezza dell’esistenza di un corvo, anche se le vicende che continuano ad accadere in Regione, soprattutto per la sanità, lasciano pensare ampiamente all’esistenza di un delatore tuttora assolutamente non identificato. Il rischio del fattore tempo che avevo avanzato nell’articolo del dicembre scorso si è palesato, oggi, in tutta la sua consistenza a compendio di un’inchiesta che fin dall’inizio non mi ha mai convinto per come si è lentamente dipanata nel tempo. L’evoluzione della stessa è stata, a dir poco, irrituale; difatti la storia giudiziaria insegna che un’inchiesta di pari dignità esplode sicuramente con la richiesta delle misure cautelari e dopo con l’uscita (a volte anche contestuale) più o meno normale di tutte le indiscrezioni, le intercettazioni, le verifiche e gli interrogatori; tutta roba data in pasto ai media dagli stessi inquirenti. In questo caso è accaduto il contrario, in questo caso è stato pubblicizzato tutto prima, come se ci fosse stata la necessità di rendere poco credibili i contenuti delle indagini fin lì portate avanti. Una prassi che sconvolge la strategia investigativa seguita dalla stessa Procura di Roma per altre clamorose inchieste, prima fra tutte quella di “Mafia Capitale” dove oltre a farci sapere tutto dopo i provvedimenti si è arrivati alle condanne di primo grado nel giro di un anno o poco più; sembrava di assistere ad un nuovo modo di fare giustizia che invece di essere insabbiata nello storico “porto delle nebbie” capitolino veniva prepotentemente rilanciato su scala nazionale: indagini, intercettazioni, perquisizioni, raccolta di prove, verifiche e provvedimenti; il tutto in un unico pacchetto da offrire all’opinione pubblica attraverso la stampa. Perfetto !!, sono stati sufficienti pochi mesi, però, per ribaltare tutto ed anche per rovesciare uno dei principi che la Procura di Milano, avversaria storica di quella romana, aveva posto come cardine investigativo sia per tangentopoli che nella guerra all’ultimo sangue contro Berlusconi: il principio del “non poteva non sapere”. Per la Procura di Roma, invece, Vincenzo De Luca “poteva non sapere”, tutto qui il nocciolo del problema che non deve né spaventare e né esaltare. Difatti dobbiamo sempre ragionare sui fatti e possiamo sempre tranquillamente pensare (anzi in uno stato di diritto siamo obbligati a pensare all’innocenza di un indagato fino a sentenza passata in giudicato) che De Luca poteva non sapere al contrario di Berlusconi che sempre non poteva non sapere. Al centro c’è il problema dei problemi della giustizia italiana: il libero convincimento del magistrato, un mostro giuridico del quale non riusciamo a liberarci e per colpa del quale il legittimo, obbligatorio, autonomo e indipendente esercizio dell’azione penale diventa per molti magistrati uno strumento di potere incredibile, assoluto e non censurabile. Ma andiamo con ordine. Nella fattispecie di che trattasi abbiamo, dunque, un sicuro anello debole e un incerto corvo; l’anello debole è rappresentato da Nello Mastursi, mentre il corvo è tuttora da identificare perché dalla Procura non si hanno notizie in merito e/o di segno opposto. A meno di non pensare, come avevo anche scritto, che la Procura intendeva, in un primo tempo, aspettare il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legge Severino e che chissà se la decisione di separare la posizione di De Luca rispetto agli altri sei sia stato il frutto di un attentissimo atteggiamento del collegio difensivo o più semplicemente di un ripensamento della stessa Procura finalizzato a rimarcare il potere autonomo e indipendente di quella Procura rispetto agli altri poteri dello Stato. Non è il primo caso, anche in passato abbiamo assistito a simili scelte; prima fra tutte la separazione della posizione di Carmelo Conte rispetto agli altri 74 imputati del processo “California” finito con l’assoluzione dell’ex ministro e con la condanna di molti altri imputati. Ma quando si parla di De Luca, ovviamente, può accadere di tutto e di più; come ad esempio la scomparsa in Corte Costituzionale del faldone inerente De Luca e, poi, ritrovato dopo che era saltata l’udienza del dicembre scorso che, a causa di ciò, è stata aggiornata a dopo l’estate 2016. Dissertare ancora sulle spigolature tecnico-giuridiche della vicenda mi sembra alquanto inutile in quanto bisogna soltanto aspettare che le richieste dei pm Fasanelli e Orano vengano confermate dal GUP con l’archiviazione della posizione di De Luca e il rinvio a giudizio degli altri sei; giudizio secondo me necessario anche al fine di redimere ogni dubbio sull’eventuale esistenza del corvo o della talpa all’interno dell’organizzazione regionale. Nell’attesa è bene anche ricordare che in data 11 novembre 2015 addirittura l’ANSA disegnava una vera e propria mappa dello scandalo con De Luca al centro tra la Scognamiglio e Mastursi; e immediatamente sotto Manna, Poziello, Brancaccio e Vetrano; segno evidente che la Procura aveva delineato un disegno investigativo ben preciso che l’agenzia d’informazione più importante del Paese aveva ricostruito in una mappa molto illuminante; e stiamo parlando di Ansa non certamente di un piccolo giornale di provincia. Tutti gli oppositori di Vincenzo De Luca, compreso me stesso, devono farsene una ragione: De Luca è invincibile, De Luca è un kaimano, De Luca seppure delirante è immortale. Punto. La trovata sulla sua immortalità non l’ho inventata io ma l’ha scritta il mai tanto ricordato, come invece avrebbe meritato, giornalista Luigi Del Pizzo (morto nel gennaio 2015). Ecco, quindi, come attraverso la cronaca si storicizzano momenti importanti della vita di una città ed anche capolavori del giornalismo locale. Ebbene Del Pizzo, per ingigantire ironicamente la figura di De Luca opera di fantasia e sposta in avanti nel tempo, come una sorta di tuffo nel futuro, la processione di San Matteo e la colloca nell’anno di grazia del 2393 (trecento anni dopo l’avvento al potere del kaimano) per descrivere la presenza e l’azione dei due personaggi (Mons. Pierro e De Luca) che dal 1994 al oggi hanno caratterizzato, nel bene e nel male, la processione più seguita dai salernitani; ecco cosa scrive nel lontano 4 ottobre del 2006: “Salerno, 21 settembre 2393. Ricorre oggi la festività di San Matteo, patrono della città. Secondo una tradizione millenaria, alle ore 18, partirà dal Duomo la processione che avrà il seguente percorso: a sinistra per Via Mercanti, Piazza Alfonso Gatto, Corso Aldo Moro, Via Adolfo Cilento, Corso Garibaldi, Via Roma, Piazza Matteo Luciani, Largo Giuseppe Ragno, Via Luigi Pirandello (la ex Via Antonio Bottiglieri, che fu presidente della commissione toponomastica dal 5 novembre 2001 al 30 maggio 2007), Largo Campo, Via Da Procida, di nuovo in Via Mercanti per far ritorno in Cattedrale. La novità di quest’anno è rappresentata dal fatto che la processione si aprirà con la statua di San Gerardo Pierro che fu arcivescovo di Salerno dal 1992 al 2046, un prelato buono e mite, di grande valore e di grande fede che portò la Chiesa salernitana al più alto grado di splendore. Come al solito, il folto gruppo delle autorità cittadine immediatamente dietro le statue. In prima fila il sindaco Cosimo De Luca discendente della dinastia De Luca che, con il capostipite Vincenzo, conquistò Salerno il 5 dicembre 1993 dopo una dura battaglia con la famiglia Acocella che pure vantava docenti universitari prestigiosi ed ecclesiastici di rango”. E racconta della dinastia De Luca il bravo Del Pizzo, e lo fa con una sana ed inattaccabile ironia dicendo che “Vincenzo, il capostipite, laureato in filosofia, uomo colto, sensibile, di buone letture (Gramsci, Togliatti, Croce, Gobetti, Pirandello, Ibsen, Leopardi, Montale) consegnò alla storia il suo nome e quello della sua casata, il suo valore, la sua tenacia, il suo coraggio. Fu il Padre del Rinascimento Salernitano …. Guadagnando ben cinque soprannomi: Vincenzo il Duro, Vincenzo il Padrone di Salerno, Vincenzo il Rinascimentale, Vincenzo l’Uomo dell’acquedotto romano, e Vincenzo il Signore della scossa. Il suo record resiste ancora oggi (siamo nel 2393) … fece costruire numerose ed importanti opere, tra cui una piazza immensa con un colonnato di alabastro purissimo nell’area prospiciente la spiaggia di Santa Teresa. Le ha dato il nome di Piazza del Popolo. Da tre secoli è Piazza Vincenzo de Luca”. E la descrizione della festa di San Matteo del 2393 continua così: “… alle ore 10 un’imponente parata militare, alle 13 il discorso del sindaco Cosimo De Luca per l’inaugurazione del monumento alto otto metri dedicato al capostipite Vincenzo. Sul frontespizio una frase che Tucidide fece dire a Pericle e che passò a Vincenzo il capostipite: <Siamo capaci nello stesso tempo di rischiare e di valutare il rischio in anticipo>…”. Poi l’indimenticabile Luigi Del Pizzo riporta uno stralcio del discorso del sindaco Cosimo: “Il tempo delle rendite di posizione è finito da tre secoli per tutti, continueremo a fare le barricate anche contro il PD, andremo avanti per la nostra strada, con forza, per Voi”. E giù l’applauso scrosciante delle povere truppe cammellate. Per loro ormai De Luca è un mito, tra delirio e immortalità. Continuano gli applausi e le grida di incoraggiamento mentre arrivano le luci soffuse della sera”. “Siamo capaci nello stesso tempo di rischiare e di valutare il rischio in anticipo”, una frase storica che si attaglia perfettamente alla cronaca che il kaimano riesce a dominare da par suo con conferenze stampa anticipatorie di eventi che puntualmente si verificano qualche mese o qualche anno dopo; anche in questo caso del giudice Scognamiglio è stato capace di rischiare e di valutare il rischio in anticipo nello smentire categoricamente, nel corso di una appassionata conferenza stampa, che Lui potesse soltanto lontanamente sapere. I giudici, già molti giudici e in diversi procedimenti, gli hanno dato ragione e sembrano volergli dare ancora nuovamente ragione. Bisogna farsene una ragione, dicevo prima, e bisogna accettare il principio delle tre scimmiette della Garzanti: De Luca non vede, De Luca non sente, De Luca non parla; anche quando intorno ad un tavolo si siedono i suoi fedelissimi e qualche volta si siede anche lui come nel caso del “crac Amato” e della cena sul terrazzo della villa di Cetara del cav. Giuseppe Amato. Alla prossima.
Analisi lucida ed impeccabile … Come sempre
Sante parole