Filippo Ispirato
Si sente sempre più spesso parlare sui social network di Ttip (il 7 maggio c’è stato un corteo di protesta a Roma con diverse migliaia di manifestanti) sebbene la maggior parte dei media a livello nazionale sembra stiano ignorando la questione; una questione importante che condizionerà il futuro del commercio mondiale, dei prodotti che verranno immessi in commercio e delle condizioni di lavoro, dei rapporti impresa lavoratori e del potere che potranno avere i singoli governi nazionali o regionali rispetto a tali questioni. Nelle altre nazioni, specie nel Nord Europa, ci si sta muovendo per capire bene ed informare i cittadini su una questione così importante; in Italia, al contrario, complice sia la disinformazione dei mass media che della politica (di tutti gli schieramenti), sembra stia passando inosservato l’accordo intercontinentale di liberalizzazione del commercio tra Usa ed Europa, il Ttip per intenderci.
Un accordo che andrebbe a compromettere quello che è uno dei punti di forza della nostra economia, ovvero il patrimonio agroalimentare. Vediamo nello specifico che cos’è il TTIP. Il TTIP, acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership è un trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico che ha l’intento dichiarato di modificare regolamentazioni e standard (le cosiddette “barriere non tariffarie”) e di abbattere dazi e dogane tra Europa e Stati Uniti, rendendo il commercio più fluido e penetrante tra le due sponde dell’oceano. L’idea sembrerebbe buona, in quanto scopo ufficiale del trattato è quello di costruire un blocco geopolitico volto a limitare il super potere economico di Paesi emergenti come Cina, India e Brasile, che hanno notoriamente un mercato del lavoro ed un sistema produttivo ed economico con minori protezioni nei confronti dei lavoratori e una legislazione in materia ambientale e di tutela della salute pubblica meno ferrea rispetto agli standard europei. Minore rigore che si traduce in minori costi di produzione e forte concorrenza nei confronti dell’Europa. Con il TTIP si va verso la creazione di un mercato interno tra Unione Europea e Stati Uniti, le cui regole, caratteristiche e priorità non verranno più determinate dai singoli governi e sistemi democratici, ma modellate da organismi tecnici sovranazionali sulle esigenze dei grandi gruppi transnazionali per contrastare la concorrenza dei paesi emergenti. Il Trattato prevede l’introduzione di due organismi tecnici potenzialmente molto potenti e fuori da ogni controllo da parte degli Stati e quindi dei cittadini. Il primo, un meccanismo di protezione degli investimenti (Investor-State Dispute Settlement – ISDS), consentirebbe alle imprese italiane o USA di citare gli opposti governi qualora democraticamente introducessero normative, anche importanti per i propri cittadini, che ledessero i loro interessi passati, presenti e futuri.
Un altro organismo di cui viene prevista l’introduzione è il Regulatory Cooperation Council: un organo dove esperti nominati della Commissione UE e del ministero USA competente valuterebbero l’impatto commerciale di ogni marchio, regola, etichetta, ma anche contratto di lavoro o standard di sicurezza operativi a livello nazionale, federale o europeo. A sua discrezione sarebbero ascoltati imprese, sindacati e società civile.Quello che cambierebbe rispetto al passato è proprio l’aspetto discrezionale di quest’organismo che, nel valutare il rapporto costi/benefici di ogni misura e il livello di conciliazione e uniformità tra USA e UE da raggiungere, e quindi la loro effettiva introduzione o mantenimento, non sarà obbligata ad alcun confronto con le parti, come accade normalmente in ogni sistema democratico.
Secondo i suoi promotori e sostenitori il Ttip potrebbe portare dei benefici per il commercio ed i prodotti italiani, notoriamente di alta qualità ma dai costi più elevati, grazie all’eliminazione delle barriere doganali.
Secondo una stima di Prometeia s.p.a., agenzia commissionata dal Ministero per lo Sviluppo Economico, il TTIP porterebbe, entro i tre anni considerati nello studio, da un guadagno pari a zero in uno scenario cauto, ad uno +0,5% di PIL in uno scenario ottimistico. Numeri poco significativi se si considerano due elementi:
– i nostri mercati potrebbero essere invasi dai prodotti Usa di minore qualità, specie in campo agroalimentare, andando a ledere le nostre quote di mercato al pari dei prodotti cinesi e dei paesi emergenti. Un esempio per tutti un caso del 1988, in cui l’UE ha vietato l’importazione di carni bovine trattate con certi ormoni della crescita cancerogeni autorizzati negli Usa ma vietati in Europa; con Il Ttip non ci sarebbero limitazioni di nessun tipo alla vendita di carne trattata agli ormoni, in quanto già autorizzati negli Usa.
– gli Usa, come accade tutt’ora, potrebbero innalzare nuove barriere competitive grazie alle fluttuazioni del Dollaro, moneta notoriamente più forte dell’Euro, limitando ancora di più il raggio d’azione e l’autonomia dell’Unione Europea.
Non solo ma tutti i settori di produzione e consumo come cibo, farmaci, energia, chimica, ma anche i nostri diritti connessi all’accesso a servizi essenziali di alto valore commerciale come la scuola, la sanità, l’acqua, previdenza e pensioni, sarebbero tutti esposti a ulteriori privatizzazioni e alla potenziale acquisizione da parte delle imprese e dei gruppi economico-finanziari più attrezzati, e dunque più competitivi in nome dell’iper liberalizzazione e della ricerca continua di competitività nei confronti dei paesi emergenti.
Questi sono solo alcuni punti trattati di una questione molto ampia e spinosa; scopo dell’articolo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica su un argomento molto importante che condizionerà, se approvato, la vita quotidiana di ogni cittadino europeo.