SALERNO – “Questa consultazione è una palla” avrebbe o ha detto proprio così il governatore Vincenzo De Luca intervenendo al 4° Congresso Nazionale del PSI svoltosi a Salerno dal 15 al 17 aprile 2016. La frase di De Luca riguardava, ovviamente, la consultazione referendaria che al momento della sua apodittica esternazione era in pieno svolgimento nei seggi elettorali di tutt’Italia ed anche di Salerno. Da qui le varie prese di posizione, una più esaltata ed esaltante dell’altra, contro la frase che, a dire di qualcuno, avrebbe turbato la serenità e la tregua elettorale; probabilmente arriveranno anche denunce in Procura che resta come unica arma (per il centro destra e, soprattutto, per i pentastellati) di contrasto contro lo strapotere deluchiano che ormai sommerge tutto e tutti e prende per il collo anche una libera espressione democratica quale può e deve essere un referendum. Purtroppo “queste cazzate” (direbbe De Luca) non pagano e non rendono il risultato che gli oppositori, incapaci anche di presentare proprie liste, si aspettano; la battaglia contro De Luca va fatta seriamente, deve essere fatta giorno dopo giorno, deve riguardare tutti i momenti in cui è attaccabile, e deve soprattutto riuscire a creare anche dal nulla un personaggio che nel tempo e con il tempo possa presentarsi all’elettorato come il giusto antagonista allo strapotere per il potere e come possibile sintesi tra battaglie intestine, colpi bassi e squallidi complotti. Queste cose le ho scritte tante volte, ma come sempre accade i consigli forniti gratuitamente non vengono mai ascoltati. Lo attaccano, invece, su un terreno non produttivo perché va contro l’immaginario collettivo che su questioni di primaria importanza è schierato sicuramente al fianco del governatore. E questo volta, lo confesso, sono schierato anche io con il governatore perché credo profondamente nella giustezza dell’affermazione di De Luca, anche se ritengo che poteva esprimersi in maniera meno villana, più ufficiale e consona al suo ruolo; avrebbe raggiunto ugualmente l’obiettivo senza dare neppure lontanamente ai suoi detrattori la possibilità di muoversi. Ma Vincenzo De Luca è fatto così, inutile illudersi, prendere o lasciare; anche perché non ha mai nascosto neppure una piega del suo carattere e della sua irruenza; è stato sempre assolutamente coerente con il suo modo di essere. Il referendum è uno strumento di massima espressione democratica ma è anche uno strumento molto delicato che va usato con grande cautela e sensibilità; qui da noi, invece, è stato abusato e rovesciato in tutte le salse arrivando addirittura a mettere insieme più di venti quesiti con domande astrusamente contraddittorie che, con la scusa del propositivo, costituzionale e/o abrogativo, le stesse domande sono quasi sempre completamente opposte alle risposte che l’elettore medio vorrebbe dare. Insomma per dire “SI” si deve scrivere no e per dire “NO” bisogna scrivere si; bella roba !! credo che avvenga solo nel nostro Paese. E allora come volete che la gente corra ai seggi per esprimere il loro voto e la propria convinzione, nel migliore dei casi si astiene; ecco perché nel caso dell’ultimo referendum il 70% degli aventi diritto non sono andati a votare. Prova ne è che su 71 referendum proposti agli italiani dal 2 giugno 1946 ad oggi ben 30 non hanno raggiunto il previsto quorum del 50% + 1 degli aventi diritto; l’altro dato è costituito dal fatto che questi 30 referendum bocciati si sono praticamente attestati mano a mano negli ultimi anni; segno questo che l’affezione degli italiani verso questo strumento democratico è venuta meno un po’ per volta, sicuramente per colpa dell’abuso che si è fatto; difatti se a mente calcolate gli anni e i referendum passati e fatti dal 1946 vi renderete facilmente conto che c’è stato un referendum all’anno. E questo sinceramente è troppo anche per un Paese democratico che deve avere certezze dai suoi rappresentanti in Parlamento e deve ricorrere alla consultazione popolare in casi davvero molto importanti come, ad esempio, l’abrogazione della legge Fortuna-Baslini che aveva introdotto il divorzio; in quel caso del 1974 anche la domanda fu chiara rispetto a queste di oggi che si presentano cervellotiche anche per chi è addetto ai lavori. Nel 1974 l’87% degli aventi diritto andò al voto e ci fu una battaglia molto democratica attraverso la quale il 50,9% dei votanti vinse contro il 40,7% e la legge sul divorzio rimase al suo posto nonostante l’opposizione ferma e decisa del giurista cattolico Gabrio Lombardi, con il sostegno dell’Azione cattolica e l’appoggio della CEI e di gran parte della DC e del MSI. Una vittoria travolgente che le sinistre dell’epoca non seppero sfruttare per cambiare l’Italia, per riformarla e per rottamare, già allora, tutti quelli che andavano rottamati. A nulla vale la sottile eccezione mossa dall’avvocato Luciano Provenza sul suo profilo FB; il noto avvocato salernitano, candidato al Consiglio Comunale di Salerno, sostiene difatti che è strana e contraddittoria la norma che fissa il quorum al 50%+1 mentre per le elezioni amministrative e politiche non esiste nessun limite di affluenza. E’ giusto, ma a parte la diversità dei casi mi permetto semplicemente di eccepire che un po’ tutti sostenemmo l’azione del Parlamento quando elevò il limite della raccolte di firme per la proposizione dei referendum e ricordare che Il 7 ottobre 2001 in Italia gli italiani furono chiamati a decidere se confermare o meno il testo della legge costituzionale per la modifica del Titolo V della Costituzione della Repubblica Italiana. E la risposta fu particolarmente distratta; difatti sugli aventi diritto andò al voto soltanto il 34,10% e, non valendo in quel caso alcun quorum, il Presidente della Repubblica il 18 ottobre 2001 fu in grado di promulgare la legge in via definitiva. E’ vero che i referendum costituzionali seguono un’altra disciplina, ma altrettanto sicuramente non possiamo permetterci il lusso di applicare la stessa norma per tutti i referendum, anche quelli territoriali. Ci incammineremmo fatalmente su una strada senza uscita. E pensare che in tanti avevano pronosticato una massiccia partecipazione anche sull’onda emozionale dell’inchiesta giudiziaria di Potenza sulle trivelle che sembrava dover travolgere uomini e cose, fino al governo di Renzi.
direttore: Aldo Bianchini