SALERNO – In ogni “sistema di potere” degno di questo nome c’è sempre un periodo di crescita, uno di fulgore e, infine, uno di decadenza. Della serie “Il potere logora chi non ce l’ha” bisogna riconoscere che Vincenzo De Luca non è stato minimamente logorato dal potere ma lo ha esercitato, quasi dominandolo, con una scientificità tale da far invidia a “santi e protettori”, per lui l’aforisma di Giulio Andreotti ha funzionato nella maniera più positiva possibile; anche se l’esercizio in maniera assolutistica, quasi dittatoriale, del potere porta sempre con se l’intrinseco pericolo della deviazione e della decadenza che arriva inesorabile ed in forma inarrestabile. Come ho già scritto, il potere del kaimano nasce probabilmente in “casa Conte” alla presenza dello stesso ex ministro, dell’allora segretario di stato Paolo Del Mese e forse di Vincenzo Giordano. E’ una supposizione giornalistica che non troverà mai le prove provate della sua veridicità. I primi quattro anni dell’impero deluchiano passano alla grande ed attirano i migliori talenti della città e della provincia in un discorso di crescita collettiva sia sul piano squisitamente tecnico (bisogna ridisegnare l’urbanistica della città) che su quello sociale e politico, allontanandosi sempre di più dai gorghi violenti di tangentopoli e dalle mediazioni e compromessi tra le varie fazioni politiche. Non c’è dubbio che in questo De Luca riceva una grossa mano dalla nuova elegge elettorale dei sindaci, ma è altrettanto vero che sulla torta già pronta il sindaco ci mette la sua ciliegina fatta di tanti piccoli tasselli utili alla costruzione di un mosaico molto composito ma assolutamente verticistico. Questa in sintesi l’epopea e il mito di Vincenzo De Luca che nei primi quattro anni, come un quadriennum deluchianum, tocca livelli di crescita davvero impressionanti e conquista un consenso popolare senza precedenti. Presto, però, in tanti si accorgono che qualcosa comincia a tracimare da quel solco che direttamente il capo aveva imposto a tutti ed anche a se stesso. Come già scritto ci furono momenti di grande esaltazione collettiva, tutti credevano nella originalità e nella trasparenza di quel disegno e dedicavano tutte le loro energie lavorando notte e giorno, ben al di là dei normali orari di lavoro. Del resto il capo è sempre schierato in prima linea e si sacrifica più di tutti gli altri nell’esecuzione di un lavoro massacrante che, a volte, impegna giorni e notti consecutivamente. Ma con l’avvio della seconda consiliatura, quella dal 1997 al 2001, ecco aprirsi le prime crepe in quel sistema, innovatore e progressista, in cui moltissimi avevano creduto e in tanti si erano buttati a capofitto sicuri di poter partecipare al vero e radicale cambiamento non solo della città ma di tutti i sistemi che fino a pochi anni prima avevano rallentato e insabbiato ogni tentativo di sviluppo e di crescita. E viene fuori “il potere per il potere” mentre, sull’altro versante, monta lo scontro tutto interno al PD tra Vincenzo De Luca e l’allora governatore della Campania Antonio Bassolino. Ecco come dalle colonne de “Il fatto quotidiano” del 2 febbraio 2010 l’on. Isaia Sales riassume il momento storico-politico: “De Luca è il politico campano più in sintonia con la concezione della politica come gestione di un sistema di potere, al suo confronto Bassolino è un dilettante”. Si scivola lungo gli anni, De Luca va in parlamento e posiziona Mario De Biase (grande stratega e profondo conoscitore della macchina amministrativa) sulla poltrona di sindaco, iniziano le grandi inchieste sul Sea Park e sulla MCM a dimostrazione dell’inversione di tendenza dello splendore del cosiddetto “quadriennium deluchianun”, ma non mancano le presentazioni megagalattiche dei PUC, del Lungomare, di Piazza della Concordia e di Piazza della Libertà. Si stacca dal gruppo storico anche l’architetto Fausto Martino (più di dieci anni assessore all’urbanistica), anzi passa tra quelli che attaccano duramente e giudiziariamente il potere del sistema De Luca. E rapidamente arriva il 2 febbraio 2009 quando scoppia il caso della “Lista Pessina”. Ma chi è, o meglio cosa è la Lista Pessina. L’avvocato di Chiasso Fabrizio Pessina, 63 anni, viene arrestato alla Malpensa il 2 febbraio nell’ambito dell’inchiesta sull’area Montecity-Santa Giulia condotta dalla Procura di Milano; una specie dell’odierna “Panama Papers” che sconvolge persone e cose di quel tempo. Dai computer dell’avvocato svizzero spunta un elenco di circa 500 nominativi con accanto avevano l’indicazione anche di una strana cifra. Tale valore indicava la somma di danaro che diversi industriali, ma anche insospettabili pensionati e qualche nome noto, avevano depositato all’estero abusivamente e su cui avevano pagato poco o nulla all’erario italiano. Ben presto la Guardia di Finanza si accorse di avere a che fare con un giro milionario, ed accanto all’evasione spuntano anche fatture false e diverse frodi perpetrate in danno del fisco. Infatti la polizia tributaria di Milano scopre che intorno al nome di Pessina giravano molti commercialisti e consulenti che nella realtà avevano creato una vera e propria rete in grado di fornire assistenza in merito alle possibili soluzioni per eludere il pagamento dei tributi. Diversi nomi noti, dicevo, e non solo nel campo finanziario, visto che tra i vertici dell’organizzazione vi era Mario Merello conosciuto sia come professionista ma anche per essere il marito della cantante Marcella Bella (tra l’altro alla stessa cantante viene contestato il fatto che nella dichiarazione 2002 ha omesso di indicare che la sua disponibilità economica, per denaro contante, è di circa 9,4 milioni di euro per una imposta evasa di 2 milioni e 543mila euro). A tenere le fila oltre a Merello ci sono lo stesso Pessina ed il commercialista milanese Siro Zannoni. I capi di accusa prevedono diverse imputazioni, tra cui anche associazione a delinquere, per avere i “consulenti” nascosto al fisco circa 190 milioni di euro a cui vanno sommati almeno 256 milioni di euro generati attraverso il sistema delle fatture false e delle frodi “carosello”. Un elenco di 500 nomi, una mega operazione della GdF, alcuni arresti, tutto sembra far parte di una consueta routine quando esplode la sorpresa che nessuno avrebbe mai immaginato: al 40° posto della lista compare un nome ed un cognome, Roberto Trucillo di Salerno. Già dipendente dell’ufficio tecnico comunale il geom. Trucillo, titolare della “Prisma Costruzioni srl”, viene beccato dalla GdF per aver esportato all’estero, con l’aiuto di Fabrizio Pessina, la bella cifra di circa 26 milioni di euro, buona parte dei quali portati verso la frontiera direttamente in una valigetta. Ma viene fermato a Chiasso e scoppia il pandemonio: di chi sono quei soldi, perché li porta all’estero dove sono stati già depositati altri soldi, come li ha guadagnati quei soldi, quali sono stati i lavori che gli hanno consentito di guadagnare tanto (si parla di una cifra complessiva, tra contanti e proprietà immobiliari, di diverse decine di milioni di euro). La magistratura fa capire di voler andare a fondo ma scopre poco o niente, il tecnico si è licenziato dal Comune una decina di anni prima e tutto, almeno pubblicamente, finisce nelle secche del dimenticatoio anche perché in realtà non c’è una approfondita indagine sulla genesi dei beni materiali e immobiliari del titolare della Prisma Costruzioni in quanto Trucillo provvede ad avvalersi del famoso “scudo fiscale” e paga le tasse per il rientro dei capitali in Italia. Ma lo poteva fare ? Ed era valido lo scudo dopo che era stato scoperto l’inganno ? Domande che non hanno mai avuto una risposta convincente. Molti, comunque, i lavori pubblici diretti, realizzati o semplicemente appaltati dall’intraprendente Roberto Trucillo che opera anche a Pontecagnano dove già sono posizionate la Samoa Costruzioni (grande appaltatrice di lavori pubblici salernitani) e la “impresa Giovanni Sacco”. La Prisma è presente anche in un PUA, consorzio di proprietari per la lottizzazione delle aree edificabili rese disponibili dal Comune di Salerno. Alla prossima.