SALERNO – Che Salvatore Memoli, al di là della sentenza assolutoria con formula piena emessa della Corte di Appello di Salerno, sia colpevole del fallimento della Banca Etrusca (sentenziato nel settembre del 1998) non ci sono dubbi; del resto lo hanno confermato un pm, un gip, un gup, tre giudici del tribunale e il sostituto procuratore generale d’appello (Renato Martuscelli); cioè sette giudici, e non si sa quanti investigatori, da oltre venti anni stanno sostenendo la tesi della colpevolezza. Difatti Salvatore è colpevole, lo ribadisco anche io; ma è sulla qualità della colpevolezza che i sette giudici e i vari inquisitori non hanno capito niente. L’avv. Salvatore Memoli (già consigliere comunale, consigliere provinciale, presidente di Salerno Energia – del Consorzio Farmaceutico e di Salerno solidale e attuale direttore dell’ACI-Salerno) ha avuto la enorme colpa di aver portato avanti il tentativo di modernizzare, razionalizzare e decentrare il potere intrinseco della banca in generale, e in particolare della Banca Etrusca (una banca di credito cooperativo di altri tempi). In pratica secondo la teoria originaria di Salvatore (mi permetto di chiamarlo per nome in forza di una nostra antica amicizia) le banche dovevano decentrare il loro potere economico che se molto accentrato poteva avere riflessi anche sul potere della politica, e nel caso delle Bcc venir meno alla loro missione fondante. In effetti egli si poneva come antesignano oppositore delle teorie finanziarie internazionali che sull’onda della globalizzazione tendevano a creare forti concentrazioni bancarie che rappresentavano il potere nel potere. E’ illuminante il caso della Goldman Sachs (U.S.A.) che in forza di una concentrazione eccessiva di potere economico è diventata la nuova “Casa Bianca” degli Stati Uniti contro cui, proprio in questi giorni, lo stesso presidente Obama sta combattendo nel tentativo di far passare il concetto del decentramento del capitale economico, mentre noi in Italia continuando sull’onda della concentrazione stiamo portando avanti (da Renzi alla più piccola Bcc) il discorso dell’accentramento e della eliminazione dei piccoli avamposti dell’economia territoriale che dal momento della seconda rivoluzione industriale (fine 1800) hanno assicurato al nostro Paese prosperità ed economia. Era questo che aveva cercato di fare Salvatore Memoli verso la fine negli anni ’80 con la sua piccola banca di Fratte, ma andava contro corrente e per questo andava severamente punito; le innovazioni non hanno mai pagato. Del resto dovunque egli sia andato ha portato organizzazione e innovazione, ed è stato quasi sempre punito. Ma Salvatore è caduto nella rete della giustizia nostrana anche per un’altra importante questione che attiene la pratica e quotidiana attuazione della stessa giustizia. Difatti la giustizia evidenzia all’esterno almeno due terreni di applicazione; il primo riguarda il pacchetto che gli investigatori presentano ai giudici e come lo stesso viene presentato e colorito; il secondo riguarda la lunghezza dei tempi e le responsabilità degli stessi magistrati che sebbene siano passati gli anni non riescono a capire la qualità e la linearità delle prime indagini connesse, naturalmente, alla percentuale di affidabilità e di lealtà civile degli stessi investigatori. Insomma, siccome sono passati circa ventiquattro anni dall’inizio della “questione morale del caso Banca Etrusca” è lecito pensare che anche i magistrati (eccezion fatta per quelli della Corte di Appello) non hanno letto, studiato e ragionato e si sono appiattiti sulle considerazioni e sulle presunte prove che i primi investigatori avevano loro offerto. Un panorama desolante se si pensa che la storia della Banca Etrusca è incominciata ben prima del 1998; una storia che io ho seguito fin dagli anni 92-93 attraverso lo studio attento e sereno delle carte che Salvatore, quasi quotidianamente, mi forniva. Non sono un esperto di “diritto bancario”, riesco però a capire quando una colpa è marcatamente evidente; nel caso di Salvatore non c’era niente allora e, ovviamente, non c’è stato niente oggi per i giudici della Corte di Appello che hanno fatto pulizia e giustizia, dopo due decenni e mezzo, con la frase tipica di tanti dispositivi di sentenza “perché il fatto non sussiste” che non cancella le trepidazioni, le sofferenze, i sacrifici, le rinunce, l’offuscamento della moralità e della trasparenza di “un signore” come Salvatore Memoli. E fa benissimo Salvatore a ricordare che all’epoca delle prime indagini, dopo i rilievi di Bankitalia, gli sembrò di trovarsi di fronte a chi aveva già deciso; la sua bontà lo portò a non credere a quella situazione di fatto che, invece, a me appariva in maniera lampante. Salvatore Memoli doveva essere condannato e fu condannato senza colpa alcuna, perché se il fatto non sussiste è evidente che non ci sono nemmeno le colpe. Per questa “corrente di pensiero” (che si è poi riverberata anche in altre vicende giudiziarie in capo a Salvatore) è stato tenuto per venticinque anni sulla corda con cadute e riprese, con attacchi violenti e misere riconoscenze, fino ad una sorta di “condanna sociale” che nei momenti più belli della sua vita (civile e politica) ha spento ogni entusiasmo sul viso e nell’animo di Salvatore. Fortunatamente ha sempre avuto vicino i suoi avvocati, l’esperto Carmine Giovine e la tenace Clara Labano, che hanno fortemente creduto nell’innocenza di Salvatore e lo hanno sostenuto psicologicamente anche nei momenti di maggiore sconforto. Della Labano, in particolare, Salvatore tesse sinceri elogi: “Insieme a voi vorrei esprimere un vivo ringraziamento ad uno dei miei due avvocati che mi ha seguito in
questi anni,la bravissima Avv Clara Labano che i giornalisti hanno dimenticato di citare, quasi un attacco contro i meriti di una donna, una professionista e un’avvocata che ha fatto l’ultimo intervento difensivo, suscitando le attenzioni del collegio e di tutti i difensori presenti….ovviamente con i miei apprezzamenti. Grazie Clara meriti il mio riconoscimento e la giusta attenzione dei distratti giornalisti. Io ti dico BRAVA e grazie!”. Spesso è stato costretto, ma solo dalla sua eccessiva trasparenza, a fare dei passi indietro a causa di quel fardello di accuse infondate che si portava sulle spalle dal 1992 e che qualche volta, e per quanto potevo, ho cercato anche io di aiutarlo a reggerne il peso; senza questo calvario Salvatore Memoli poteva, forse ma anche senza forse, sedere tranquillamente sugli scranni di uno dei due rami del Parlamento e quasi certamente su quello di “Sindaco di Salerno”. Invece è stato costretto sempre a ruoli che gli stavano stretti, come quello di consigliere (spesso non ascoltato) sia di Vincenzo De Luca che di Edmondo Cirielli. Chi lo ripagherà di tanto oltraggio, chi lo ripagherà della sofferenza che ha dovuto subire anche la sua “mamma Enza” che portava sempre costantemente impresso sul viso un velo di tristezza per quanto accadeva sotto i suoi occhi senza capirne le ragioni. Voglio sperare che adesso, dovunque essa sia, possa ritrovare il suo sorriso abituale quando ogni domenica mattina offriva il fumante caffè a me e a Franco Amatucci abituali frequentatori dell’accogliente casa di “Mamma Enza”. E’ stanco Salvatore, e lo dice a chiare lettere anche nelle dichiarazioni post sentenza assolutoria; sa che forse il suo tempo è passato e non si è concretizzato ai massimi livelli per colpe inesistenti; apre il futuro ai giovani anche se in politica non si deve mai dire mai. E Salvatore Memoli è un profondo conoscitore della politica che è e rimane la sua prima vera passione; quella di manager all’altezza dei tempi che, pur nella consapevolezza che su qualunque cosa ha messo le mani l’ha trasformata in oro (Azienda del gas, Consorzio farmaceutico, Salerno solidale, ecc.), vuole appendere al chiodo è una variabile alle sue aspirazioni politiche che, almeno spero, non tramontino del tutto e riemergano dal torpore di un lungo e ingiusto letargo.
direttore: Aldo Bianchini