Il 25 aprile: questo è il mio Paese!

di Massimo Calise

Ogni anno, il 25 aprile, si ricorda una tappa fondamentale nella storia del nostro Paese. Dovrebbe essere sia un’occasione di festa popolare sia un momento di riflessione. Purtroppo sono sempre meno coloro che nelle strade e nelle piazze festeggiano la data che, simbolicamente, ha sancito la fine della guerra e della dittatura. Eppure essa rappresenta anche un’occasione per riflettere su quegli eventi e da essi trarre spunti utili per il presente. Rileggendo le pagine di storia, di letteratura e le testimonianze di quei tempi possiamo immaginare che quegl’italiani, tanti giovani, che nella Resistenza si sono impegnati, sacrificando in molti casi la vita, avessero un pensiero in comune che li spronava: “questo è il mio Paese!”. Un’affermazione, che anche oggi capita di udire e che rivela sentimenti diversi: amore, orgoglio, a volte, rabbia perché ci sembra che gli “altri” non l’apprezzino, non lo curino sufficientemente. Approfondendo, ci si accorge che l’affermazione nasce come moto umano, affettivo più che come elaborazione razionale. Due sono gli elementi su cui essa si fonda: il paesaggio e il patrimonio artistico-culturale. È innegabile che la Natura è stata generosa con l’Italia, tantissimi i luoghi di diversa e straordinaria bellezza; dal passato ci giungono tesori invidiati: siti archeologici, monumenti, opere d’arte, edifici storici.

Allora è comprensibile che moltissimi italiani possano esclamare “questo è il mio Paese!” riferendosi, sovente, non tanto all’intera nazione ma al proprio territorio. L’orgoglio, l’amore per la propria terra dovrebbe essere una potente molla, uno stimolo forte all’impegno nei suoi confronti. Il condizionale è necessario poiché non sembra che questi sentimenti siano accompagnati da un adeguato sforzo non solo per conservare quanto ricevuto ma per migliorarlo, se necessario adattarlo alle nuove necessità, e, comunque tramandarlo possibilmente migliorato, accresciuto. Invece è frequente osservare un’affezione turistico, famigliare al proprio territorio; fatta di ricordi, tante foto, esclamazioni, attestati d’amore, “voglia ‘e turnà” al paese natale o ai bei tempi di una volta, all’infanzia.

Manca la domanda scomoda: lascerò questo posto migliore di quanto l’ho trovato? Intendiamoci, non manca un associazionismo del tempo libero o un associazionismo che si mobilita per eliminare o evitare scempi. Gli utili “comitati del no” che per loro natura sono, intrinsecamente, effimeri. È carente, invece, un impegno continuativo che ognuno dovrebbe dimensionare alle proprie possibilità e capacità ma con la condivisa consapevolezza che senza una partecipazione attiva, organizzata, dei cittadini non si esce da una crisi che è si mondiale ma che ha, nel nostro paese, una sua specificità. La dimensione locale si presta ad un impegno concreto che dia speranza per il futuro.

A questo proposito, le persone di buona volontà, possono trovare stimoli dalla ricorrenza del 25 aprile, dalla pagine sulla Resistenza. Una seria riflessione renderebbe risibili tutte le esitazioni, tutti gli alibi. I documenti che offrono esempi significativi sono tanti; mi permetto di suggerirne uno: la lettera di Giacomo Ulivi, un diciannovenne condannato a morte nel 1944 (http://www.anpi.it/storia/238/lettera-agli-amici-giacomo-ulivi). Una riflessione individuale o collettiva su simili pagine potrebbe rafforzare quello spirito, quel coraggio civico utile anche a meglio fronteggiare la minaccia terroristica, che punta alla nostra ritirata nel privato. Nei difficili tempi attuali con una perdurante crisi non solo economica, è necessario che ciascuno si impegni con un sacrificio nettamente inferiore ai tanti esempi della nostra storia che fanno apparire come diserzione ogni esitazione. Solo un costante impegno civico consentirebbe a ciascuno di affermare risoluti: questo è il mio Paese!

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