SALERNO – La domanda che tutti dovremmo porci, dopo il caso eclatante delle intercettazioni telefoniche che hanno portato la ministra Federica Guidi alle velocissime dimissioni, è questa: “E’ più colpevole chi chiede di ottenere un malaffare o chi quel malaffare lo lascia passare ovvero chi svela o chi chiede di svelare ?”. E questa domanda vale ancora di più quando la magistratura, come si dice in gergo, si intrufola nel talamo nuziale che oggi è identico sia per le coppie etero che per quelle omosessuali per non dire di quelle di fatto, come nella fattispecie di cui abbiamo sentito tutti parlare in queste ore. Alludo all’inchiesta potentina sul petrolio e gli affari connessi in cui avrebbe recitato la parte di primo attore il compagno (Gianluca Gemelli, ingegnere ai vertici di una cordata di petrolieri) della ministra Guidi che, una volta pubblicate le intercettazioni telefoniche, si è frettolosamente dimessa. Questa domanda, purtroppo, non l’ho sentita porre da nessuno e neppure l’ho trovata scritta su alcun giornale. Forse proprio da questa assenza prende sempre più quota l’atteggiamento ondivago della magistratura che nel caso della giudice napoletana Anna Scognamiglio (beccata al telefono con il marito Guglielmo Manna ad annunciare in maniera roboante l’assoluzione di Vincenzo De Luca pochi minuti dopo averla scritta a sentenza) è stato usato un trattamento durissimo e, invece, nel caso della ministra Federica Guidi (beccata anch’essa al telefono con il compagno Gianluca Gemelli ad annunciare che “addirittura” un emendamento necessario agli affari del compagno era stato inserito “quasi di nascosto” nella legge di stabilità 2014 con il consenso consapevole della Boschi) è stato usato un trattamento molto più leggero. Nel senso che nel primo caso la giudice, anche se con qualche mal di pancia, è stata subito trasferita ed è in attesa di procedimento disciplinare da parte del CSM e insieme al marito è sotto stretta indagine da parte del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, e nel secondo caso il gip di Potenza mentre rifiuta l’arresto per l’ingegnere Gemelli non ritiene di dover neppure lontanamente sottoporre ad indagine la ministra. Difatti se l’ing. Gemelli è indagato per “concorso in corruzione e per millantato credito” sarebbe giusto capire subito con chi è in concorso e chi gli ha consentito il millantato credito, senza dimenticare la telefonata “prova regina” della ex ministra al suo compagno. Fortunatamente la Procura ha interposto appello alla non concessione dell’arresti di Gemelli e i PM andranno a Roma per “sentire da vicino” sia la ex ministra Guidi che la stellare ministra Maria Elena Boschi che, se ho ben contato, è già al terzo intoppo almeno sotto il profilo etico-morale. Ecco, queste diversità di atteggiamento mi lasciano sinceramente molto perplesso sulla credibilità della giustizia con la quale molti hanno a che fare e verso la quale tutti ci attenzioniamo giorno dopo giorno, a ciò spinti da incessanti e quotidiane campagne mediatiche. Insomma l’epoca di Pappagone è finita da un bel pezzo. Per queste ragioni sarebbe oltremodo giusto rispondere alla domanda, che ho posto in apertura, con azioni precise e univoche, senza possibilità di lasciare ai singoli magistrati la possibilità di scegliere se colpire tutti e due o uno soltanto dei componenti la coppia, di qualunque origine essa sia. Anzi nel caso di Potenza la fattispecie è ancora più grave perché mentre a Napoli eravamo di fronte ad un marito e una moglie che per legge possono anche non testimoniare o di non dire la verità a carico del coniuge, a Potenza siamo di fronte ad una coppia di fatto e, quindi, ad una situazione in cui non è ancora prevista dalla legge la possibilità di non testimoniare con l’obbligo di dire la verità a carico del partner. Naturalmente sono lontanissimi i tempi in cui da Potenza e Lagonegro partivano inchieste clamorose ad opera, rispettivamente, di Henry John Woodcock e di Michelangelo Russo (il primo oggi a Napoli e il secondo a Salerno); probabilmente quelle inchieste che non guardavano in faccia a nessuno potevano apparire anche esagerate ma davano, comunque, la sensazione che davvero tutti sono uguali davanti alla legge. Nello scontro odierno tra la Procura e l’Ufficio GIP del Tribunale di Potenza si intravedono, invece, tutte le spaccature che hanno caratterizzato quegli uffici giudiziari da quando nel lontano 1993 vennero alla ribalta nazionale con il “caso Elisa Claps”; spaccature che alcuni anni fa avevano portato l’allora pm di Catanzaro Luigi De Magistris ad indagare alcuni giudici inquirenti e giudicanti del Tribunale lucano nell’ambito di quella grossa inchiesta denominata “Toghe Lucane” che gli venne scippata appena in tempo prima che accadessero disastri irreparabili. Con questo mio scritto non voglio assolutamente entrare nel merito della intricata e triste vicenda che sicuramente avrà molti altri risvolti; non voglio neppure fare la cronaca quotidiana dell’evoluzione dei fatti, come non l’ho fatta, (quella la potete leggere su qualsiasi sito internet o sui giornali), comunque non mi allineo con quelli che gridano di dare all’untore e pensano di sgretolare l’intero Governo del Paese, ma non posso fare a meno di non pensare e credere che il gesto delle dimissioni da solo non può essere sufficiente a ripristinare il gioco dell’etica che molto spesso si intreccia con quello dell’azione penale. Sono due cose assolutamente distinte e in questo caso potentino ci sono entrambe, la prima è stata risolta con sospetta velocità (quasi come se la faccenda fosse molto più grossa e grave e nascondesse qualcosa !!), rimane quella più spinosa legata agli aspetti giudiziari, soprattutto quando gli stessi si intrufolano sotto le lenzuola. Insomma il tutto non può essere ridotto ad una semplice “opportunità politica” come dice la Guidi o, peggio ancora, ad una semplice “telefonata inopportuna” come dice Renzi; qui c’è molto altro a cominciare da un affare di molte centinaia di migliaia di barili di greggio e di gas, dal disprezzo verso intere popolazioni che protestano contro le perforazioni e, soprattutto, dalla sfiducia che un governo di “giovani fanciulle” (capitanate dalla bellissima Maria Elena Boschi che sempre di più mi appare come “un dipinto del Botticelli”) sta facendo serpeggiare nell’immaginario collettivo; una sfiducia che si cela dietro un gruppo di belle donne, tutte ben ammaestrate, che si muovono a comando e che, senza alcuna esperienza specifica, stanno governando il Paese da oltre due anni. Dietro tutto questo c’è, forse, un potere economico talmente forte che è stato in grado di spazzare via i governi Berlusconi, Monti e Letta per fare spazio ad una sparuta pattuglia di “telecomandati” che sparano via etere convinzioni e decisioni come molti giovani sanno fare (spesso sbagliando o esagerando e senza alcuna possibilità di dialogo) con un qualsiasi tablet di new-generation. Che qualcuno fermi in tempo questa deriva, altrimenti saranno guai seri.
direttore: Aldo Bianchini