SALERNO – Se il domani è dei giovani (e ne sono fermamente convinto) spetta a loro il compito di riportare la gente alle urne con la gioia di votare, come quando in tempi neppure tanto lontani le famiglie intere si recavano ai seggi (soprattutto la domenica pomeriggio) portando per mano i più piccoli, quasi per abituarli a quell’atmosfera abbastanza intrigante che fuoriusciva dalle stanze dei seggi all’interno dei quali si fumava all’impazzata. La gente portava addirittura da bere, da mangiare ed anche il caffè; insomma era come una festa di popolo e la gioia di esprimere il proprio voto era palpabilmente visibile. Quella gioia si è persa da tempo e oggi si va al seggio quasi alla chetichella, scegliendo anche orari cervellotici per non fare incontri sgraditi con candidati che pensano soltanto al loro interesse; lontanissime le presenze dinanzi ai seggi degli schieramenti fieramente opposti con comunisti da un lato e fascisti dall’altro che facevano da alone alle moltitudini democristiane con accodati i socialisti, i repubblicani, i social democratici, i liberali, tutti uniti in un “pentapartito” che di stellare non aveva ancora niente. A rispolverare i mitici tempi andati ci ha pensato qualche giorno fa l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che in occasione dei quarant’anni dalla scomparsa del poeta Alfonso Gatto ha ricordato a tutti come era bello andare a votare quando si votava con gioia ed ha riportato alla memoria presente e futura la dichiarazione, a mò di appello agli elettori, del poeta-giornalista apparsa sull’Unità del 4 maggio 1972 a pochi giorni dalle elezioni politiche difficilissime in cui il PCI si scontrava duramente con le altre realtà politiche: “Per motivare il mio voto ai comunisti, che è stato quasi sempre il mio voto dalla liberazione in poi, mi basta l’allegria di farlo, il mio contento di andare alla sezione elettorale con figlio che vota per la prima volta, e vota come me o, meglio vuol sentirlo, io voto come lui. Mi basta la pazienza di mettermi in fila e di sentire sulla pelle chi mi è più vicino e chi mi è più lontano, per faccia, per pensieri intendo, e i pensieri sono tutti sulla faccia … Non tutti votano comunista lo so, ma i comunisti esistono, lottano, si moltiplicano, si rafforzano anche per loro, sapendo che ci sono per salvare una patria comune”. Nel breve volgere di quarant’anni, dunque, siamo passati dalla gioia di andare a votare alla decisa contestazione della politica in generale e dei politici in particolare con conseguente drastico abbassamento delle percentuali di votanti; in verità un po’ tutti noi elettori lo abbiamo lentamente sperimentato con i referendum che erano diventati troppi, tutti complicati e con domande sempre poste in maniera cervellotica, e quell’esperienza l’abbiamo riversata sulle elezioni politiche, regionali e provinciali (fin quando si poteva votare per queste Ente sospeso e mai soppresso. Non tutti votano comunista, ma i comunisti ci sono e lottano per salvare una patria comune, scriveva il poeta Gatto nel maggio del 1972, e se esiste un aldilà si starà sicuramente rivoltando nella tomba al pensiero di essere stato un incauto uomo di cultura per aver pensato che davvero i comunisti dell’epoca (e lui sperava anche del futuro) potessero salvare “una patria comune”; quei comunisti vagheggiati da Gatto si sono dissolti come neve al sole, soprattutto da quando in quel partito sono arrivati i giovani (a cominciare dai giovanissimi D’Alema e Veltroni) che hanno letteralmente trasformato una palestra di idee e di confronti in un’arena dove lottare per la conquista dei posti di potere. E le cose non sono affatto cambiate, anche i giovani di oggi che vogliono rottamare gli ex giovani divenuti vecchi non fanno altro che esercitarsi in quell’arena, che fu la culla di tanti padri della Patria, con il solo obiettivo del potere per il potere. Alfonso Gatto, invece, non amava il potere, gli piaceva schierarsi ma senza quell’ossessione del potere che, ad ogni buona occasione, non mancava di criticare anche se si trattava del potere comunista. Perché se è vero che i comunisti di quel tempo lottavano per salvare una patria comune è altrettanto vero che nel contesto di questo nobile esercizio non dimenticavano il potere, ma lo facevano in forma scientifica e mai in maniera occulta o, per meglio dire, strafottente. A deludere di più la sinistra italiana sono soprattutto i giovani che dovrebbero rappresentare il nuovo ma che, pur partendo bene, finiscono con l’intrupparsi nelle maglie avvolgenti del potere; anzi nella nostra epoca non si dovrebbe più parlare di “maglie del potere” ma più semplicemente di “maglie di incarichi e prebende”. E questo sicuramente il notissimo poeta salernitano, che amava andare sempre con gli amici nel mitico “Vicolo della neve” per lunghe ed interminabili conviviali, non lo avrebbe mai e poi mai potuto prevedere nonostante la sua immensa cultura.
direttore: Aldo Bianchini