VALLO di DIANO – Dopo Teggiano, anche il comune di Buonabitacolo ha registrato, a soli due anni dalle elezioni, la fine anticipata della consiliatura con lo scioglimento del consiglio comunale.
In entrambi i casi, a determinarlo sono state le dimissioni della maggioranza dei consiglieri. Un gesto forte, che nel Vallo di Diano non si verificava dai tempi della prima repubblica e che con la legge sull’elezione diretta del Sindaco, introdotta nel ’93, è divenuto fatto rarissimo ovunque.
Ciò che immediatamente balza all’occhio è che entrambe le amministrazioni erano state indicate e vissute dalla società locale come la vera novità della passata tornata elettorale, essendosi invece negli altri comuni affermata una sostanziale continuità amministrativa con le passate esperienze. Il Vallo, dunque, è allergico alle novità? E, soprattutto, è possibile trarre da questi due episodi un valore teorematico, o si tratta semplicemente di fatti locali ascrivibili alla categoria non politica delle beghe paesane?
Senza dubbio, l’aspetto strettamente localistico (rapporti personali, individualismi, antipatie) , è presente in queste come in tutte le piccole e grandi comunità. E però, se uno strappo così pesante si è consumato, a distanza di pochissimi giorni, lì e non altrove, vale la pena fare un po’ di conti.
Si tratta indubbiamente di due vicende diverse. A Teggiano, difatti, un pezzo dell’ex maggioranza, dopo la costituzione di un gruppo autonomo, si è saldata con l’opposizione, determinando con le dimissioni lo scioglimento del consiglio comunale.
Nel caso di Buonabitacolo invece abbiamo un giovane Sindaco, eletto con la benedizione del vecchio Sindaco che, nonostante fosse nelle condizioni di ricandidarsi, decide- forse sull’onda della narrazione del renzismo- insieme all’intero consiglio comunale precedente di restare a casa e di favorire un rinnovamento generazionale. La perdita di pezzi della nuova compagine (peraltro priva di opposizione) inizia quasi subito con la costituzione di un gruppo autonomo di tre consiglieri, e culmina con la revoca, da parte del Sindaco, del vicesindaco e le successive dimissioni dei sei consiglieri, che portano anche qui alla fine anticipata della consiliatura. Sulla stampa e in una pubblica assemblea con la cittadinanza, l’ormai ex Sindaco urla al tradimento, accusando di regia occulta il suo vecchio mentore, mentre i consiglieri dimissionari si difendono accusandolo di aver esercitato il proprio ruolo con arroganza, revocando deleghe e non rispettando la squadra che aveva contribuito ad eleggerlo.
Senza entrare nel merito delle rispettive accuse, è evidente che l’operazione novità, costruita nel comune valdianese, è purtroppo completamente fallita. Qualunque sia la verità dei fatti, le vicende dei due comuni ci pongono di fronte a una riflessione più generale sul ruolo esercitato dalle assemblee elettive a seguito delle leggi di riforma delle autonomie locali.
Tramontata definitivamente l’epoca delle maggioranze variabili, con l’elezione diretta dei Sindaci abbiamo assistito, negli anni, ad un rafforzamento senza precedenti dei poteri del primo cittadino che se, da un lato ha garantito maggiore stabilità e processi amministrativi meno farraginosi , dall’altro ha completamente ridimensionato il peso dei consigli comunali, ridotti a mero organo di indirizzo. E difatti, i consiglieri comunali, destinatari diretti del consenso elettorale, una volta costituita la giunta non hanno alcun potere di revoca sugli assessori nominati dal Sindaco, che ha potere assoluto su nomine e revoche di giunta, incarichi dirigenziali e collaborazioni esterne.
“Il consigliere è stretto tra lo strapotere del Sindaco e delle giunte da una parte, e quello dei dirigenti dall’altra che, con il potere di determina degli atti hanno progressivamente e vistosamente tolto terreno all’assetto democratico delle istituzioni a tutti i livelli”, scriveva qualche anno fa l’ex Presidente del Co.Re.Co Lillino Tacelli. In realtà nei piccoli comuni in particolare, non è raro assistere a consigli comunali sciatti e sbrigativi, ridotti quasi ad una mera liturgia priva di dibattito, tra la rassegnazione dell’opposizione e il disinteresse dei consiglieri di maggioranza esclusi dalla giunta.
A fronte di una tale condizione legislativa, a maggior ragione è dovere di un Sindaco evitare di cadere nella tentazione dell’uomo solo al comando, del sindaco pigliatutto che schiaccia la propria maggioranza, allontanando ancor di più i cittadini dalle istituzioni.
Mortificare un consiglio comunale, riducendolo a mero luogo di ratifica, vuol dire non solo mortificare la democrazia, ma interpretare nel peggiore dei modi una legge che, nonostante i benefici apportati, contiene in sé il rischio di una deriva autoritaria.
Resta da augurarsi che le vicende di Buonabitacolo e Teggiano siano stati due casi isolati, frutto di dinamiche locali e non figlie di una nuova stagione di instabilità amministrativa e di scontro tra sindaci e consigli comunali.
Molto vero. Secondo me non è un caso. Pagano l’incapacità di tenere unito il gruppo.
Ma la signora che ha scritto l’articolo non è un amministratore comune? Fa parte del consorzio di San rufo? Se non sbaglio pure Curcio fa parte del consorzio…